La notizia, anticipata e pubblicata dal “Sole24Ore”, trova conferme in quel di Milano. La ratio giuridica su cui si basa l’atto di citazione è che ad essere insolvente non è la persona giuridica Ilva (in diritto, indica un complesso organizzato di persone e di beni al quale l’ordinamento giuridico attribuisce la capacità giuridica facendone così un soggetto di diritto. In generale la capacità giuridica riconosciuta alla persona giuridica è meno estesa di quella riconosciuta all’essere umano in quanto soggetto di diritto, ossia alla persona fisica, poiché la persona giuridica non può essere parte di quei rapporti giuridici che, per loro natura, possono intercorrere solo tra persone fisiche), ma l’impresa soggetta a commissariamento straordinario.
In pratica, nell’atto si evidenzia una netta distinzione fra le responsabilità della gestione degli azionisti privati – fino a quando questi hanno avuto l’effettivo controllo dell’azienda, ovvero inizio di giugno del 2013 quando si dimise l’intero Cda – e le responsabilità riconducibili ai commissari. Il che altro non è che la tesi sostenuta dal gruppo Riva e da tanti esponenti del mondo imprenditoriale italiano e da alcuni sindacati: ovvero che sino a quando è stata nelle mani del gruppo lombardo, l’Ilva era un’azienda sana dal punto di vista economico. Da quando invece è passata nelle mani delle due gestioni commissariali (prima con Enrico Bondi e poi con Piero Gnudi), l’azienda ha perso la sua stabilità, registrando una perdita di oltre 2,5 miliardi di euro di patrimonio netto.
In pratica, si legge sempre nell’atto di citazione, durante il doppio commissariamento l’andamento reale dell’Ilva è stato descritto “da documenti spesso provvisori, soggetti a modifiche e a revisioni”. Il documento rileva anche come “manchi la fotografia finale – industriale e finanziaria – della gestione Bondi, impegnata a realizzare una riconversione produttiva basata sul preridotto”. In merito al periodo Gnudi invece, viene evidenziato come, “nella sua propria scelta di cercare di vendere – intera o a pezzi – l’Ilva, si celerebbe una contraddizione: o l’Ilva non era “sua”, cioè del commissario, e dunque non la poteva vendere; oppure era “sua”, e dunque lo spossessamento degli azionisti privati c’è stato”. Il ragionamento non fa una piega.
Ciò detto, ricordiamo che la Riva FIRE (Finanziaria Industriale Riva Emilio) è stata posta in liquidazione a seguito dell’azzeramento del capitale sociale a copertura della perdita d’esercizio riportata nel 2014. Nelle conclusioni della relazione di bilancio, si leggeva come non tutto “fosse perduto”. Solo nel caso in cui “il quadro complessivo subisse l’auspicata evoluzione positiva la società potrebbe essere richiamata dalla liquidazione”. L’evoluzione positiva, inutile nasconderselo o far finta di non capirlo, consta nel rientro del gruppo Riva nella gestione dell’Ilva: in quale percentuale e in che modalità non è dato sapere ancora oggi. Tutto ciò detto, nel bilancio d’esercizio la Riva FIRE non escludeva di agire per vie legali, “pur non avendo iscritto in bilancio crediti per le azioni che la società potrà intentare per i danni subiti a seguito dei provvedimenti ritenuti ingiusti di commissariamento di Ilva e di sequestro degli impianti che hanno determinato le perdite registrate da Ilva negli esercizi 2012, 2013 e nei primi otto mesi del 2014”.
La perdita della Riva FIRE nel 2014 è stata pari ad oltre un miliardo di euro, il che ha portato il patrimonio societario netto (i mezzi propri) in terreno negativo per 333mi1a euro (la consistenza era di 727mi1a euro a fine 2013). Riva FIRE ha perso altri 514 milioni nel 2013 (nel 2012 l’utile è invece stato di 756 milioni, anche a seguito di eventi non ricorrenti, quali ad esempio il dividendo straordinario di 769 milioni incassato dalla controllata Stahlbeteilihungen holding Sa).
Secondo l’analisi esposta nella relazione sulla gestione, il valore del principale asset detenuto da Riva FIRE – vale a dire 1’87% di Ilva, direttamente per il 61,61% e indirettamente per il 25,38% attraverso la contrlla Siderlux – è oggi di circa 1,127 miliardi, dopo 1,4 miliardi di rettifiche negative negli ultimi anni (ricordiamo anche che mercoledì 17 ottobre 2012, il Cda deliberò la scissione parziale e proporzionale della società a favore della controllata Riva Forni Elettrici, l’atto di scissione venne firmato il 19 dicembre dello stesso anno. Alla quale venne conferito il ramo di azienda relativo alla produzione e commercializzazione di prodotti lunghi, cioè le partecipazioni Riva Acciaio Spa 100%, Stahlbeteiligungen Holding 100%, Riva Energia srl 100%, Muzzana Trasporti Srl 90% e Parsider S.A. 0,00001%). Tutto ciò ha portato il Cda, presieduto da Claudio Riva, a rinunciare alla ricapitalizzazione scegliendo la strada della liquidazione. Per ora.
Gianmario Leone
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