Gianluca, chi eri prima di lanciare “Made in Taranto”?
«Ero il braccio destro di Massimo Di Giuseppe, titolare di Vibrotek srl, azienda che produce masselli autobloccanti eco-compatibili. All’epoca mi occupavo del marketing dell’azienda e del coordinamento dei suoi sette agenti. Un’esperienza bellissima, entusiasmante, ma che mi costringeva a passare ore ed ore chiuso nel mio ufficio. La voglia di libertà mi ha voluto fuori da quel “paradiso” per lanciarmi nel confuso mondo delle relazioni e delle reti di imprese a cui “Made in Taranto” cerca di dare ordine e valore».
«Il progetto nasce dalla voglia di riscattare un territorio troppo spesso lasciato in balia di se stesso, nel quale primeggia solo chi ha denaro o potere. “Made in Taranto” vuole riscattare tutti coloro che finora non hanno avuto la possibilità di esprimere le proprie idee, progetti, investimenti perché troppo “piccoli”. “Made in Taranto” dà voce e “potere” ai singoli semplicemente “mettendoli in rete” secondo progetti calibrati e maturati in base ad una strategia comune. Passo dopo passo, si uniscono silenziosamente sempre più commercianti, piccoli imprenditori, professionisti. Non importa, però, fare numero. Ogni richiesta di adesione viene valutata attentamente per mesi, monitorandone le motivazioni e le potenzialità».
Che tipo di risposta stai ricevendo dalle istituzioni? E’ migliore o peggiore rispetto a ciò che ti aspettavi?
«La risposta è minima. Ma non ci aspettavamo nulla di più. Solo negli ultimi mesi, assistiamo ad una maggiore sensibilità. Tanto che, probabilmente, a breve ci saranno importanti novità in merito. Incrociamo le dita, dunque».
In base a quali criteri scegli i tuoi interlocutori?
«Vengono scelti in funzione dei singoli progetti programmati all’inizio dell’anno. Alla base di tutto si predilige l’onestà intellettuale, un “curriculum” integerrimo, la voglia di fare e la capacità di fare squadra».
Qual è il rapporto tra “Made in Taranto” e la politica?
«Il rapporto con la politica è limitato alla sottoposizione di specifiche proposte che volta per volta facciamo nei singoli settori: turismo, sociale e via dicendo. Da mesi, ad esempio, ci stiamo confrontando con il Comune di Taranto per far partire il progetto delle Family Card (My Friend) a sostegno delle famiglie dei pazienti oncologici. Ma la risposta tarda ad arrivare. Crispiano, Mottola, Ginosa (prima dello scioglimento del Consiglio comunale), si sono mostrati molto più “pronti”. Ma siamo fiduciosi».
Quale è stata la migliore soddisfazione finora ottenuta?
«La soddisfazione più grande sta nella mole di richieste di adesione che ci arriva da più parti. Ma il nostro processo di selezione è lungo e tortuoso. Non ci fidiamo delle promesse o delle apparenze. Altra grande soddisfazione è data dalla nascita (a brevissimo) della prima rete di imprese in seno a “Made in Taranto” per il settore abitativo e del risparmio energetico. Sette aziende della provincia di Taranto si stanno unendo per lavorare insieme ad uno sviluppo comune».
E la più grande delusione finora patita?
«La delusione è arrivata all’inizio, quando eravamo al top dell’entusiasmo. Era il novembre 2013. Un tale ci chiese aiuto perché guadagnava troppo poco. Le aziende non investivano su di lui e sulle sue capacità. Lo accogliemmo senza chiedergli neanche un euro. Gli facemmo pubblicità. Lo mettemmo in contatto con alcune realtà locali. Ma l’ingratitudine e l’abitudine a criticare l’operato altrui rese cieca questa persona che ci offese duramente. Eravamo tentati di querelarlo, ma poi cambiammo idea. Perché questa città ha bisogno d’amore».
A proposito di amore: cosa ami di più di Taranto e dei tarantini?
«Di questa città amo le mille opportunità che giacciono sotto ad una spessa coltre di indifferenza da parte dei suoi stessi abitanti. Sono opportunità importanti in fatto di lavoro, crescita, sviluppo, economia. Crediamo fortemente che i problemi siano delle mastodontiche opportunità. E che è proprio da essi occorre ripartire. Dalla soluzione al problema dell’inquinamento possono nascere numerosi posti di lavoro. La soluzione appunto c’è. Occorre solo aver la voglia di fare e di investire a livello politico».
Cosa rimproveri alla città?
«Una certa indolenza specie in chi si è abituato a convivere con il dolore o la sfortuna. A questa città rimprovero anche l’assenza del rispetto verso i propri concittadini. Un rutto da birra Raffo vale più di mille parole, diceva un amico. E molte volte sono più i rutti che le parole. Sui molti progetti per questa città non ci si confronta. Ci si rutta addosso. Perché ognuno giudica le proprie idee in base a quanto ci ha lavorato sopra, e non in base al valore di mercato. Perché il mercato è quello che è. Offerta e domanda decidono tutto. E le idee vanno giudicate in base a questo rapporto. Non in base a fantomatiche elucubrazioni pseudo scientifiche nate sulle ceneri di ipotesi già da altri abbandonate. E i numeri confermano questa mia idea».
Alessandra Congedo
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