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«E’ tempo di scelte epocali» – Cataldo Portacci: a 88 anni suona la sveglia ai tarantini

TARANTO – Un amore lungo ottantotto anni. Anzi di più. Il legame tra Cataldo Portacci e il mare non nasce con lui nel 1927,  ma trae origine da un passato molto lontano, che trova tracce anche nel Settecento. Prima di lui, ci sono state generazioni di uomini e donne che hanno vissuto grazie al mare e per il mare. Ne citiamo alcuni: il nonno paterno Cataldantonio Portacci, capobarca mitilicoltore (caporale dei cozzaruli), e il nonno materno Cataldo Albano, uno degli ultimi “guardacqua” della storia. Poi gli zii paterni Francesco e Nicola, entrambi coltivatori di ostriche e mitili, e il bisnonno paterno Nicola, esperto pescatore di anguille con la tecnica del concio.

Nomi da snocciolare con orgoglio, frammenti di vita messi insieme dopo una certosina attività di ricerca in diversi archivi storici. Gran parte di questo lavoro è stato raccolto nel libro Diario di un Tarantino Verace”. E’ l’eredità di un uomo che ama raccontare la sua storia, che è anche la storia di un’intera comunità, ovunque sia possibile: nelle scuole, nei convegni, nelle piazze. Tra adulti e ragazzi, soprattutto studenti, a cui trasmettere tutta la sua passione per le tradizioni e i valori di un tempo.  Abile maestro d’ascia – arte tramandata dal padre Angelo (classe 1899) quella di realizzare barche – e militante del Partito Comunista, Cataldo Portacci parla con un entusiasmo e una lucidità tali da far impallidire i ventenni di oggi.

Così, tra un aneddoto e l’altro, sfoglia album di foto dall’indiscutibile valore storico oppure indica nella stanza una barca in miniatura e una pinna nobilis, oggetti che ancorano a qualcosa di materiale ciò che è custodito nella memoria. La sua abitazione è nel quartiere Tamburi, a  poche centinaia di metri dalle ciminiere dell’Ilva. Quando accenna alla doppia colonizzazione industriale subita dalla città – prima l’Arsenale Militare, poi l’Italsider – scatta l’indignazione per scelte sconsiderate che hanno spinto Taranto a voltare le spalle al suo mare, a quel mar Piccolo, soprattutto il primo seno, così ricco di pesci e mitili, oltre che di storia e cultura, condannato dalle diossine e dai pcb prodotti  dai cantieri navali e dal Siderurgico.

Il declino del mar Piccolo cominciò con la realizzazione dell’Arsenale Militare, nella seconda metà dell’Ottocento. Erano anni di sofferenza per una città forse troppo chiusa in se stessa e desiderosa di nuovi slanci economici. Fu quello il tempo della prima grande illusione. «Ricordo che mio nonno Pasquale imprecava perché vennero distrutte le vecchie “sciaje”,  dove si coltivavano i mitili e le ostriche – racconta Portacci come se avesse davanti agli occhi le immagini di quei luoghi tanto cari ai suoi avi –  la popolazione non si rese conto del danno che si stava compiendo. Se è vero che la costruzione dell’Arsenale aprì una nuova fase storica ed economica della città, è anche vero che il prezzo da pagare fu altissimo. Taranto avrebbe meritato ben altro sviluppo, ma anche allora pesò la posizione strategica del porto ionico nell’ambito degli interessi nazionali».  

Negli anni Sessanta del secolo scorso, arrivò l’altra batosta. «Con la seconda colonizzazione industriale (l’avvento del Siderurgico, ndr) è crollato tutto ciò che era stato gelosamente custodito – evidenzia Portacci – ora è difficile trovare una soluzione al danno ambientale causato da uno sviluppo distorto del territorio. Il percorso per chiudere l’Ilva sarà lungo e difficile per ciò che lo stabilimento rappresenta nel contesto internazionale. Bisognerebbe seguire l’esempio della Ruhr, in Germania, e mettere la salute al primo posto. Se sviluppo ci deve essere, dev’essere di tipo eco-compatibile. Non si può morire per lavorare».   

Poi aggiunge: «Penso che Taranto stia vivendo il periodo più critico della sua storia recente e che debba compiere delle scelte decisive. Serve una svolta epocale.  I tarantini, in primo luogo,  devono arrivare ad una presa di coscienza più decisa ed impegnarsi per uno sviluppo economico differente. Questa città non può fare a meno di un piano strategico fattibile, con un programma certo. Senza la messa in sicurezza e la bonifica del mar Piccolo e senza la rivalutazione del nostro centro storico non si va da nessuna parte. La Città Vecchia non può essere considerata una costola staccata dal contesto cittadino. Nell’ambito del piano regolatore, il centro storico deve svolgere un ruolo specifico: quello di centro direzionale della pesca, della mitilicoltura e del turismo. Turismo e cultura: devono essere le parole chiave per l’avvenire di Taranto». 

