Slitta ancora quindi la risposta definitiva sulla pre-intesa per il porto di Taranto con il Governo, firmata nei giorni scorsi anche dal sindaco di Taranto e dal presidente dell’Autorità portuale Sergio Prete, che si articola su una serie di punti tra cui il rinnovo della cassa integrazione per i 540 lavoratori della TCT e la conferma del cronoprogramma dei lavori di adeguamento e potenziamento del terminal container, con le prime opere pronte tra fine primavera e inizio estate 2016.
Previsto poi dall’intesa che la TCT si faccia carico, nell’anno di vigenza della cassa, degli investimenti che le competono direttamente (i lavori a carico della società terminalista riguardano l’ammodernamento delle dieci gru esistenti e l’installazione delle nuove, che saranno in grado di operare sulle portacontainer di ultima generazione). Gli investimenti sono legati a doppio filo al destino dei 540 lavoratori impiegati nel Taranto Container Terminal, la cui cassa integrazione straordinaria scade quest’oggi, senza dimenticare l’indotto su cui gravitano le attività del porto pugliese. Come ad esempio quelle degli autotrasportatori, che negli ultimi anni hanno visto crollare verticalmente e vertiginosamente la propria attività sul terminal pugliese. Il rinnovo della CIGS sarà concesso soltanto se la società ottempererà all’80% degli investimenti previsti, ammontanti ad un totale di 7 milioni di euro. Stante la situazione attuale, la TCT ha richiamato ieri tutti i lavoratori al rientro in azienda, perché terminando gli ammortizzatori sociali, è la stessa società a doversi fare carico degli stipendi per intero. In realtà, gli stessi resteranno a casa seppur pagati dall’azienda.
Infine, la pre-intesa stabilisce il ritorno a Taranto, dal 2017, del traffico container (con il ripristino di un minimo traffico merci a partire non prima del 2017, 200mila TEU l’anno, mentre si tornerebbe a marciare a regime nel triennio 2018-2021 con una media di 800mila-1 milione di TEU l’anno). Movimento a tutt’oggi azzerato dopo la decisione di Evergreen di togliere Taranto dall’approdo delle navi oceaniche (nel settembre del 2011 quando furono dirottate al porto del Pireo due linee internazionali su quattro del traffico merci, e proseguito poi con la decisione dello scorso 21 settembre con cui Evergreen cancellò dal suo sito istituzionale Taranto come approdo delle navi oceaniche) e di localizzare dal 20 maggio a Bari un “feeder” con lo scalo greco del Pireo, e di Taranto container terminal di fermare l’operatività dell’infrastruttura a seguito dell’avvio dei cantieri per i lavori di adeguamento.
Secondo alcune fonti ben informate, nelle ultime ore si sarebbe svolta una riunione tra alcuni rappresentanti dei tre soci della TCT, in cui sarebbe stato ufficializzato l’addio allo scalo ionico. Intanto il 3 giugno si terrà un incontro a Palazzo Chigi a Roma, tra il governo, le istituzioni locali e i sindacati di categoria: i quali chiedono certezze per il futuro dei lavoratori, sia che TCT resti a Taranto sia in caso contrario. Ed in questo servirà soprattutto l’aiuto dell’esecutivo per attrarre nel futuro nuovi operatori e società terminaliste. Ma in questo momento il futuro del porto di Taranto appare ancora una volta avvolto in fitte nebbie.
Gianmario Leone
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