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Colpevoli di in“giustizia” – Sotto processo chi cercò di bloccare i rifiuti diretti all’Italcave

TARANTO – Erano giorni freddi quelli a cavallo tra il dicembre 2010 e il gennaio 2011. Erano i giorni in cui il “Coordinamento di cittadini in lotta contro le discariche” della provincia di Taranto, si opponeva al conferimento dei rifiuti provenienti dalla Campania all’interno della discarica Italcave di Statte. Operazione prevista dal protocollo d’intesa firmato il 3 dicembre 2010 tra Regione Campania e Regione Puglia, per contenere l’emergenza rifiuti, “per il trasporto e lo smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi provenienti dagli impianti STIR della regione Campania presso impianti di discarica della regione Puglia (ovvero le tre discariche presenti in provincia di Taranto, Ecolevante spa di Grottaglie, Italcave spa di Taranto e Vergine spa di Taranto)”.

Quel protocollo d’intesa, era il frutto della gara indetta il 23 agosto 2010 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (Dipartimento della Protezione civile per la chiusura dell’emergenza rifiuti in Campania) per l’appalto del “Servizio di smaltimento, incluso caricamento e trasporto, fuori Regione ed in territorio italiano, di 61.000 tonnellate di rifiuti speciali non pericolosi codice CER 19.12.12 (frazione umida trito vagliata) prodotta e stoccata negli Stabilimenti di Tritovagliatura e Imballaggio Rifiuti urbani (STIR) della Campania”, vinto dal Consorzio Interprovinciale Trasporti Ecoambientali (CITE), operante in raccordo con alcune discariche site nella Regione Puglia, che indicò appunto quali impianti finali di smaltimento le discariche di rifiuti speciali non pericolosi della provincia di Taranto. Il bando di gara subordinava l’esecuzione dell’appalto proprio alla stipula di un protocollo di intesa tra le Regioni interessate a ricevere il conferimento della predetta tipologia di rifiuti e la Regione Campania: il 3 dicembre 2010 fu pertanto stipulato tra la Regione Puglia e la Regione Campania il protocollo d’intesa per un quantitativo pari a 45.000 tonnellate di rifiuti aventi codici CER 19.12.12 e CER 19.05.01.

Il “Coordinamento di cittadini in lotta contro le discariche” della provincia di Taranto, costituitosi per l’occasione, composto da poche decine di persone (come sempre avveniva in quegli anni), si opponeva a che questo territorio continuasse ad essere oggetto di sfruttamento ambientale. Per questo furono organizzati dei blocchi all’esterno della discarica Italcave, che si svolsero il 29 dicembre 2010, e il 3, 11 e 20 gennaio 2011. Ma l’opposizione a quell’attività, non era soltanto ideologica: tutt’altro. Perché il sospetto, sin da subito, era che in quei camion provenienti a decine dalla Campania, i rifiuti non fossero gestiti, trasportati e conferiti in discarica a norma di legge. Durante il presidio dell’11 gennaio infatti, venne raccolto del liquido che fuoriusciva dai camion. Quel che agli occhi dei manifestanti appariva senza ombra di dubbio come percolato, venne simpaticamente definito “olio motore”.

Di fronte alle rimostranze dei presenti, era stato risposto loro che quel materiale non proveniva dal contenuto dei mezzi, bensì era residuo di acqua piovana raccolta sul tragitto dalla Campania alla Puglia. Ma il liquido raccolto fu fatto analizzare da un laboratorio chimico della città: ed il responso non lasciò adito ad alcun dubbio. Nei documenti del laboratorio infatti, si leggeva testualmente: “Visti i risultati analitici conseguiti sui parametri richiesti dal committente e vista la provenienza del campione analizzato, limitatamente alla campionatura ricevuta, tenuto conto delle caratteristiche così come definite dal decreto legislativo 205 e, laddove applicabile, dal parere dell’Istituto Superiore di Sanità n.36565 del 5/7/2006 (II integrazione), si può affermare che il rifiuto corrispondente al campione analizzato è classificabile come CER 190703 percolato di discarica”.

Quindi trattavasi non solo di percolato di discarica, ma soprattutto di un codice diverso dai due previsti nel protocollo d’intesa firmato tra Regione Campania e Regione Puglia. Nel documento infatti, all’art. 3 che definisce le  “caratteristiche e provenienza dei rifiuti”era espressamente scritto quanto segue: “i rifiuti oggetto del presente Protocollo di intesa sono rifiuti speciali non pericolosi individuati dai seguenti codici: CER 19.05.01 e/o CER 19.12.12”. Non solo. Sempre nel Protocollo d’Intesa, all’art. 5 che definiva il “programma dei conferimenti”, era riportato quanto segue: “i mezzi di trasporto dovranno essere dotati di sistemi di contenimento a chiusura stagna al fine di scongiurare le eventuali emissioni odorigene e di escludere la possibilità anche teorica di perdite di percolato”. E’ utile ricordare come dai camion provenienti dalla Campania, fuoriuscisse un odore a dir poco nauseabondo. Oltre alla perdita costante del famoso percolato, visto che “non sono sigillati e non viaggiano in condizioni di sicurezza pubblica”.

