Mar Piccolo, ritorna d’attualità la proposta di capping targata Ance-Maccaferri
“Taranto oltre l’Ilva”. Era questo il titolo scelto per il convegno tenuto questa mattina nell’aula magna del Politecnico, al quartiere Paolo VI. Eppure Taranto non c’era. O almeno, non c’era gran parte di quella società civile che avrebbe dovuto essere presente per ascoltare, confrontarsi e nel caso contestare quanto detto dai relatori. A parte qualche mosca bianca che ha ancora voglia di intervenire e documentarsi, la platea era prevalentemente composta da addetti ai lavori.
Eppure, la notizia del convegno promosso dal Commissario Straordinario per le bonifiche Vera Corbelli era stata fatta circolare. InchiostroVerde, nel suo piccolo, aveva lanciato un input nella speranza che più di qualcuno potesse raccogliere l’invito a partecipare. Invece, per l’ennesima volta, abbiamo avuto la conferma di quanto la cittadinanza sia distratta e disinteressata rispetto a temi che riguardano da vicino il suo futuro. Il tutto alla vigilia di un’importante riunione del tavolo di concertazione per Taranto, convocata a Roma per il prossimo 23 settembre.
In gioco c’è, tanto per iniziare, il recupero del mar Piccolo, pesantemente inquinato (nel primo seno) da pcb e diossine, sostanze ereditate da decenni di inquinamento. Tra i responsabili, com’è noto, figurano la grande industria e l’Arsenale Militare. Ma colpevole è stata anche la mano di altri. Sui fondali del mar Piccolo si può trovare di tutto: dalle carcasse d’auto (almeno 120) alle barche lunghe venti metri (com’è capitato ieri), dai letti di ospedale alle sedie a rotelle. Un’immensa discarica che non si fa mancare nulla: nemmeno gli ordigni bellici risalenti all’ultimo conflitto mondiale.
La Corbelli ha confermato l’intenzione di avviare un’attività di ripulitura dei fondali, che vedrà coinvolta anche la Marina Militare. Per quest’ultima dovrebbe essere un modo per riscattarsi, almeno in minima parte, dei guasti ambientali prodotti per decenni con l’attività dell’Arsenale. Non è un caso, infatti, che la zona più compromessa dall’inquinamento sia l’area “170 ha”, quella strettamente legata alla storia dell’Arsenale, di cui abbiamo ampiamente parlato sul nostro sito con il prezioso aiuto del collega Gianmario Leone del TarantoOggi. La Corbelli ha spiegato che ci sono approfondimenti in corso. Sono state compiute indagini geofisiche che – in alcuni tratti – sono giunte a oltre 50-60 metri di profondità. In futuro si procederà con 50 sondaggi e il prelievo di 250 campioni per studiare ulteriormente lo stato del mar Piccolo.
Ma al di là della pulitura dei fondali, cosa si prevede per il disinquinamento? Scartata l’ipotesi del dragaggio, sconsigliata dagli esperti per i danni ambientali che ne deriverebbero, ci si interroga ancora sul capping e sulla rinaturalizzazione assistita, che ha i suoi maggiori supporter tra gli ambientalisti. La notizia di oggi è che torna d’attualità una proposta avanzata nel febbraio scorso da Ance Taranto (l’associazione costruttori edili associata di Confindustria) con Studio Start, grazie ai contributi del CNR di Taranto e all’apporto tecnico delle Officine Maccaferri SpA. L’idea, lanciata proprio nella sede di Confindustria, riguardava un intervento di “capping rinaturalizzante”, ovvero il rivestimento del terreno inquinato con materassi filtranti reattivi, costituiti da organicoclay (composti con argilla bentonitica reattiva miscelata con sabbia e ghiaia).
Davanti a quell’ipotesi si sollevarono forti dubbi e perplessità da parte di esperti e conoscitori del mar Piccolo, preoccupati per le possibili ripercussioni di tale intervento rispetto all’ecosistema marino. Qualcuno avanzò anche sospetti sugli interessi economici che gravitano intorno a investimenti che prevedono l’impiego di fondi pubblici. In quel periodo, non si spalancarono nemmeno le porte del commissario Corbelli, tanto che a fine marzo l’Ance diffuse una nota in cui scriveva: “Si prende atto della valutazione prudentemente negativa di inadeguatezza e possibile dannosità del capping”.
Da allora, però, qualcosa deve essere cambiato, visto che tra i relatori del convegno c’era anche l’ingegner Francesco Ferraiolo della Maccaferri, protagonista di un focus tecnologico. «L’altra volta c’è stato un grosso fraintendimento – ci ha riferito Ferraiolo – per questo abbiamo chiesto alla dott.ssa Corbelli di riproporre la nostra idea. E ci è sembrato giusto farlo nel contesto del “laboratorio Taranto”. Si tratta di una proposta di sperimentazione che non ambisce ad essere l’unica soluzione possibile per il mar Piccolo. In realtà, non c’è mai stato un accantonamento né una riscoperta dell’idea. Noi ci auguriamo che venga accolta». Sull’individuazione delle aree da utilizzare per la sperimentazione, però, l’uomo della Maccaferri ha alzato le mani: «La scelta non spetta a noi». Al momento, quindi, il quadro resta tutto da definire. Farraiolo ha voluto precisare, inoltre, che non si tratterebbe di una tipologia di capping tradizionale, ma di un intervento adattato alle esigenze particolari del mar Piccolo.
Che il dialogo sia, comunque, ripreso lo ha confermato anche la Corbelli che ha accennato alla possibilità di sperimentare questo intervento nel secondo seno, dove la situazione ambientale è meno compromessa. Cosa ci sia dietro questo inatteso cambio di atteggiamento nei confronti della proposta targata Ance-Confindustria-Maccaferri non è ancora chiaro. E’ un punto su cui torneremo al più presto, anche per scacciare i soliti sospetti sul potere che sono in grado di esercitare determinati gruppi economici. Da segnalare, infine, che tra le poche note polemiche emerse durante il convegno è giunta quella di alcuni attivisti del Movimento 5 Stelle ed, in particolare, da Bartolomeo Lucarelli che ha posto due quesiti rimasti, però, senza risposta: «Che senso ha bonificare con le fonti inquinanti ancora attive? Come applicherete il principio “chi inquina paga?”».
Alessandra Congedo