Per Cataldo Portacci non ci sono dubbi: bisogna ripartire dai valori dei nostri antenati per puntare al riscatto della città, rendere solido il ponte tra passato e presente per lanciarsi in  un futuro realmente sostenibile. Pensa con rammarico a tutte gli sforzi progettuali e alle idee partorite  negli anni scorsi per consentire una svolta radicale al territorio. Progetti che non hanno mai trovato una sponda credibile e concreta nelle istituzioni. «Senza il suo mare, Taranto non potrà mai avere un orizzonte di rinascita», sottolinea con la consapevolezza di chi conosce il valore di un patrimonio sottostimato dai più.

L’amore di Cataldo per il mare ha trovato un degno erede nel figlio Giuseppe (nella foto in alto, ndr), che a stretto contatto con le bellezze e i guai del mar Piccolo ci vive da tempo, anche grazie alla sua attività di tecnico in biologia del mare per il Cnr di Taranto. «La priorità per salvare il mar Piccolo è una sola: smettere di inquinare. Altrimenti di cosa parliamo? – è la sua domanda retorica – è assurdo pensare di poter ripristinare la situazione ambientale senza chiudere le fonti impattanti.  Solo dopo possiamo parlare di altro, a cominciare dalla rinaturalizzazione assistita. Dopo aver visto gli otto decreti “salva Ilva” e i risultati deludenti ottenuti negli ultimi anni, non credo ci sia altra via, anche perché il mar Piccolo ha dimostrato una grande resilienza e una capacità di recupero mirabolante. Bisogna fermare le attuali fonti contaminanti, non solo individuare tutti i punti di accesso».

Giuseppe Portacci accenna alla messa in sicurezza delle aree inquinate dall’Arsenale Militare, in maniera particolare l’area ex IP. Poi,  il discorso scivola inevitabilmente sulle responsabilità dell’Ilva. «Se si scopre che una fonte contaminante è rappresentata dalla falda che sta sotto il parco minerali e sotto la discarica “Mater Gratiae”, che è stata resa legale in modo “illegale”, che  si fa? E se mancassero i soldi per intervenire? D’altronde il ministero dell’Ambiente si è già espresso più volte contro l’impermeabilizzazione del terreno sotto il parco minerali. I tarantini devono decidere una volta per tutte cosa vogliono fare della loro città e del loro mare. Non è possibile procrastinare ulteriormente».  Di tempo se n’è perso già tanto. «Che ne è stato dell’Università verde di Taranto, di cui  si parlava negli anni Novanta o del Polo Scientifico Tecnologico da realizzare sul mare? – domanda Giuseppe  Portacci– è mancata la spinta propulsiva perché non avevamo un’università nostra e mancava una classe intellettuale adeguata. Quest’ultima, infatti, era espressione delle classi industriali e sindacali. Non c’erano alternative».  

Sotto accusa finisce anche la classe accademica attuale che ha accolto con applausi scroscianti (e imbarazzanti) l’intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, nel corso del convegno di studi sulle bonifiche tenuto a Taranto il 20 luglio scorso. Lo stesso personaggio politico che in una intercettazione telefonica condotta dal Noe nell’ambito dell’inchiesta sull’inquinamento e i decessi procurati dalla Centrale a carbone di Vado Ligure, parla della necessità di scrivere “una porcata”  – a livello legislativo – seguendo l’esempio di quanto fatto per l’Ilva di Taranto. 

«Quegli applausi hanno rappresentato qualcosa di molto grave – rincara la dose Portacci – perché sono venuti da una classe accademica che dovrebbe avere una coscienza civile e civica legata proprio al ruolo che ricopre. Quella persona non doveva essere applaudita da professori ordinari e luminari della scienza. Quel giorno abbiamo assistito ad un ennesimo schiaffo alla città». Una città che dovrebbe ritrovare il senso del suo stare al mondo  puntando proprio sul rilancio della mitilicoltura, fiaccata in questi giorni da un’altra crisi senza precedenti. Le alte temperature di questa lunga estate hanno comportato una straordinaria moria di cozze e la perdita per il comparto di circa 15 milioni di euro. Un’altra mazzata dopo quella subita negli anni scorsi dall’inquinamento. Ma per i Portacci non è il tempo della rassegnazione. “Insieme, naucame a’recatta”: remiamo veloci, arriviamo al traguardo, per la rinascita del mar Piccolo e della nostra città“, scrive Cataldo in un libro. Ha 88 anni e grinta da vendere. Perché non dovremmo ascoltarlo?

Alessandra Congedo

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