Porto di Taranto, Sergio Prete: “Pronti all’inversione di tendenza dal 2016”
TARANTO – Superano i 500 milioni di euro gli investimenti destinati al porto di Taranto. Intanto, nelle scorse ore è stata approvata la realizzazione di nuove opere per il riammodernamento e il potenziamento dello scalo ionico, per un valore complessivo di poco superiore agli 86 milioni di euro. Inchiostro Verde ha ascoltato il Commissario straordinario dell’Autorità Portuale, Sergio Prete, per capire quale sarà il futuro del porto di Taranto rispetto alla necessità di un rilancio economico e industriale del territorio. Abbiamo poi spostato lo sguardo sulla grave situazione dei 500 lavoratori della Taranto Container Terminal in cassa integrazione, sugli sversamenti in mare che sembra si ripetano con sempre più frequenza e quindi sulla sicurezza del porto con l’avvio del progetto Tempa Rossa.
Le opere inserite nell’elenco annuale 2016 raggiungono un valore complessivo pari a 86.450.000 euro, che si sommano ai 420 milioni già impegnati per le opere appaltate ed in corso di realizzazione nel porto. Questo cosa significa per il porto di Taranto?
«Bisogna precisare che tra queste somme ci sono circa 220 milioni proprie dell’Autorità portuale, per dotare, dopo tanti anni di blocco degli interventi, il porto di adeguate infrastrutture finalizzate sia al potenziamento dei traffici esistenti, ma soprattutto alla diversificazione dei traffici. Tutti questi fondi sono infatti destinati a infrastrutture che non sono relative al comparto industriale già presente nel porto di Taranto, ma sono invece destinate a sviluppare ulteriori utilizzazioni del porto e certamente con una priorità per l’aspetto commerciale, logistico e turistico».
L’idea sarebbe, quindi, quella di trasformare il porto di Taranto in uno scalo di “terza generazione”: con quali obiettivi?
«Nello studio dell’evoluzione portuale i porti hanno cambiato nel tempo la loro destinazione e la loro funzione: il porto di “terza generazione” è sostanzialmente un porto che supera la settorialità dell’utilizzo legato esclusivamente a determinate specializzazioni, in particolare di natura industriale, ma invece si pone come snodo principale dell’intera filiera logistica delle merci o delle persone. Il porto non viene più visto come un’infrastruttura a sé stante ma come il punto principale di collegamento con i mercati di import-export o per il transito delle persone».
La banchina del molo polisettoriale più la piattaforma logistica, porterebbe ad un incremento dei traffici?
«Sicuramente trasformeranno la visione che sinora si è avuta su Taranto del trasporto commerciale. Fino a Tct è stato esclusivamente un traffico di transshipment, quindi di trasbordo, senza che ci fosse un collegamento con le filiere produttive o logistiche del territorio, ma inteso in senso più ampio rispetto al mero retroporto».
Secondo lo Ionian Shipping Consortium il porto di Taranto è l’unico del Mezzogiorno d’Italia di rilevanza internazionale, cosa ne pensa?
«Quando sono stati individuati i porti cosiddetti “core”, cioè strategici, della Comunità europea, Taranto era stato individuato come terzo porto in Italia e sedicesimo a livello europeo. La crisi dei traffici dell’Ilva e la chiusura del terminal hanno ridotto notevolmente le movimentazioni nel porto, ma a partire dall’anno prossimo ci sarà un’inversione di tendenza».
Ci sono nuovi mercati su cui puntare, come l’agroalimentare o l’energetico. Aiuterebbero lo sviluppo del porto?
«In sinergia con il ministro Delrio e con la Regione Puglia stiamo valutando le varie opportunità, i vari interessi che il mercato mostra in questo momento su Taranto e sul porto di Taranto. Prima di procedere con l’avviso pubblico e quindi avviare la procedura di evidenza pubblica, stiamo cercando di comprendere a fondo quali sono le varie potenzialità che il porto ha».
Individuare un nuovo operatore dopo l’uscita di scena di Tct, quali prospettive porta?
