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Decreto Ilva, via libera di Mattarella – Per le bonifiche “pagherà” lo Stato

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha promulgato ieri la legge di conversione del “Decreto con disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto (Dl Ilva)”, approvato martedì dalla Camera (248 sì, 126 no, 50 astenuti). Il testo licenziato dal Senato lo scorso 19 febbraio non ha subito modifiche, poiché blindato dal Governo con il respingimento di tutti gli emendamenti presentati.

Il settimo decreto varato dallo Stato sul siderurgico tarantino, nel giro di poco più di due anni, prevede il passaggio dell’azienda in amministrazione straordinaria secondo la legge Marzano bis (procedura concessa dal MiSE lo scorso 21 gennaio) e l’accesso alla prededuzione dei crediti maturati esclusivamente per le PMI che in Ilva hanno eseguito lavori di risanamento ambientale o di continuità produttiva, comprese quelle dell’autotrasporto (che da metà gennaio avevano organizzato un’iniziativa di protesta bloccando gran parte dell’attività produttiva degli stabilimenti di Taranto, Genova e Novi Ligure). Le PMI hanno anche ottenuto garanzie di riscossione per quanto fatturato all’Ilva nei mesi precedenti il 21 gennaio ma non ancora liquidato.

Il tutto però, dipende dal tribunale fallimentare di Milano che a fine aprile nominerà il curatore della vecchia Ilva Spa che porta in dote la bellezza di quasi 3 miliardi di euro di debiti: che difficilmente saranno mai saldati. Inoltre, sempre per le PMI, è prevista la sospensione del pagamento, fino al 15 settembre, dei tributi e di eventuali procedure cautelari ed esecutive connesse. Sospesi fino al 2017 anche i pagamenti delle quote di capitale su mutui e finanziamenti eventualmente contratti. Le PMI potranno anche accedere, per nuove operazioni di finanziamento, al fondo di garanzia, che è stato dotato di 35 milioni.

Confermate le risorse per sostenere l’opera di risanamento ambientale. Saranno sbloccati i 156 milioni del contenzioso con la Fintecna, controllata di Cassa Depositi e Prestiti. I tre commissari Ilva potranno chiedere fino a 400 milioni di euro di prestito garantito dallo Stato per investimenti e innovazione. Ci sono, poi, le somme sequestrate dalla Procura di Milano alla famiglia Riva (circa 1,2 miliardi di euro). Circa 164 milioni sono in Italia, il restante è in Svizzera nelle casse delle banche Ubs e del gruppo Aletti: un emendamento prevede l’emissione di obbligazioni da parte dell’amministrazione straordinaria dell’Ilva e la loro intestazione al Fondo Unico Giustizia, a garanzia di questa ultima somma. Ma sia su questa vicenda che sul ricorso allo stato di insolvenza che ha portato l’azienda all’amministrazione straordinaria, sono imminenti i ricorsi del gruppo Riva.

Il decreto consente, nelle intenzioni del governo, l’inizio di un percorso che porterà alla costituzione della new.co pubblica che nei prossimi mesi dovrà acquisire, in forma di affitto per un massimo di 10 anni, gli impianti e il personale dall’azienda commissariata. Anche se in tanti si dicono certi di una ripresa della trattativa tra lo Stato e alcuni gruppi privati (come ArcelorMittal e Marcegaglia) per l’acquisizione dell’Ilva con l’entrata di quest’ultimi nella new.co. Intanto, ieri l’azienda ha comunicato ai sindacati metalmeccanici la fermata dal 12 marzo dell’altoforno 5, il più grande d’Europa e che garantisce attualmente circa il 40% della produzione di ghisa (che dovrebbe durare non più di un anno). L’Ilva marcerà soltanto con due altiforni, il 2 e il 4, in attesa che l’altoforno 1, in manutenzione dal dicembre 2012, venga riavviato entro il primo agosto.

Gianmario Leone (Il Manifesto)

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