Il concerto del 1 maggio a Taranto è da sempre essenzialmente questo: dimostrare che si può organizzare un evento di quel calibro, dal basso, autofinanziato, tenendo lontani gli sponsor faraonici delle multinazionali (un messaggio diretto anche e soprattutto in contrapposizione alla sfarzosa organizzazione dell’Expo di Milano), e quella politica e quei sindacati che troppe volte hanno tradito soprattutto il Sud di questo paese. Lasciandolo solo nei suoi drammi e nel combattere contro i suoi fantasmi centenari. Per questo c’erano i No Mous, le mamme della Terra dei Fuochi, i No al Carbone di Brindisi, i No Tap, i No Tav, i No Trivelle.
C’erano associazioni che ogni giorno lottano contro la camorra, la mafia e l’ndrangheta. C’erano persone che rappresentano degli esempi di legalità e giustizia (non a caso il tema di quest’anno era appunto “Legalità, quale Giustizia?”), che non hanno piegato la testa di fronte ai poteri forti e agli interessi dei soliti noti. C’era chi lotta ogni giorno contro il cancro causato dall’inquinamento, da una gestione criminale dei rifiuti e del territorio; chi combatte contro il pizzo; chi contro l’emarginazione, la povertà, la guerra come i tanti migranti giunti in riva allo Ionio dalla scorsa estate. Come ha detto Roy Paci (direttore artistico dell’evento insieme all’attore tarantino Michele Riondino), a Taranto “si respira un’aria diversa”. Tesi confermata dal cantante dei Subsonica Samuel Romano, che sul palco ha dichiarato che “chi organizza questa manifestazione ci insegna che vale ancora la pena di sognare”.E dall’amatissimo rapper pugliese Caparezza, che ha ammesso emozionato come “in 41 anni non ho mai visto nulla di simile in Puglia”.
Terra che ha adottato anche il simpaticissimo romano Andrea Rivera, che ha detto: “io dal piazzale San Giovanni ormai non ci passo più neanche con la macchina”. Sul palco, oltre ai tanti artisti (tra gli altri si sono esibiti Mannarino, i Marlene Kuntz, i Velvet, Elio Germano con le Bestierare, Roy Paci con Aretuska Allstars) sono saliti tantissimi esponenti di associazioni e comitati dei vari territori per lasciare la loro testimonianza. Spazio anche per il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, che ha ripercorso la storia degli ultimi tre anni dell’Ilva con i sette decreti varati dai vari governi per mantenere aperto il siderurgico tarantino, il più grande d’Europa. Una ricostruzione però lacunosa, condita da diversi errori storici, non all’altezza del palcoscenico, mielosa e inutilmente moralistica (“I 7 decreti sarebbe meglio definirli ammazza-Taranto” e “I tarantini meritano la medaglia d’oro della resistenza” ha detto Travaglio). Taranto dunque prova ancora una volta a ripartire. Prova ancora una volta ad unirsi e a riunirsi per riscrivere la sua storia, dopo i tanti errori commessi, con l’aiuto ideale del Sud. Ma la strada è ancora lunghissima.
Gianmario Leone
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