Il 20 gennaio 2011, come avvenne il 3, i cittadini presenti bloccarono l’ingresso dei camion nella discarica. Dei quattro giunti dalla Campania infatti, solamente uno riuscì ad eludere il blocco ai cancelli e a scaricare i rifiuti. Ci furono piccoli attimi di tensione tra cittadini e forze dell’ordine, ma il tutto rientrò nel giro di un paio di minuti. D’altronde, il blocco dei mezzi campani, fu giustificato a gran voce dai cittadini presenti, attraverso una tesi inoppugnabile: “Le nostre analisi dimostrano che il protocollo d’intesa non viene rispettato: dovreste impedire l’accesso dei tir invece di impedire a noi di manifestare liberamente per i nostri diritti”.

La stranezza di quella giornata però, fu quello che avviene ad un certo punto di quel pomeriggio. Perché i camionisti campani, intuito che non avrebbero potuto scaricare i rifiuti, iniziarono a chiedere delucidazioni ai carabinieri del reparto del NOE su cosa fare. Perché sulla bolla di accompagnamento avevano bisogno del timbro della discarica da riportare in Campania. Ovviamente però, il NOE fece notare come, non essendo entrati in discarica non avrebbero potuto avere alcun timbro dall’Italcave. Dopo un paio di telefonate, fu presa la seguente decisione: gli stessi camionisti scrissero infatti sul verbale che “per motivi di ordine pubblico (!) non è stato possibile accedere all’impianto”. Una decisione davvero singolare quella presa all’epoca anche dal NOE. Non solo perché i cittadini presenti erano in minor numero rispetto a quelli del 3 gennaio scorso. Ma soprattutto perché, se i camionisti campani godevano di libertà assoluta nel comporre le bolle di accompagnamento, era alquanto lecito pensare che gli stessi potessero scarrozzare liberamente in giro per tutta la nostra provincia, giustificati da ciò che veniva scritto a stampatello su una semplice bolla di accompagnamento.

Il sospetto vero però, fu che molto probabilmente sia i dirigenti dell’Italcave che i carabinieri del NOE, vollero evitare di ripetere un pomeriggio identico a quello del 3 gennaio, quando i camion rimasero bloccati per ore all’esterno dell’impianto tarantino. Soprattutto, di fronte all’ennesimo blocco dei cittadini e alla prova provata che il protocollo d’intesa non veniva rispettato, si volle mandare un messaggio alla politica: non era più tempo di continuare con il giochetto del costante rimpallo delle responsabilità. Ma di sedersi attorno ad un tavolo e far rispettare le regole, dalla prima all’ultima. A richiederlo, erano d’altronde gli stessi cittadini in mobilitazione: “Chiediamo controlli stringenti e reali su tutti i camion che portano rifiuti nel nostro territorio. Chiediamo che venga annullata ogni autorizzazione a nuove volumetrie. Chiediamo chiarezza su cosa è contenuto nella tre discariche per rifiuti speciali (Italcave, Ecolevante e Vergine) presenti in provincia. Chiediamo di arrivare alla chiusura delle discariche private e degli inceneritori presenti sul territorio attraverso l’attuazione di serie politiche di raccolta differenziata e riciclo. Continueremo a opporci strenuamente, invece, ad ogni politica che continui a consentire che la provincia di Taranto sia trasformata nella pattumiera d’Italia”. Visto che il sospetto, per non dire la certezza, era che i rifiuti “arrivati in terra ionica non erano gli RSU rimasti per le strade napoletane, bensì i rifiuti speciali e le ecoballe stoccate nelle discariche temporanee campane da tempo immemore”.

Tra l’altro, con atto prot. A00089/10-02-2011 n. 1258 l’Ufficio Inquinamento e grandi impianti del Servizio Ecologia della Regione Puglia (Area politiche per l’ambiente, le reti e la qualità urbana), dopo aver rappresentato con nota del 9 febbraio 2011 la Polizia Provinciale di Taranto e il Comando dei Carabinieri del NOE di Lecce l’avvenuto accertamento del conferimento di rifiuti CER 19.12.12 provenienti dagli STIR di Tufino, Battipaglia e Giugliano della Regione Campania e derivanti dalla trito vagliatura di rifiuti urbani, evidenziava, tra l’altro, “la difformità di detti conferimenti rispetto alle previsioni definite nel Protocollo d’intesa stipulato tra Regione Puglia e Regione Campania in data 3 dicembre 2010 e dai successivi tavoli tecnici” e che “dato per conosciuto l’intero percorso finalizzato ad assicurare l’intesa con la Regione Campania per lo smaltimento di quota parte dei rifiuti stoccati presso gli STIR nonché le modalità di caricamento, trasporto e smaltimento definite dopo l’intesa in Conferenza Stato Regioni del 29 novembre 2010, si ritiene che per i rifiuti aventi codice CER 19.12.12, 19.12.02 e 19.05.01, assimilati, secondo l’art. 6 ter della legge n. 123 del 14 luglio 2008, alla tipologia di rifiuti aventi codice CER 20.03.01, debbano essere applicati i disposti dell’art. 1 comma 7 del D.L. 196 del 26 novembre 2010, convertito in legge con modificazioni dalla legge 1 del 24 gennaio 2011, n. 1, e che pertanto detti rifiuti siano conferibili esclusivamente nell’ambito delle intese stipulate tra Regione Puglia e Regione Campania”, diffidò tra gli altri anche l’azienda It. S.P.A. “dall’assumere comportamenti difformi rispetto a quanto previsto dal Protocollo di intesa stipulato tra Regione Puglia e Regione Campania”, raccomandando altresì “di scongiurare qualsiasi ulteriore conferimento di rifiuti derivanti dalla trito vagliatura di rifiuti urbani provenienti dagli STIR della Campania aventi codice CER 19.12.12, 19.12.02 e 19.05.01”. Dimostrazione del fatto che le proteste era del tutto legittime.

