Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta ricevuta da Marina Basile, studentessa universitaria, nata e residente in Città Vecchia, volontaria nel quartiere, incaricata di un ruolo di coordinamento nel Manifesto della Città Vecchia e del Mare, dal quale ha deciso di dissociarsi.
Dalla cronaca attuale emerge che il dibattito pubblico sulla Città Vecchia è questione davvero centrale anche alla luce della spinta data dal recente cosiddetto “Decreto Taranto”. Come noto, lo scorso 20 marzo 2015, durante un incontro presso Palazzo Galeota, è stato presentato pubblicamente il “Manifesto della Città Vecchia e del Mare”, con l’intento di restituire alla cittadinanza ed ai suoi rappresentanti un importante studio, elaborato in almeno un anno e mezzo di lavoro e con metodica per “tavoli tematici”, propedeutico alla rigenerazione della Città Vecchia.
Personalmente ho rappresentato le persone, non opere, vale a dire i residenti che in Città Vecchia vivono e che, chiamati direttamente in causa, si sono straordinariamente ed appassionatamente espressi. Ho rappresentato, cioè, quello che in gergo tecnico si chiama il sociale. Orgogliosamente indigena della Città Vecchia, nonché studentessa e volontaria a favore dei bambini del quartiere (non “operatrice”, tengo a precisare, così come mi si è definita all’interno della pubblicazione), altresì rappresentante di più generazioni che attraverso il Mare hanno dimostrato e continuano a dimostrare che ci si può sostenere, vorrei qui precisare le ragioni dell’essermi dissociata, già apertamente espresse nell’evento di presentazione. Spero così di lanciare un messaggio ai tanti che pongono le attenzioni al tema, dopo la ribalta accesa sulla nostra città, ma soprattutto ai tarantini tutti.
Quando sono stata reclutata nel gruppo per il manifesto, all’inizio dei lavori, ho deciso di aderire con entusiasmo perché sorpresa ed interessata che nel programma fosse stato inserito un tavolo totalmente dedicato ad un’analisi completa del contesto sociale da realizzare insieme ai residenti. Per una volta, si parlava non solo di case, di cartolarizzazione, non di valutazioni e giudizi, ma di rigenerazione urbana, a tutto tondo, a partire da una attenzione e valorizzazione sul genere umano. Come garantito e confermato a poche ore dalla stampa, anche su richiesta e supporto di alcuni altri componenti coordinatori del Comitato per il Manifesto, persone in gamba e validi professionisti, il testo pubblicato sarebbe dovuto essere quello da me in alcuni punti revisionato.
Inizialmente, mi è sembrato di sognare; concepire non più una zona off limits ove è pericoloso varcare i confini od un luogo per nostalgici ed incoscienti datati “figli dei fiori”, ma un luogo abitato dove valorizzare i pareri, l’esperienza, le prospettive e, soprattutto, dar vita al desiderio di essere considerati e non negati come artefici di un miglioramento certamente ambito da tutti, nessuno escluso. Bruscamente, mi sono svegliata quando sul filo di lana, dopo oltre un anno e mezzo di duro lavoro, a due centimetri dal primo traguardo della stampa degli abstract come sintesi del divenire, di ciò che la Città Vecchia può produrre e rappresentare, la parte a me affidata è stata completamente cestinata, conseguentemente negata e sostituita da altro testo, mandando all’aria il risultato di scambi con i residenti, riflessioni e visioni in forma comunitaria su quel futuro di rigenerazione e progresso senza del quale non ha senso parlare di rigenerazione urbana; a meno che per questa non si intenda, come al solito storicamente accaduto, mettere le mani “strutturalmente” sulla Città Vecchia, cioè svenderla o, oggi è più adeguato dire, comprarla, magari a buon prezzo.
