Per questi motivi, la Provincia di Taranto chiese all’azienda, allora guidata dall’ex Prefetto di Milano Bruno Ferrante, un incremento di garanzie fideiussorie per il trattamento dei rifiuti, passando da 20 a 320 milioni di euro. Richiesta che fu contestata sin da subito dall’Ilva, con un ricorso presento al Tar di Lecce, parzialmente accolto con il pronunciamento depositato il 13 dicembre del 2013. Sentenza sulla quale a sua volta la Provincia di Taranto presentò appello tramite il legale Cesare Semeraro, a cui Ilva, sulla decisione dell’allora subentrato commissario straordinario Enrico Bondi, decise di presentare l’appello incidentale affidato ai legali Letizia Mazzarelli e Francesco Perli, su cui mercoledì è stata depositata la sentenza definitiva del 16 dicembre 2014.
La camera di consiglio presieduta da Luigi Maruotti, con Francesco Caringella, Carlo Saltelli, Manfredo Atzeni e Antonio Amicuzzi, si è sostanzialmente pronunciata a favore di Ilva: nel senso che pur avendo riconosciuto il potere amministrativo da parte della Provincia di Taranto di fissare garanzie finanziarie, ha ritenuto illegittima la richiesta di ulteriori e maggiori garanzie in aggiunta a quelle precedentemente fissate e regolarmente corrisposte da Ilva.
Ma come sottolinea anche Siderweb, l’importanza di questa sentenza non è solo amministrativa ma anche e soprattutto penale, dal momento che all’interno del decreto di sequestro degli impianti dell’area a caldo da parte della Procura di Taranto, viene avanzata l’accusa di “violazione degli artt. 208, 256 c. 1, 259 del D.L.vo 152/06 e s.m.i. e art. 10 c. 3, e 14 del D.L.vo n. 36/03, a) omettevano di presentare le necessarie garanzie finanziarie relative agli impianti di stoccaggio, smaltimento e/o recupero rifiuti ubicati presso lo stabilimento siderurgico di Taranto, previste dall’art. 208, c. 12, del D.L.vo n. 152/06 e s.m.i. e dall’art. 10, c. 3 del D.L.vo n. 36/03, esercitando, di fatto, attività di gestione rifiuti non autorizzata; b) effettuavano attività di smaltimento rifiuti pericolosi e non pericolosi in discariche non autorizzate in considerazione della mancata presentazione delle predette garanzie finanziarie; c) effettuavano attività di recupero rifiuti non autorizzate ed attività di gestione di sottoprodotti in assenza dei requisiti previsti dall’art. 184 bis del D.L.vo n. 152/06 e s.m.i., trasferendo i rifiuti di stabilimento nelle discariche non autorizzate di cui al punto a)”.
Alla luce della sentenza del Consiglio di Stato, per quanto concerne lo specifico caso, potrebbe risultare difficile per la Procura di Taranto (Ministero di Grazie e Giustizia) evocata in giudizio di primo grado e costituitasi con l’Avvocatura di Stato, continuare a sostenere durante il dibattimento in corso (quest’oggi si svolge una nuova udienza sul processo all’Ilva) l’omessa prestazione di garanzie finanziarie quando il competente massimo giudice amministrativo ha sentenziato che “esse non erano dovute e che il Regolamento UE n. 333/2011 ha sancito che il rottame “end of waste”, non è rifiuto e quindi non è soggetto all’obbligo delle garanzie finanziarie”. Un bel grattacapo.
Gianmario Leone
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