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Le bonifiche e il profumo dei soldi. Altro che Mar Piccolo…

TARANTO – Ci mancava soltanto questa. Che sul Mar Piccolo, o meglio, sulle risorse messe a disposizione dalla legge sulla bonifica dell’area di Taranto (la n. 171 del 4 ottobre 2012) che prevede una dotazione finanziaria complessiva di 336 milioni di euro, quasi tutti fondi pubblici, di cui 60 milioni di euro a carico dello Stato con risorse ancora da individuare, ci mettessero gli occhi i soliti noti.

Questo preambolo è necessario per spiegare ciò di cui adesso parleremo. Mercoledì ANCE Taranto, l’associazione costruttori edili associata di Confindustria, ha presentato il progetto “Acqua nuova” per la bonifica dei sedimenti del I seno del Mar Piccolo. L’idea è di una “società di scopo” costituita per l’occasione da Ance-Confindustria Taranto, Studio Start Taranto, Gruppo Maccaferri, e Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Centro Nazionale di Ricerca Unità Operativa Sperimentale di Taranto. “Obiettivo” della società di scopo è quello di proporre soluzioni “per il risanamento ambientale del mar Piccolo attraverso un intervento mirato alla preservazione e alla valorizzazione della mitilicoltura”. La proposta avanzata mercoledì infatti, riguarda la sperimentazione in tre zone limitate del I e II seno del mar Piccolo, di una tecnologia messa a punto dal gruppo Maccaferri per la bonifica del fondale inquinato.

Tale azienda è quella che ha progettato il MOSE (MOdulo Sperimentale Elettromeccanico), opera di ingegneria civile e ambientale (o anche geoingegneria), ancora in fase di realizzazione, finalizzato alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte, attraverso la costruzione di schiere di paratoie mobili a scomparsa poste alle cosiddette bocche di porto (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea), in grado di isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico durante gli eventi di alta marea. Sul progetto sono state aperte due inchieste da parte della magistratura (una nel 2013 per frode fiscale e un’altra nel 2014 per presunte tangenti e finanziamenti illeciti), contro il quale si è schierata gran parte della cittadinanza veneziana e delle associazioni ambientaliste venete.

Lo “Studio Start Taranto” invece, è dell’ing. Gianfranco Tonti, progettista della prima e della seconda variante della famosa clinica delle tartarughe marine sottostante la cosiddetta Ringhiera, in Città Vecchia, sequestrata nel 2013 dalla Guardia di Finanza dopo il provvedimento d’urgenza firmato dal pm della procura di Taranto, Enrico Bruschi, in quanto secondo gli inquirenti quella struttura sarebbe abusiva. Stando agli accertamenti eseguiti infatti – supportati anche da una perizia – la realizzazione dell’opera sarebbe avvenuta in violazione delle norme edilizie, paesaggistiche e ambientali e senza autorizzazione della Regione Puglia. Inoltre, sempre secondo quanto emerso all’epoca dei fatti, per la costruzione di quell’immobile, sarebbero state occupate abusivamente aree demaniali. Questo lo riportiamo soltanto per onor di cronaca.

Tornando al progetto presentato mercoledì, l’idea sarebbe quella di intervenire attraverso il “capping rinaturalizzante”. Ovvero sul rivestimento del terreno inquinato con materassi filtranti reattivi. I materassi sono costituiti dall’organicoclay, composti con argilla bentonitica reattiva miscelata con sabbia e ghiaia. La proprietà dell’organoclay è la capacità di attirare il materiale inquinante, in particolare gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e i policlorobifenili (PCB), depurando così il terreno contaminato. L’innovatività dei materassi filtranti reattivi consiste nella lunga tenuta del tempo: i materassi non hanno, infatti, bisogno di manutenzione o sostituzione. Una volta terminata la stesura del materasso in un’area di 1500 metri quadri e completato il risanamento, si procederà alla ripiantumazione di Cymodocea e la Posidonia Oceanica per stimolare la ripopolazione vegetale acquatica. Questo, in sintesi, l’idea avanzata l’altra mattina.

Ora. E’ chiaro che dietro questa operazione, c’è un interesse prettamente economico. Del resto, esattamente due anni fa, Confindustria Mezzogiorno e Confindustria Taranto presentarono il progetto “Smart Area Taranto” per candidarsi ad utilizzare i fondi messi a disposizione in base alla legge sulla bonifica dell’area di Taranto (n. 171 del 4 ottobre 2012). Il progetto fu presentato all’ex commissario per le bonifiche Alfio Pini, e all’ex garante dell’Autorizzazione integrata ambientale all’Ilva, Vitaliano Esposito. La “Smart Area” è infatti una delle azioni previste dalla legge ed assegna come detto all’inizio, 60 milioni di euro di fondi pubblici che il ministero dell’Ambiente collega al “Piano Città” (24 milioni di euro per Taranto) e al Fondo di rotazione per lo sviluppo giovanile nella green economy (70 milioni).