Qual è il problema? Che 21 di quei manifestanti, da ieri, ha iniziato un processo penale perché accusati di “interruzione di pubblico servizio”. Ancora una volta dunque, cittadini liberi che si oppongono alle decisioni della politica piovute dall’alto, sono di fatto vittime di operazioni di polizia politica, avallate dalla magistratura. Perché di questo si tratta, inutile prenderci in giro e fare ancora finta di non saperlo. Del resto, non si capisce perché sono stati denunciati soltanto in 21 e non tutti i manifestanti presenti in quei due mesi di proteste (che furono tra le 40 e le 50 unità). E’ lo stesso di quanto accaduto per i 32 cittadini che sono finiti a processo, con tanto di multa ad personam di oltre 3mila euro, per aver effettuato all’esterno del tribunale di Taranto una manifestazione “non autorizzata” durante la seconda parte dell’incidente probatorio dell’inchiesta sull’Ilva. 32 denunce su centinaia di persone presenti quella mattina tra via Marche e Corso Italia.

Tra i 32, nemmeno a dirlo, non ci sono gli organizzatori di quella manifestazione (appartenenti soprattutto all’area ambientalista da sempre molto “vicina” alle forze dell’ordine e ai poteri forti di questa città, checché ne dicano i su citati). Il fatto è che quei 21, quei 32, appartengono a movimenti, comitati, associazioni, oppure sono singoli cittadini, che fanno parte di quella piccola parte di questa città che ancora non si arrende e combatte a viso scoperto le ingiustizie e i soprusi che questo territorio subisce da anni nella più totale apatia della stragrande maggioranza dei cittadini. Quei giorni a cavallo del 2010 e del 2011 c’eravamo anche noi. Chi scrive c’era ed era lì come semplice cittadino. Schierato con altri cittadini liberi tra i camion colmi di rifiuti e gli scudi delle forze dell’ordine. Si era lì in pochi, al freddo pungente, a respirare l’area nauseabonda proveniente dalla discarica, dai camion e dall’acciaieria Ilva lì attigua. Si era lì per difendere un intero territorio. Mentre la stragrande maggioranza della gente che oggi straparla sui social network e si erge a paladino di non si sa bene cosa, era del tutto assente, indifferente, lontana chissà dove rispetto ai problemi di questo territorio. Del resto, i riflettori del 2012 erano ancora spenti.

Quei 21 cittadini si difenderanno. Ma non dovranno essere lasciati ancora una volta soli. L’udienza di ieri è stata la prima (rinviata al prossimo 19 ottobre, sono stati evidenziati diversi difetti di notifica). In solidarietà degli imputati ieri si è svolto un sit in a cui hanno partecipato una cinquantina di persone. Che hanno ribadito quanto scritto nel documento redatto lo scorso aprile dall’assemblea “#iostoconi21”: “È necessario rimettere al centro della vita pubblica la responsabilità che ogni cittadino ha nei confronti di se stesso e dell’altro, poter scegliere collettivamente per il bene pubblico partecipando senza delega, in prima persona e senza sotterfugi silenziosi. Una comunità va costruita  in seno alla rottura che essa stabilirà con i poteri forti, gli stessi che ne detengono il monopolio politico e speculano sul nostro futuro, relegandoci, con arroganza, nel buio della storia. Nulla va dimenticato tutto va costruito”.

C’è solo un modo di lottare e di opporsi al “sistema”. Schierarsi, metterci la faccia, stare per la strada, fare e creare comunità, anche attraverso la solidarietà e la comunanza di idee. Invece di continuare a dividere, ad offendere, ad accusare, a dileggiare sui social network nascosti tra le quattro mura di casa. Tutto il resto sono, come sempre, chiacchiere. Che in questa città abbondano e sono diventate da tempo francamente stomachevoli. “Per quel che riguarda il pane la cosa è chiara; per quel che riguarda la pace anche. Ma la questione cardinale della primavera va risolta a ogni costo” (Vladimir Majakovskij, Bagdati, 7 luglio 1893 – Mosca, 14 aprile 1930).

Gianmario Leone

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