L’Ilva punta al dissequestro dell’altoforno 2
TARANTO – L’Ilva avrebbe presentato ieri al tribunale del Riesame di Taranto l’istanza in cui chiede il dissequestro con facoltà d’uso dell’altoforno 2, sequestrato dalla Procura di Taranto venerdì sera. La notizia è stata diffusa nella tarda serata di ieri da fonti sindacali e aziendali che la davano per certa. In attesa del pronunciamento, l’azienda comunque non interromperà le operazioni per lo spegnimento dell’impianto, che secondo le previsioni dovrebbero durare all’incirca due settimane. L’istanza di dissequestro poggerebbe su due assunti: il primo, ma questa non è una novità visto che l’azienda l’ha fatto presente nell’incontro di venerdì con i sindacati a cui erano presenti anche i legali dell’Ilva, è che le prescrizioni ordinate dallo SPESAL da attuare entro 60 giorni (vietare l’uso del “pozzino” ghisa per i prelievi riferiti al controllo di temperatura, spostare la postazione dei prelievi, da frontale a laterale, e realizzare una protezione maggiore per gli operatori del piano di colata) sono state già attuate. E tra l’altro, è l’assunto dell’azienda, lo SPESAL non aveva ordinato il fermo dell’altoforno 2.
Ma in allegato all’istanza di dissequestro, l’azienda avrebbe presentato la relazione dei tecnici della Paul Wurth, incaricati di fare chiarezza su quanto accaduto l’8 giugno scorso, nel più breve tempo possibile. Dalla Germania è infatti sceso un tecnico che tra l’altro ha dichiarato come un incidente del genere nei loro impianti siderurgici non si sia mai verificato (come del resto anche all’Ilva di Taranto). Due giorni dopo sul luogo dell’incidente si sono recati due Rsu della Fiom Cgil di Taranto, che segnalarono che gli “ugelli di raffreddamento della ‘macchina a tappare’ (MAT) risultano in avaria da diverso tempo” e che anche il sistema di regolazione della quantità necessaria di ‘massa a tappare’ presente sulla MAT risulta ‘in avaria’, in tal modo “determinando un errato dosaggio della stessa”.
Tali rilievi – scrisse la Fiom in una nota – sono stati segnalati allo Spesal che ha effettuato il verbale n.223/15/RL redatto il giorno dopo l’incidente. Stando a quanto trapelato nella giornata di ieri però, la relazione della Paul Wurth tende ad escludere che la responsabilità di quanto accaduto sia da addebitare ad un mal funzionamento dell’impianto, quanto più ad un’errata manovra umana. Una tesi che ovviamente non collima con quanto sin qui dichiarato dai dieci indagati (fra questi ci sono anche il direttore dello stabilimento Ruggero Cola e i responsabili della sicurezza) e dai lavoratori presenti al momento dell’incidente, i quali durante i loro interrogatori hanno ripetuto come un mantra la stessa versione: escludono l’errore umano, pur dichiarandosi increduli per quanto accaduto. Visto che un incidente del genere non si era mai verificato prima d’ora. Nessuno di loro infatti è stato in grado di darsi una spiegazione su quanto accaduto. Né perché vi sia stata quella reazione così potente da generare una fiammata alta oltre dieci metri e durata oltre trenta secondi, che ha investito in pieno l’operaio Morricella (mentre era intento a fare un controllo di temperatura).
Certo è che la Procura, da par suo, proseguirà la sua inchiesta per capire cosa sia effettivamente avvenuto in quei momenti. E, per esperienza, possiamo prevedere che il Riesame consentirà la facoltà d’uso ma manterrà in piedi il sequestro dell’impianto (come avvenne già il 7 agosto del 2012), in quanto è bene sempre ricordare che siamo in presenza di un luogo in cui si è verificato non un semplice incidente, ma un omicidio colposo. Del resto, il sequestro era un’operazione alquanto prevedibile e logica, anche se avvenuta con ben 12 giorni di ritardo. La tesi che ha portato gli inquirenti a tale decisione, si basa su tre aspetti ben chiari: non è ancora chiara la dinamica dell’incidente costato la vita a Morricella; se e perché nel caso non sono state adottate misure di sicurezza; e perché dopo l’incidente dell’8 giugno si sono stati altri due episodi sullo stesso impianto. Per la Procura, quindi, se l’altoforno 2 continuasse a funzionare, sarebbe un pericolo grave per tutti.
Inoltre, la Procura ha acceso i riflettori anche sui DPI, i dispositivi di protezione individuale, ovvero i prodotti che hanno la funzione di salvaguardare la persona che l’indossi o comunque li porti con sé, da rischi per la salute e la sicurezza. Sin dal giorno dell’incidente infatti, abbiamo sostenuto come più di qualcosa non fosse chiaro sul luogo dell’incidente in merito a questa vicenda. Perché come abbiamo scritto sin dal primo momento, tanti sono i dubbi sugli indumenti indossati da Morricella (e su quelli eventualmente non indossati) e i suoi colleghi al momento dell’incidente e, più in generale, durante le operazioni di lavoro. Perché il sospetto, atroce, che qualcosa manchi all’appello, un piccolo grande dettaglio però determinante in questa vicenda, lo hanno avuto in tanti sin dal primo istante. Non è un caso del resto se l’azienda abbia fatto partire sin da subito un’indagine interna, alla quale invece stanno lavorando anche esperti universitari, che riguarda le caratteristiche e l’idoneità degli indumenti di protezione usati dal personale Ilva addetto ai piani di colata degli altiforni. Anche in questo caso infatti, i presenti al momento dell’incidente e i preposti alla sicurezza sostengono che Morricella e i suoi compagni indossassero tutti i dispositivi del caso al momento dell’incidente.
Ma qualcosa non torna in quanto non sono stati trovati addosso al Morricella tutti gli indumenti previsti. Né sono stati trovati nel suo armadietto e in quelli dei suoi compagni tutti i Dpi del caso. E’ impensabile quindi non fare la massima chiarezza su tutti questi aspetti. Ciò che appare certo, come abbiamo già avuto modo di riportare, è che più di qualche testa cadrà in Ilva. Almeno questa è stata la promessa e l’avvertimento lanciato dall’azienda anche ai sindacati. E il sequestro della Procura sembra essere stato proprio un segnale, o meglio un invito a parlare a chi sa e a chi c’era. Lo ripetiamo ancora una volta: bisogna dire la verità. Farla venire fuori tutta. Con coscienza e assunzione di responsabilità. Perché purtroppo Alessandro Morricella non tornerà più. Ma almeno possiamo fare in modo di evitare che vi siano altri morti. E’ l’unico modo degno per cui il suo sacrificio sarà valso a qualcosa. Per quanto questo possa bastare.
Gianmario Leone (TarantoOggi)