Alla fine, non so ancora bene come possa essere accaduto, è passato integralmente un altro testo, filosofico, esplicitazione di una linea aulica e teorica, buona per tutti gli usi, che avevo provveduto a rielaborare nel rispetto dei pensieri e delle parole dei residenti, al netto di astratte interpretazioni da mera pubblicazione letteraria. Convinta di farne uno strumento congruo ed identificabile con il luogo, personalizzato, dunque, con l’ambizione di realizzare un testo comprensibile a tutti, a partire dai residenti che generosamente ed in prima persona, abbandonando atteggiamenti di sfiducia e disillusione, hanno collaborato. Preciso che oltre a condividerne appieno la necessità, l’incarico mi è stato formalmente assegnato dai componenti coordinatori di diversi tavoli e dal referente super partes.
Nel lavorare alla revisione per farne strumento leggibile e comprensibile, mai ho perso di vista l’importanza di dare trasversalità ad una chiave formativo – educativa permanente, indispensabile per ogni azione di rigenerazione e recupero; soprattutto, non senza fatica, richiamando per ogni “azione” i compiti e le procedure proprie delle istituzioni preposte: cercando, in tutto ciò, di lasciare indenni i concetti del testo base. Ancora oggi spero che ciò sia accaduto semplicemente per la fretta – e dico fretta – di adempiere alla presentazione ufficiale “nei tempi”.
Il risultato è stato un linguaggio del documento finale non rappresentativo e non leggibile dai residenti, pertanto oggetto di rinuncia, critica o libera interpretazione, ma soprattutto il limite di non aver descritto con semplicità la percorribilità di idee ed attuazione di desideri di miglioramento attraverso idonei percorsi legislativi o approfondimento e sistematizzazione nel contesto di quelli già percorribili; alcune importanti imprecisioni in citati organismi istituzionali e sulle loro funzioni od attività tali da poter provocare esattamente il contrario delle necessarie collaborazioni e partecipazione attiva al progetto di rigenerazione.
Ancora ad oggi, ad un mese dalla presentazione, le persone con cui da sempre abitiamo la Città Vecchia vedono aumentare lo scoramento e paventano l’ennesima fregatura dichiarando di aver fatto molto male, nonostante l’affetto e la stima, a fidarsi persino di me; ipotizzano l’ennesimo gruppo di “turisti per caso” che sempre più frequentemente ne attraversano la via principale agghindando l’attività di percorrenza anche con ipotetici studi per cambiare ciò e chi non conoscono.
Provo tuttora a sostenerli ed a convincerli della importanza del legame tra la popolazione residente e le istituzioni per poter definire assieme ed a partire da una lettura congrua dell’esistente possibili processi di rigenerazione. Mi si risponde, soprattutto alla luce del passaparola che il mio intervento durante la presentazione ha stimolato, di essere stanchi di vedere altri parlare dei loro problemi e decidere al loro posto del loro futuro. Soprattutto i giovani rivendicano per sé e per i tanti bambini un ruolo attivo e autonomo di cittadinanza, esigono essere ascoltati e rispettati a partire da ogni documento finale di cui sono i primi protagonisti. Se è vero che la Città Vecchia ha bisogno di cure partendo dal rispetto dei bisogni primari dei residenti per non ripetere gli errori del passato attraverso i vecchi sistemi che proprio l’aspetto sociale hanno trascurato, non si può pretendere di somministrare una medicina ad un paziente che non si conosce.
Per curarla, o meglio averne cura, non si può prescindere dal nostro linguaggio, dai nostri mezzi e, soprattutto, non infilarsi tra le pieghe dei possibili interessi, oggi prevalenti anche nel sociale. Termini discriminatori, repressivi utilizzati nelle conclusioni del documento, che sanciscono l’immaginario collettivo di emarginazione della Città Vecchia, vanno banditi non solo dai testi, ma soprattutto dai nostri animi come per ogni cosa da tenere a cuore e per la quale si vuole il meglio. Sostenere e lavorare per lo sviluppo complessivo della Città Vecchia vuol dire considerarla un luogo abitato, un composto indissolubile di spazi, storia, palazzi e soprattutto persone, ovvero uomini, donne e bambini, destinatari del suo uso e che nel loro insieme hanno resistito, ne costituiscono il tessuto sociale, cioè la trama già esistente da ricomporre e attorno la quale ricostruire l’intera opera in spirito di progresso e sviluppo; un modello da esportare “nei manuali”.
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