“E’ vero che il nostro sistema digerente non è in grado, una volta giunto all’età adulta, di digerire latte vaccino e derivati, e che quindi bere il latte è innaturale per l’uomo?” – E’ il quesito posto da Stefania, una lettrice di InchiostroVerde che ha accolto il nostro appello a porre domande sull’alimentazione. La risposta è affidata alla dott.ssa Iris Zinzi, che cura la nostra rubrica “Cibo e Salute”. Il suo obiettivo? Sfatare luoghi comuni ed errate convinzioni.
Tali credenze screditanti il latte deriverebbero dai risultati di studi privi di validità scientifica e condotti su campioni poco rappresentativi di popolazione. I veri esperti in materia ripetutamente ricordano che l’assunzione abituale di latte e yogurt, è da incentivare, in quanto in grado di dare benefici e nessun rischio di sorta. Eccedere potrebbe far male, ma questo è un concetto che vale per qualsiasi tipo di alimento (“e’ la dose che separa il farmaco dal veleno”).
La ridotta digeribilità del latte non è assoluta, dipende da quanto un intestino può essere delicato e irritabile e una minore digeribilità non significa che il latte faccia male. In questo caso esistono latte e yogurt maggiormente digeribili in quanto privi di lattosio (che è lo zucchero del latte responsabile di meteorismo ed eventualmente dissenteria quando non digerito). Latti alternativi come quello di soia, di riso o di avena, sono privi di calcio e gli ultimi due anche di proteine; contengono soprattutto zuccheri e quindi hanno valore nutritivo scadente.
Il latte vaccino, invece, è un alimento completo ed equilibrato: contiene proteine ad alto valore biologico, grassi e zuccheri in quantità modiche, vitamine A e D e calcio. Ben il 50% circa dell’apporto quotidiano di calcio e vitamina D, per il benessere delle ossa e la prevenzione dell’osteoporosi, deriva dai prodotti lattiero-caseari. Alla luce di ciò, come potrebbe, il consumo di latte, predisporre alla osteoporosi? Questa è infatti una patologia multifattoriale alla cui genesi contribuiscono in primis uno stile di vita sedentario e una dieta troppo ricca di proteine animali (in una porzione di latte parzialmente scremato da 150 g ci sono solo 5 g di proteine), oltre che lo scarso apporto di calcio e vitamina D con la dieta. Inoltre in un bicchiere di latte parzialmente scremato, il contenuto di colesterolo non supera gli 11 mg, e la sua assunzione con la dieta giornaliera non dovrebbe superare i 300 mg totali al giorno. Da qui non ha ragion d’essere l’altra teoria secondo cui il consumo di latte predisporrebbe all’ipercolesterolemia e alle malattie cardiovascolari.
Decidere, quindi, di rinunciare a latte e derivati per motivi salutistici, non ha motivo. Motivazioni etiche riguardanti lo sfruttamento degli animali sono solo di ordine personale. Quanto un alimento possa giovare o nuocere, dipende da un numero considerevole di variabili, tra cui: la quantità e la frequenza di assunzione, la qualità del prodotto, i personali fabbisogni e lo stato di salute di chi lo assume. Generalizzare può nuocere alla salute della popolazione generale.
Ciò che ogni persona dovrebbe fare è prestare attenzione alle linee guida e non a campagne provenienti da gruppi isolati, e le linee guida di tutto il mondo consigliano vivamente il consumo di latte in 2-3 porzioni al giorno, come tale o come yogurt, come cucchiaio da tavola (non oltre) di parmigiano grattugiato sul primo piatto o come formaggi freschi magri in porzioni di 100 grammi 2-3 volte a settimana. Ciò al fine di coprire i fabbisogni in particolare di calcio e vitamina D. In queste dosi si potranno avere tutti i benefici del latte senza rischio di alcun tipo. E’ ovvio, comunque, che il latte non debba essere bevuto in caso di diagnosi medica di intolleranza reale.
Dott.ssa Iris Zinzi
Dietista presso ambulatorio di Diabetologia, DSS TA 02, Massafra
Biologa Nutrizionista, libero professionista, Taranto.
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