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Taranto, il fronte anti-trivelle scrive al Prefetto

“Abbiamo appreso con profonda preoccupazione della prosecuzione con esito positivo dell’iter autorizzativo finalizzato alla ricerca di giacimenti di idrocarburi da parte di diverse compagnie petrolifere in un esteso specchio di mare del Golfo di Taranto”. E’ quanto si legge in una lettera indirizzata al Prefetto di Taranto, Umberto Guidato, dai presidenti di nove associazioni (Taranto O.P.E.R.A., Casartigiani, C.L.A.A.I. , Confcommercio, AGCI Pesca, LEGA Pesca, UNCI Pesca, S.I.B. , Federalberghi) al fine di ottenere l’istituzione di un tavolo tecnico consultivo, con la partecipazione delle istituzioni scientifiche (allargato alle associazioni di categoria) che sia in grado di redigere un quadro informativo sui possibili rischi derivati dalle attività di ricerca di giacimenti di idrocarburi da parte di diverse compagnie petrolifere in un esteso specchio di mare del Golfo di Taranto.

“Le nostre apprensioni in merito – scrivono le associazioni –  sono state aggravate da quanto disposto dal Ddl “Sviluppo” (Disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia) in quanto all’articolo 27 recita “Il permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi (…) è rilasciato a seguito di un procedimento unico al quale partecipano le amministrazioni statali e regionali interessate. (…) Del rilascio del permesso di ricerca è data comunicazione ai comuni interessati”». La tecnica utilizzata per la ricerca, in primis, dovrebbe essere quelle delle Air Gun, attraverso, quindi, l’impiego di navi per la ricerca geofisica nella zona oggetto delle prospezioni, le quali operano trainando sia le sorgenti di energia elastica (airgun) che il cavo di registrazione (streamer). Una consultazione preliminare tuttavia «ha fatto emergere che esistono ancora notevoli interrogativi dei reali effetti di questa metodologia sull’ambiente marino e nello specifico sulle risorse alieutiche. In secundis, sono previste installazioni di piattaforme finalizzate alle perforazioni esplorative”.

“Valutato che l’area sottoposta alle azioni di ricerca  – continuano – coincide con il fulcro delle zone di pesca e di altre attività obiettivate alla fruizione dell’ambiente marino le associazioni si chiedono «come sia stato possibile pensare di coniugare questa nuova operazione di sfruttamento della risorsa mare con le citate realtà produttive locali, in un contesto ambientale già ampiamente sacrificato nel corso negli ultimi 150 anni”. Secondo le associazioni “ulteriori interdizioni degli specchi acquei destinati alla pesca, eventuali danni ad un ecosistema santuario di mammiferi e cetacei marini, successive limitazioni alla fruizione del mare e delle coste dell’intero golfo di Taranto, sarebbero non solo intollerabili ma anche e soprattutto insostenibili dalle nostre imprese, così come il risultante deterioramento del brand dei prodotti\servizi dell’intera azienda Taranto”.

“ La zona di Taranto  – proseguono –  è inoltre stata dichiarata “area ad alto rischio ambientale” ai sensi della legge 349/86 e ssmm dal DPCM 30/07/97, dichiarazione ribadita poi nel Decreto Legge “Salva Taranto” emanato nel Gennaio 2015. L’impianto d’intervento normativo prevede dei Piani di bonifica e messa in sicurezza dell’area Ionica, programmi per la rivalutazione dell’economia all’insegna dello sviluppo turistico, delle attività primarie legate al territorio, della cultura e della valorizzazione ambientale. Tutto ciò «appare in netta contraddizione con le prossime azioni di ricerca e di eventuale estrazione e sfruttamento degli idrocarburi».

Visto che «gli effetti delle tecniche di ricerca sono tuttora controversi, intendiamo richiamare ed avvalerci di quanto disposto dalla Decisione 193/626/CEE del 25/10/93 sul Principio di Precauzione, la quale recita che le “informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto”.

“In tal senso si propone anche di incaricare ufficialmente gli enti scientifici territoriali, IAMC CNR Talassografico di Taranto e il settore di biologia marina dell’Università di Bari, “per redigere un organico quadro informativo su tutti i possibili rischi delle prossime eventuali azioni di ricerca ed estrazione di idrocarburi sull’ambiente marino del Golfo di Taranto ed in particolare sulle risorse alieutiche”. Considerato che “si è di fronte ad un vero e proprio allarme che rischia di avere contraccolpi socioeconomici ed occupazionali devastanti e – concludono le associazioni- per scongiurare ogni pericolo legato a situazioni di forte coinvolgimento emotivo degli operatori, cogliamo, l’occasione per sollecitare l’istituzione di un tavolo consultivo, con la partecipazione dalle associazioni di categoria e delle istituzioni scientifiche, in grado di esprimere garanzie per la produttività futura dei settori interessati”.

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