Il tutto, come si ricorderà, era appunto previsto dall’ultima legge ‘salva Ilva’. Secondo cui “l’organo commissariale di Ilva S.p.A. è autorizzato a richiedere il trasferimento delle somme sequestrate”: operazione peraltro già prevista dalle leggi numero 89 dell’agosto 2013 e numero 6 del febbraio 2014. Ma mentre i provvedimenti precedenti ne disponevano diversamente l’uso – quella del 2014, per esempio, all’aumento di capitale dell’Ilva -, l’ultima indica invece come obiettivo unico “l’attuazione e alla realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dell’impresa in amministrazione straordinaria e, nei limiti delle disponibilità residue, a interventi volti alla tutela della sicurezza e della salute, nonché di ripristino e di bonifica ambientale secondo le modalità previste dall’ordinamento vigente”.
Secondo quanto previsto dalla legge, ora i commissari straordinari dell’Ilva spa potranno emettere obbligazioni pari all’importo sequestrato di 1,2 miliardi di euro. Obbligazione che saranno intestate dal Fug (Fondo Unico di Giustizia) e per conto dello stesso ad Equitalia Giustizia Spa quale gestore del Fondo. La misura cautelare del sequestro penale sulle somme, secondo quanto disposto oggi da Gip che riprende quanto previsto nella legge n.20 del 4 marzo scorso, si convertirà in sequestro delle obbligazioni di prossima emissione. Passaggio tecnico fondamentale è che ora l’ordinanza del giudice D’Arcangelo venga inoltrata quanto prima dalla Procura di Milano alla magistratura elvetica la quale, a sua volta, la notificherà alla banca Ubs di Lugano dove i soldi sono custoditi.
Ricordiamo infatti che il “tesoro” dei Riva si trova nelle casse delle banche svizzere Ubs e Aletti (gruppo Banco Popolare) ed è intestato ai famosi otto trust domiciliati sull’isola di Jersey, paradiso fiscale sotto la sovranità della corona inglese. A questo punto l’istituto di credito dovrebbe far rientrare i fondi in Italia in modo da essere impiegati per la sottoscrizione di obbligazioni da parte dell’Ilva in amministrazione straordinaria. Infine, il sequestro della somma verrà trasferito sulle obbligazioni. Secondo la legge infatti “il versamento delle somme sequestrate avviene al momento della sottoscrizione delle obbligazioni, in misura pari all’ammontare di queste ultime”. Inoltre, il credito derivante dalla sottoscrizione delle obbligazioni “è prededucibile (ai sensi dell’articolo 111 del regio decreto 16 marzo 1942, n.267, e successive modificazioni) ma subordinato alla soddisfazione, nell’ordine, dei crediti prededucibili di tutti gli altri creditori della procedura di amministrazione straordinaria nonché dei creditori privilegiati”.
Attualmente, secondo quanto dichiarò il commissario Gnudi durante un’audizione in commissione Industria al Senato lo scorso autunno, sono già su conti italiani 120 milioni (60 milioni liquidi e 60 milioni in titoli) del sequestro Riva e già presso il Fondo Unico per la Giustizia questo dovrebbe permettere ad Ilva, già fra poche settimane, di emettere le prime obbligazioni incassando le relative somme. Inoltre, secondo le nostra fonti e come riportammo tempo addietro, le risorse liquide sugli 1,2 miliardi di euro ammonterebbero a non più di 800 milioni di euro (ricordiamo che a luglio 2013 furono trovati dalla Procura di Milano e dalla Guardia di Finanza lombarda altri 700 milioni di euro in altri paradisi fiscali sempre di proprietà dei Riva).
E’ quanto mai probabile che i legali di Adriano Riva presenteranno un ricorso in Cassazione contro la decisione del gip D’Arcangelo, ma ciò non impedirà l’esecuzione del provvedimento. Dopo aver presentato un primo ricorso in Cassazione (sul quale è decaduto l’interesse al pronunciamento in quanto è cambiata la norma con l’entrata in vigore dell’ultima legge ‘salva Ilva’), durante l’udienza dello scorso 9 aprile i legali di Adriano Riva dello studio milanese Bana, si opposero nuovamente allo svincolo delle somme. La difesa di Adriano Riva – principale indagato nell’inchiesta, dopo la morte del fratello Emilio e l’unico rimasto della partita perché la famiglia di Emilio ha rinunciato all’eredità oggi affidata a un curatore nominato dal Tribunale di Varese – aveva già sollevato eccezione di incostituzionalità, affermando che la misura richiesta sarebbe anche contraria alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Il ricorso, del resto, era assolutamente scontato.
