«Sono scaturiti ulteriori elementi di riflessione per la programmazione delle azioni di bonifica del Mar Piccolo – rivela l’Ance – al commissario va quindi dato atto di un approccio aperto e franco, in un momento e in un territorio dove, spesso e volentieri, i pareri e le idee galleggiano in un mare tutt’altro che calmo nel quale diventa difficile per tutti operare o almeno progettare e prefigurare scenari praticabili. Allo stato pertanto, in considerazione della necessità negli ultimi mesi ripetutamente ribadita di completare gli approfondimenti scientifici, evidentemente ritenendo insufficienti quelli fino ad oggi prodotti, si prende atto della valutazione prudentemente negativa di inadeguatezza e possibile dannosità del capping».
Sulle perplessità espresse dalla Corbelli e da diversi esperti in merito al capping ci siamo soffermati più volte sul nostro sito raccogliendo anche i pareri del WWF Taranto e dell’Agci Pesca, entrambi preoccupati per una metodologia che potrebbe risultare invasiva nei confronti di un ecosistema ancora vivo e ricco di organismi come il primo seno di mar Piccolo. Il tutto nonostante la massiccia presenza di pcb, diossine e metalli pesanti. Prova evidente che la natura sa essere estremamente reattiva e resistente nei confronti delle aggressioni ambientali. E sin da subito, InchiostroVerde aveva espresso dubbi sul progetto di “capping rinaturalizzante” (rivestimento dei fondali) proposto nei giorni scorsi da Ance e Confindustria Taranto insieme allo Studio Start e alle Officine Maccaferri.
«Corre però l’obbligo di precisare – si legge ancora nella nota stampa ricevuta oggi – che la proposta ANCE, elaborata con la stretta collaborazione e supervisione scientifica dell’istituto di ricerca del territorio vocato al Mar Piccolo ed il know-how industriale di una eccellenza produttiva italiana, si pone esclusivamente come possibilità di sperimentazione e di validazione di una tra le metodologie di intervento a disposizione. L’iniziativa pertanto, lungi dal puntare a primati ed esclusive ad oggi del tutto fuori luogo, nel mettere in pratica spunti ed indicazioni della ricerca locale può offrire ulteriori e concreti elementi di valutazione a supporto delle decisioni che saranno assunte nell’ambito del più ampio ventaglio delle tecniche disponibili».
Continua l’Ance: «Chiarito questo punto, ci piace sottolineare che tutti gli approcci ipotizzabili, anche quelli integrati con tecniche di intervento diverse a seconda della diversa problematicità delle aree, devono necessariamente fare i conti con il fattore “tempo”. Spostare in avanti la conclusione di indagini e studi di anni al solo fine di comprendere quanto già evidenziato da numerosi analisi e riferimenti scientifici di livello, significa assestare un ennesimo colpo a questo territorio, il bacino del Mar Piccolo e le attività economiche ad esso legate che aspettano da oltre 20 anni che le parole possano davvero trasformarsi in fatti». Conclude l’associazione di categoria: «La speranza è che si possa far bene ma in tempi ragionevolmente compatibili con le emergenze di un’area che non può permettersi di vanificare, tra ritardi e conflittualità, importanti aspettative di risanamento e rilancio. Se la fretta può essere cattiva consigliera, la lentezza e l’immobilismo possono rappresentare davvero la fine di ogni proposito di ripresa di questo territorio».
Ci permettiamo di aggiungere che in una situazione di emergenza ambientale, così complessa e delicata, come quella del mar Piccolo, solo il buon senso può evitare interventi affrettati e inutili sprechi di denaro pubblico. Neanche noi tifiamo per l’immobilismo, ma ci battiamo per il blocco delle fonti contaminanti ancora attive e per scelte in sintonia con l’ecosistema mar Piccolo. Uno scrigno dal valore inestimabile che merita grande rispetto da parte di tutti. E la politica e le istituzioni devono pronunciarsi, una volta per tutte, sulla destinazione d’uso che si vuole dare a questo bacino. Un punto su cui pesa un silenzio non più tollerabile.
Alessandra Congedo
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