Al termine di quella riunione, fu ribadito ancora una volta il solito ritornello riguardante la “strategicità del Porto di Taranto e del suo terminal”. Nella nota diramata da Palazzo Chigi si affermava nuovamente come il porto di Taranto rappresenti “una priorità per il Paese e per l’Europa, nel quadro del cosiddetto Corridoio Nord-Sud. Per tale ragione, nel richiamare l’azienda TCT al massimo senso di responsabilità, il Governo ribadisce il proprio impegno ad operare per mantenere aperte le prospettive produttive e occupazionali del Terminal e tutelare al meglio i 540 lavoratori interessati dalla vertenza”.
Sino ad oggi però, non è giunto alcun segnale positivo sulla volontà di restare a Taranto e quindi sull’accettazione della pre-intesa siglata il 18 maggio scorso a Roma dal governo, dall’Autorità Portuale e dall’amministrazione comunale. Al di là delle prospettive che avrà il porto una volta terminati tutti i lavori infatti, è sempre più vicino il disimpegno della Taranto Container Terminal. In ballo ci sono infatti i 538 lavoratori a cui il 28 maggio è scaduta la cassa integrazione, ed attualmente sono in ferie forzate. Ma c’è anche e soprattutto la concessione della banchina del molo polisettoriale sino al 2061: che in caso di abbandono, è stato spiegato ieri, tornerebbe in possesso del governo e dell’Autorità Portuale. A quel punto l’obiettivo diventerebbe quello di attrarre nuove società terminaliste interessate ad operare nello scalo ionico sin da subito per quanto concerne il traffico “feeder”, per poi accrescerlo nel corso dei prossimi due anni così come previsto dalla pre-intesa del 18 maggio. Il 17 dunque, finalmente, si spera, l’oracolo parlerà.
Gianmario Leone
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