Il Primo Maggio di Taranto è nato tre anni fa per una volontà precisa: ricordare insieme le morti bianche e le morti nere. Le prime sono quelle dei lavoratori, soprattutto operai, che hanno perso la vita sul posto di lavoro. Le seconde sono quelle dei malati di cancro, di coloro che hanno perso la vita respirando e ingerendo gli inquinanti. La morte di chi lavorava per vivere e quella di chi, in città come Taranto, è stato contaminato nelle viscere affinché la fabbrica potesse continuare a produrre. Sono martiri, tutti allo stesso modo e spesso neanche distinguibili davvero in categorie, visto che i lavoratori sono i primi a pagare le conseguenze dell’inquinamento.
A Taranto il Primo Maggio nasce per una necessità: dare seguito a una nuova scala di valori che non subordina più la vita al lavoro. E’ proprio per questo che la sua organizzazione non deve poggiare sui facili aiuti di grossi gruppi industriali o politici. E’ per questo che la natura dell’evento deve restare popolare. Una scelta che rappresenta la prima, grande, vera differenza con il concerto romano, che già nell’organizzazione vede protagoniste le tre sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil, colpevoli quanto altri dei tanti silenzi che hanno avvolto i più gravi reati ambientali di questo Paese.
Non è su questo, però, che intendiamo porre l’accento. Quello che veramente ci lascia senza parole è che, nonostante per quel concerto vengano spesi migliaia e migliaia di euro dei lavoratori (incassati attraverso le tessere), non si sia in grado neanche di marcare le differenze con chi ha grosse responsabilità su tanti disastri ambientali in Italia. Non ci aspettavamo che venisse fatto eco su quel palco ai danni causati dalle fabbriche inquinanti, sarebbe stato chiedere troppo a chi continua a credere che l’Ilva possa diventare “ecocompatibile”. Neanche, però, che da quel palco venisse fatta pubblicità all’Eni, sponsor dell’evento. Mentre a Taranto don Prisutto racconterà il dramma del “triangolo della morte” (Priolo, Augusta, Melilli) in Sicilia, dove la presenza del petrolchimico ha condizionato la vita di migliaia di famiglie, a Roma si ballerà anche grazie ai soldi dell’Eni.
E’ grave, a nostro avviso, anche il fatto che si faccia pubblicità a una banca, la Unipol, anch’essa tra gli sponsor. Il cattivo funzionamento del sistema bancario è alla base della crisi che vivono migliaia di lavoratori e le loro famiglie. Pur non volendo attribuire responsabilità specifiche alla citata banca, riteniamo sia quantomeno inopportuno che si “attinga” a quel mondo, che tanto male ha fatto alla classe media italiana. Tanto vi dovevamo per dare seguito, soprattutto, a un obbligo morale di informazione.
Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti
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