Nei giorni scorsi la presidenza del Consiglio attendeva una risposta da TCT in merito al mantenimento della sua presenza o meno nel porto di Taranto. Risposta che non è arrivata né dal Cda della società, riunitosi il 15 maggio, né dall’assemblea degli azionisti di Tct – Hutchinson col 50 per cento, Evergreen col 40 e gruppo Maneschi col 10 – che si è riunita all’inizio di questa settimana. Mancata risposta in merito alla pre-intesa dell’11 maggio perché, stando a quanto si apprende, gli azionisti di TCT sono divisi tra loro sul che fare per il porto di Taranto e sarebbe molto forte la corrente di pensiero che punta a disimpegnarsi dall’infrastruttura pugliese in quanto i lavori di adeguamento promessi da diversi anni, in realtà sono partiti solo negli ultimi mesi.
La pre-intesa era infatti vincolata attorno ad alcuni punti tra i quali rinnovo della cassa integrazione per il personale per un altro anno, rientro del traffico container a Taranto dal 2017 partendo da una quota iniziale di 200mila TEU, impegno ad effettuare gli investimenti che competono alla parte privata, infine accettazione del cronoprogramma dell’Autorità portuale a proposito dei lavori in corso. Una risposta dal Cda di TCT, a cui l’assemblea degli azionisti ha rimandato la questione, potrebbe ora arrivare intorno al 10-12 giugno, ma da due settimane, intanto, Palazzo Chigi sta anche valutando possibili alternative se TCT dovesse effettivamente disimpegnarsi.
In tal caso, oltre a cercare nuovi gruppi disposti al subentro – circolano le ipotesi di Msc e Cma-Cgm che in passato si sono già serviti del terminal di Taranto -, il primo problema che si pone per il Governo è quello di assicurare la copertura degli ammortizzatori sociali alle 540 unità dell’infrastruttura. Da vedere, a tal proposito, se sarà possibile prorogare la cassa oppure bisognerà cercare altre soluzioni. Andrà poi valutato il rapporto contrattuale tra la società TCT e il concessionario, nello specifico l’Autorità portuale di Taranto. TCT ha infatti il terminal in concessione per 60 anni e va verificato se il ritiro anticipato del terminalista comporti obblighi e penali a carico di quest’ultimo. Un’altra verifica andrà poi fatta sulle attrezzature installate lungo la banchina usata da TCT, la cui acquisizione è avvenuta anche attraverso fondi pubblici.
Esistono, insomma, vari punti da chiarire qualora TCT formalizzasse la sua intenzione di abbandonare il terminal di Taranto rendendo così esplicita e ufficiale quella che, al momento, è solo un’ipotesi, seppure molto accreditata visto che il Governo l’ha inserita nel novero delle possibilità. Anzi, secondo alcune fonti, il fatto che Palazzo Chigi abbia voluto coinvolgere, per l’incontro del 3 giugno, anche i sindacati, si spiega col fatto di voler trovare insieme a loro una soluzione complessiva partendo appunto dalle garanzie occupazionali da offrire ai lavoratori, tema, questo, più volte posto dai sindacati e nei giorni scorsi ribadito anche con un presidio di protesta davanti alla Prefettura di Taranto.
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