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Ilva, si indaga per fare piena luce sull’incidente dell’8 giugno

TARANTO – L’obiettivo, comune, è quello di fare chiarezza senza lasciare nessuna ombra. E nulla d’intentato. Per capire perché l’operaio Alessandro Morricella è morto. Cosa non ha funzionato, cosa è andato storto. E cosa poteva essere evitato. L’Ilva e la Procura di Taranto procedono su due strade parallele pur perseguendo lo stesso obiettivo. Ecco perché si è deciso il sequestro dell’area dell’altoforno 2 (seppur in ritardo di 12 giorni rispetto all’incidente e alle decisione dello SPESAL) e perché l’azienda, per ora, ha scelto di attendere qualche giorno prima di presentare l’istanza di dissequestro o quanto meno quella per richiedere la facoltà d’uso.

Del resto, come convenuto nella riunione di ieri mattina con le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici di Taranto, per le operazioni di spegnimento dell’impianto occorreranno all’incirca due settimane: tempo entro il quale sia l’azienda che la Procura sperano di aver fatto luce sui tanti punti oscuri ancora da chiarire. Tra l’altro, il sequestro è assolutamente logico nel contesto in cui ci si muove, ovvero quello di un omicidio colposo: è come se si fosse in presenza di un vero e proprio luogo del crimine (ben dieci gli avvisi di garanzia emessi dalla Procura nei giorni scorsi, tra cui il direttore dello stabilimento Cola).

Oltre alla Procura però, è soprattutto l’azienda che vuole vederci chiaro. Prima di tutto perché se un incidente del genere non è mai accaduto nella storia del siderurgico tarantino, questo vorrà pur dire qualcosa. Specialmente per un’operazione come la misurazione della temperatura della ghisa, che viene ripetuta diverse volte nel giro di poche ore. Una manovra di routine svolta da operai esperti e non certamente sprovveduti, come non lo era ad esempio Alessandro Morricella. Si vuol vedere chiaro ed appurare tutte le responsabilità di quanto avvenuto, visto che sono tanti, troppi, i punti sui quali i diretti responsabili e i presenti al momento dell’incidente ancora oggi non contribuiscono a chiarire come dovrebbero. Non è un caso infatti se oltre all’inchiesta della Procura (che indaga sulle esatte dinamiche di quanto accaduto e le responsabilità penali), siano ben due le inchieste interne avviate dall’azienda.

Una sull’altoforno 2 attraverso la consulenza di tecnici specializzati fatti venire dall’Italia e dall’estero, per cercare di capire cosa abbia determinato la fiammata e la fuoriuscita violenta che ha colpito Morricella e gli è risultata fatale danneggiandogli inevitabilmente diversi organi interni (e non quindi un getto di ghisa incandescente come invece si è pensato, detto e scritto anche da noi per oltre un settimana), considerato appunto che il prelievo del materiale per la temperatura è un’operazione che viene svolta da sempre ogni giorno su tutti gli altiforni. Su questo è stato affidato ai tecnici della Paul Wurth il compito di stendere una relazione sull’altoforno 2, ed evidenziare tutte le eventuali falle dell’intero processo di lavorazione. Visto che anche la Procura non ha escluso la possibilità che l’incidente possa anche essere frutto di un errore umano (oltre a non aver ancora chiaro cosa sia precisamente accaduto in quei momenti nell’impianto in questione). La seconda indagine, alla quale invece stanno lavorando anche esperti universitari, riguarda le caratteristiche e l’idoneità degli indumenti di protezione usati dal personale Ilva addetto ai piani di colata degli altiforni. I famosi DPI, i dispositivi di protezione individuale, ovvero i prodotti che hanno la funzione di salvaguardare la persona che li indossi o comunque li porti con sé, da rischi per la salute e la sicurezza.

Perché come abbiamo scritto sin dal primo momento, tanti sono i dubbi sugli indumenti indossati da Morricella (e su quelli eventualmente non indossati) e i suoi colleghi al momento dell’incidente e, più in generale, durante le operazioni di lavoro. Perché il sospetto, atroce, che qualcosa manchi all’appello, un piccolo grande dettaglio però determinante in questa vicenda, lo hanno avuto in tanti sin dal primo istante. E’ impensabile quindi non fare la massima chiarezza su tutto nel più breve tempo possibile. Ciò che appare certo è che più di qualche testa cadrà in Ilva. I tempi della gestione Riva, in cui tutto e tutti venivano coperti, in cui i lavoratori contavano meno di zero, almeno in queste settimane sembra essere del tutto tramontata. E il sequestro della Procura sembra essere stato proprio un segnale, o meglio un invito a parlare a chi sa e a chi c’era. Dire la verità. Farla venire fuori. Con coscienza e assunzione di responsabilità. Perché come prevedibile, ancora una volta questa città sta dando il peggio di sé in un momento in cui dovrebbe avvenire l’esatto contrario: sono già troppi infatti gli avvoltoi che altro non aspettavano.

Gianmario Leone

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