«L’avviso pubblico è una delle possibilità di individuazione del nuovo operatore o dei nuovi operatori. Potremmo ricevere nei prossimi giorni o mesi una domanda di concessione da parte di un operatore e da quella far partire la procedura di evidenza pubblica per l’individuazione del nuovo concessionario oppure possiamo pubblicare un avviso per ricevere le manifestazioni di interesse e quindi poi valutare qual è la soluzione migliore che al momento, però, si sta orientando verso una utilizzazione da parte di più operatori del molo polisettoriale».
Perché si è scelto l’avviso e non la gara per l’individuazione dell’operatore?
«Con la gara, quindi con un bando, il progetto lo fa l’Autorità Portuale e se questo poi non incontra le esigenze del mercato si rischia che la gara possa andare deserta. Mentre con l’acquisizione delle manifestazioni d’interesse c’è la possibilità di vedere quali sono le potenzialità e gli interessi sul porto di Taranto e quindi costruire un progetto ad hoc».
Si parla anche di approdo delle navi da crociera, cosa c’è di concreto?
«Sicuramente c’è un’esigenza territoriale che spinge verso questa nuova prospettiva perché da questo punto di vista il porto di Taranto non ha mai avuto una grande tradizione e una grossa presenza nel settore crocieristico. Abbiamo fatto una serie di azioni tese alla promozione del porto anche dal punto di vista turistico e crocieristico, ad esempio aderendo a due associazioni specializzate nel settore, e poi stiamo facendo degli investimenti infrastrutturali sul molo San Cataldo che servono ad aumentare l’appeal del porto dal punto di vista turistico e crocieristico. In più, c’è il progetto della stazione torpediniere che in prospettiva dovrebbe essere destinato anche a quell’utilizzazione. È chiaro che il porto però è uno dei soggetti che sono chiamati a sviluppare il trasporto passeggeri crocieristico: da questo punto di vista è importante avere una sinergia anche con le altre istituzioni, le associazioni e tutti i soggetti professionali che operano nel settore».
Il tessuto economico, industriale, imprenditoriale di Taranto come si pone rispetto a questo sviluppo prospettato del porto?
«Consentire anche al comparto industriale in senso lato, manifatturiero, dell’ortofrutta o turistico, di approcciare nuovi traffici è un’opportunità di sviluppo, di crescita, di coinvolgimento rispetto invece alla presenza di grossi player internazionali che in qualche modo cannibalizzano un po’ tutta la filiera».
Contratto Istituzionale di sviluppo: a che punto è?
«Siamo in attesa dell’adozione della prima delibera Cipe che assegna le prime risorse. Successivamente ci sarà una riunione per la sottoscrizione del contratto istituzionale di sviluppo, prevista tra la fine di novembre e i primi di dicembre».
Resta difficile invece la situazione per gli ex lavoratori della Tct in cassa integrazione. Come è possibile superarla?
«Dopo la firma del decreto per la cassa integrazione i lavoratori godono di questo ammortizzatore sociale fino a settembre 2016 e chiaramente tutti noi contiamo che prima di quella data ci sia l’individuazione dei nuovi operatori e che questi lavoratori possano essere spalmati su più attività nuove. A meno che non venga un unico grande operatore con un piano operativo particolarmente interessante e che abbia anche la necessità di assorbire tutti i lavoratori».
È preoccupato per i continui sversamenti in mare? Nel giro di dieci giorni se ne sono verificati due: al secondo canale dell’Ilva e al pontile Eni.
«So che questi fenomeni sono stati sempre tenuti, in qualche modo, sotto controllo e sono fenomeni che purtroppo sono comuni a tutti i porti perché, tra l’altro, credo che le fonti di queste perdite siano non derivanti dall’oleodotto ma da navi, e quindi errate manovre che possono verificarsi tanto su navi del settore industriale quanto navi commerciali e passeggeri. Se fossero accaduti perché legati maggiormente alla presenza industriale allora sarebbe stato più preoccupante».
Con Tempa Rossa aumenterebbe il traffico di petroliere. Occorre migliorare la sicurezza nel porto?
«Taranto è sempre risultato uno dei porti più sicuri. Abbiamo dei sistemi e degli operatori anche in ambito ambientale e di prevenzione molto preparati. Oggi abbiamo, forse, oltre duemila navi in meno del 2008. In passato il porto di Taranto ha gestito situazioni molto più complesse dal punto di vista numerico: non sono certo cento navi in più che possono spaventare un porto».
Nicola Sammali per InchiostroVerde