Lo spacchettamento era stato spiegato dall’azienda come una sorta di atto dovuto, per il fatto che i call center di Taranto e via di Priscilla sono in perdita, 5 milioni quella registrata nel 2014 in Puglia, al contrario di quello di Parco Leonardo. La multinazionale nel corso di questi mesi ha affermato di aver speso 25 milioni di euro dal 2010 ad oggi tra copertura delle perdite e aumento di capitale. Qualora fosse partita la societarizzazione, la spa ‘In & Out’ per sopravvivere avrebbe dovuto cercarsi da sola le commesse ed avviare un’inevitabile ristrutturazione visto che la societarizzazione avrebbe di fatto diviso la struttura in perdita da quella in guadagno. Inoltre, per la spa ‘In & Out’ non era stata esclusa la possibilità di vendita se i conti dovessero peggiorare.
Su queste basi è partita una durissima trattativa durata quasi due mesi, con l’azienda che chiedeva la replica dell’accordo siglato nel gennaio del 2013 e scaduto lo scorso 30 giugno con l’applicazione di ulteriore flessibilità (preavvisi minimi, obblighi a rimanere in caso di aumenti di flussi, turni spezzati a 3 h, ecc…), oltre alla riduzione oraria settimanale (dalle attuali 40-33 alle future 24-20). Condizioni sin da subito rigettate dai sindacati di categoria nazionali e locali, che insieme ai lavoratori hanno rifiutato di scendere a patti con l’azienda, accettando ulteriore flessibilità e riduzione dello stipendio. L’accordo prevede anche un percorso che azienda e sindacati dovranno portare avanti attraverso una serie di azioni, che migliori l’efficienza dell’azienda e la rilanci sul mercato. L’accordo sulla solidarietà verrà definito negli ulteriori dettagli in un nuovo incontro che si terrà domani all’Unione industriali del Lazio, mentre per il confronto azienda-sindacati le parti si sono date un nuovo appuntamento a settembre.
Intanto, proprio nel giorno in cui azienda e sindacati trattavano sul futuro della società in Italia, la multinazionale francese annunciava i risultati del primo semestre: un utile netto di 83 milioni di euro, in aumento del 45,1% rispetto all’anno scorso. L’EBITA corrente ha raggiunto i 144.000.000 di euro contro i 100 milioni del 2014, con un incremento del 43,6%. L’EBITA corrente di vendite nette è aumentato a salire al 8,7% contro il 8,1% del primo semestre del 2014. Le vendite del gruppo di contact center sono stati pari a € 1.658.000, con un incremento del 33,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Infine si attende di capire cosa ne sarà della proposta di legge sui call center presentata lo scorso mese a Catania dalla prima firmataria, la deputata Luisa Albanella, e da Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro della Camera dei deputati.
I punti principali riguardano lo stop ai benefici per le aziende che delocalizzano, fine delle gare al massimo ribasso e via libera alla continuità occupazionale in caso di cambio d’appalto. Depositata a fine aprile dopo un’indagine conoscitiva, ma presentata ufficialmente di fatto solo lunedì, il testo vuole porre fine alla giungla degli appalti dei call center. La proposta di legge prevede che anche le aziende con 15 dipendenti che intendono localizzare perderanno gli incentivi (prima la soglia era a venti). Non solo: chi ha beneficiato degli sgravi e poi ha delocalizzato, in deroga alla legge, sarà costretto a restituire quanto ricevuto negli ultimi cinque anni. Sul principio del massimo ribasso, il vero tallone d’Achille del settore, la proposta di legge introduce il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa che comporta la presa in considerazione, per il committente, di altri criteri nell’assegnazione della commessa al netto – ed è questa la vera novità – del costo del lavoro, che dovrà essere escluso dal conteggio finale. Una legge che se approvata in fretta potrebbe aiutare e non poco i lavoratori del call center tarantino.
Gianmario Leone (TarantoOggi)
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