Da tempo, infatti, i Riva ritengono incostituzionale che si usino per l’Ilva soldi e beni sequestrati dalla magistratura per ipotesi di reato ben diverse da quelle ambientali, che questo avvenga con risorse sottoposte a sequestro preventivo e non confiscate, e il tutto con un procedimento giudiziario non ancora approdato alla conclusione delle indagini. Ma l’eventuale ricorso è appeso ad un destino alquanto incerto. Intanto però, le cose procedono. Visto che le somme sequestrate ai Riva si andranno ad aggiungere ai 400 milioni di euro di finanziamenti (300 saranno erogati da Cassa Depositi e Prestiti mentre altri 100 dalle banche Intesa e Banco Popolare) coperti dalla garanzia dello Stato (proprio ieri la Corte dei Conti ha dato l’ok al decreto del Mef in materia), e ai 156 milioni provenienti dal contenzioso Fintecna.
E’ chiaro però che le cose non termineranno qui. Perché oramai è limpido come il sole che l’esecutivo Renzi abbia di fatto realizzato un vero e proprio esproprio (visto che ancora oggi, sulla carta, la Riva FIRE che tra l’altro è stata mandata in liquidazione dal gruppo Riva poco tempo fa, è ancora di proprietà per l’87% del gruppo lombardo). Ed è altrettanto chiaro che il silenzio della Commissione Ue sugli eventuali aiuti di Stato da parte del governo Renzi nasconda una silenziosa e lunga trattativa tra le parti per far sì che il procedimento d’infrazione aperto più di un anno fa, si concluda senza morti e feriti (nonostante i continui strepitii e annunci di qualche guru locale ed europeo): altrimenti l’Ue sarebbe intervenuta per tempo.
Non solo. Perché voci provenienti dalla fabbrica e da altri ambienti, danno quasi per certo per i prossimi mesi, l’arrivo di importanti commesse per il siderurgico (proprio in questi giorni infatti Saipem ha annunciato di aver ricevuto comunicazione da South Stream Transport Bv della revoca della sospensione dei lavori, interrotti a dicembre. Sul progetto Saipem si era già aggiudicata contratti complessivi per 2,4 miliardi, di cui una commessa proprio con l’Ilva poi decaduta).
Ed è infine altrettanto chiaro come tutte queste operazioni, sommate alla richiesta di patteggiamento nell’ambito del processo ‘Ambiente Svenduto’ da parte dei commissari straordinari dell’Ilva, conducano ad un approdo ben preciso: la ripresa delle trattative con il gruppo franco indiano dell’ArcelorMittal, per la futura cessione del siderurgico tarantino agli indiani. Che poi altro non è che l’obiettivo dichiarato dallo stesso premier Matteo Renzi alla vigilia dell’ultima legge ‘salva Ilva’.
E così il cerchio si chiude. Mentre ancora una volta la città di Taranto resta a guardare. Dopo aver perso un’occasione storica negli ultimi tre anni per riprendersi in mano le sorti della città e scrivere un futuro diverso. Chi scrive da diversi mesi ha accettato, a malincuore, quella che è a tutti gli effetti una sconfitta: più umana, ideologica, che personale. Perché in questi 10 anni di storia di questo giornale, siamo sempre stati dalla parte della città, del rispetto della salute e dell’ambiente, dalla parte dei lavoratori per far sì che anche loro capissero che le sorti dell’azienda dipendevano anche da loro. Le cose sono andate molto diversamente da come ci auguravamo e sognavamo. Le colpe e le responsabilità sono di tanti. Se non di tutti. Continuare a far finta di niente come fanno in tanti, o addirittura lanciarsi su altre vicende ambientali regionali e non, è francamente disarmante e alquanto ridicolo. Ad maiora.
Gianmario Leone
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