La “Smart Area” è costruita su sette assi d’intervento. Il primo si collega al Polo scientifico tecnologico che mette insieme enti locali, Università e Politecnico di Bari e ARPA Puglia, che ha ottenuto un finanziamento di 9,5 milioni di euro col PON “Ricerca e competitività”, e con il quale si propongono nuove imprese in campo ambientale. Le quali si occupano di tecnologia per la bonifica delle falde inquinate dagli idrocarburi, per la bonifica dei suoli e per il trattamento e il recupero di sedimenti martini contaminati.

Tanto per rinfrescarci la memoria, dopo il progetto “Smart Area Taranto”, a luglio sempre del 2013, fu costituita una società avente lo stesso nome. Una “srl” con un milione e 150mila euro di capitale sociale alla quale aderirono 39 imprese di Taranto associate a Confindustria, attive nei settori della metalmeccanica, costruzioni edili, bonifiche ambientali e impiantistica. La società presieduta da Vincenzo Cesareo, che è anche presidente di Confindustria Taranto (oltre che proprietario della società Comes spa che lavora nell’indotto dell’Ilva e dell’Eni), nacque con lo scopo di essere “il braccio operativo del progetto Smart Area” e per candidarsi “ai lavori dell’Autorizzazione integrata ambientale nell’Ilva e agli interventi di bonifica nelle aree urbane di Taranto e Statte”.

Tra l’altro, sempre con la stessa società consortile “Smart Area Taranto”, Confindustria Taranto si candidò attraverso un progetto redatto ad hoc, per lo smaltimento della Costa Concordia a Taranto. E guarda caso, la società di scopo che ha presentato il progetto di bonifica per il Mar Piccolo, sarà costituita sempre dalla società consortile “Smart Area Taranto”, alla quale sono già affiliate le Officine Maccaferri e lo Studio Start. Dunque, il giochino è molto semplice. Si crea una srl ad hoc alla quale si associazioni ditte e aziende dei settori più diversi. E la si crea per poter partecipare a tutti i bandi pubblici che conferiranno denaro pubblico per la realizzazione di determinati progetti di settore. Ed a seconda dell’intervento e del progetto si creano “società di scopo”, alle quali aderiscono soltanto alcune delle aziende presenti nella “srl madre”, e si presentano progetti inerenti l’intervento previsto per quello specifico ambito. Che si tratti di smantellare una nave da crociera o di disinquinare i fondali di un bacino come il I seno de Mar Piccolo, non fa alcuna differenza.

Ora. Non entriamo nel dettaglio tecnico del progetto (anche se lo faremo nei prossimi giorni) perché su queste colonne e con l’indispensabile e quanto mai sempre prezioso aiuto del sito inchiostroverde.it, crediamo di aver fatto un’informazione quanto più libera e dettagliata possibile sull’inquinamento del Mar Piccolo. Ma è sin troppo evidente che l’interesse di enti da sempre a favore dell’industrializzazione massiccia di questa città ed alla sua salvaguardia nel tempo nei confronti di azioni di bonifica e risanamento ambientale, lasci quanto mai perplessi. Eppure basta andare un po’ più in profondità per scoprire che alla fine il gioco è sempre lo stesso.

Quando di mezzo ci sono soldi, in particolar modo quanto si tratta di fondi pubblici, gli interessi sono altissimi. Ed ancora una volta gli enti e i personaggi in questione in questa città sono gli stessi di sempre. Che cambiano pelle a seconda delle circostanze e delle epoche storiche con una facilità disarmante. Ciò che però sconcerta ancora di più, è la totale assenza, o quasi, della società civile nelle questioni che riguardano il Mar Piccolo. E soprattutto la totale passività con la quale la stampa e i mass media locali (tranne per il già citato inchiostroverde.it che da anni lotta da solo in un mondo di squali) accetta e riporta le notizie in maniera del tutto acritica. Anzi, utilizzando anche toni enfatici del tutto fuori luogo. Vuoi perché non sanno o fanno finta di non sapere. Vuoi perché ancora oggi sono legati a doppio filo a quel sistema “degli amici, degli amici”, che troppo spesso riguarda legami economici, che nella nostra città ancora oggi è più vivo che mai. Ma noi stupidi non siamo. E fino a quando ci saremo i bastoni tra le ruote li mettiamo. Auguri.

Gianmario Leone

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