Decreto Ilva, Peacelink: “E’ come un’iniezione di morfina ad un malato terminale”

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tamburiIl settimo decreto che domani sarà convertito in legge non salverà l’ILVA dal fallimento, ne posticipa solo la data. Sarà un’iniezione di morfina ad un malato terminale. L’ILVA non è in grado di restituire prestiti se non ha margini di utile. E’ una fabbrica che ha accumulato quasi tre miliardi di perdite dal sequestro degli impianti a oggi. E’ una fabbrica destinata ad affondare sotto il peso della recessione e delle pesanti perdite mensili che accusa mese dopo mese. Che fare allora?

Mentre a Roma Governo e Parlamento sono chiamati al capezzale di un’azienda senza futuro e senza speranza, PeaceLink è andata a Bruxelles a presentare alla Commissione Europea unaproposta globale di riconversione dell’area industriale che può far leva sui fondi europei.  Antonia Battaglia, in rappresentanza di PeaceLink, questa mattina è stata ricevuta in Commissione Sviluppo Regionale presentando la grave situazione di crisi dell’ILVA e discutendo di scenari alternativi per salvare l’economia di Taranto e i lavoratori dell’ILVA.

E’ stato illustrato un piano B che riassume quanto PeaceLink aveva già elaborato per la riconversione di quest’area di crisi industriale. Antonia Battaglia è stata ricevuta in Commissione Europea dal Gabinetto del Commissario per lo Sviluppo Regionale. Battaglia, per Peacelink, ha illustrato un piano di sviluppo per la città, che si inserisce nelprogramma Europa 2020, con la specifica richiesta che le Istituzioni Europee accettino di farsi interpreti del cambiamento già effettivo nella società, permettendo a cittadini e associazioni, con formazione ed esperienza adeguate, di diventare attori di primo piano nelle decisioni fondamentali della politica comunitaria, in particolare in merito alla progettazione dei fondi strutturali e la relativa allocazione.

Alla luce della Risoluzione del Parlamento Europeo del 21 maggio 2013, sulle strategie regionali per le aree industriali dell’Unione Europea, il “piano di azione” per Taranto, portato avanti con le Istituzioni Europee, potrebbe farsi interprete di un vero cambiamento per la riconversione di un’area in forte declino industriale quale è Taranto. Le alternative proposte da Peacelink si basano sulle specificità locali e sulla grande urgenza che Taranto ha non solo dei fondi ma anche di un più attento esame delle opere da realizzare.

Taranto rappresenta l’emblema della sfida che l’Europa sta affrontando in merito alla coesione sociale e alla partecipazione di tutte le regioni alla vita democratica dell’Unione. Inoltre, la persistente mancanza d’investimenti per rendere l’Ilva compatibile con la salute dei cittadini e con l’ambiente, al contrario di quanto è stato fatto in altre realtà europee, ha generato problemi di portata talmente rilevante da rendere molto difficile una messa a norma dello stabilimento, il cui eventuale costo era stato stimato dalla Procura di Taranto intorno agli 8,1 miliardi di euro. Un investimento esorbitante per un’azienda che sembrerebbe tuttora in perdita e con un fallimento alle spalle di 3 miliardi di euro.

Peacelink ha illustrato in Commissione un nuovo modello di sviluppo che prenderebbe vita da assets già presenti nella realtà locale quali le strutture portuali, le competenze nel campo della meccanica, della ricerca, dell’elettronica, dell’informatica, delle energie rinnovabili, del turismo, delle attività marinare e agroalimentari, nonché della formazione per pianificare una profonda bonifica e riqualificazione ambientale del territorio sul modello della Ruhr. Mentre PeaceLink a Bruxelles è impegnata a guardare al futuro, a Roma i parlamentari sono impantanati ad approvare una legge bluff con cui caricheranno di ulteriori debiti l’ILVA e lo Stato.

IN REALTA’ I FAVOLEGGIATI DUE MILIARDI DI EURO DELLA LEGGE NON SONO DISPONIBILI.

I 156 milioni accantonati da Fintecna e adesso in teoria “sbloccati” dalla legge in realtà NON esistono. Sono soldi che comparivano TANTI anni fa (al tempo della vendita dell’ILVA) nella contabilità dello Stato solo come titoli di Stato, quindi sono debiti che lo Stato ha contratto con chi li ha acquistati a suo tempo. I 400 milioni di prestito sono soldi da restituire nel prossimo futuro e servono solo a colmare le nuove perdite. Quindi la nuova ILVA si sta già pericolosamente indebitando fin da ora per coprire la produzione in perdita (con la fermata dell’altoforno 5 non si potrà raggiungere il punto di pareggio che già prima non si raggiungeva).

Il resto non esiste, è puramente un’operazione virtuale, è una somma che lo Stato userà come garanzia per futuri “pagherò”. Tutta questa manovra è finalizzata a garantire i creditori dell’ILVA, con le garanzie dello Stato. Ma è una garanzia di carta. I creditori non avranno nulla se ILVA continua a produrre in perdita. Queste operazioni servono a rabbonire i creditori ma si scontrano con insormontabili problemi di sostenibilità economica che – con la recessione in atto – appaiono strutturali. Ecco perché quella che il Parlamento si appresta ad approvare non è una misura di salvataggio ma è una ulteriore appesantimento del maxi-debito ILVA che rischia di scaricarsi sulla fiscalità generale.  L’unica scelta sensata è pertanto quella di puntare su Bruxelles per definire un progetto di salvataggio dei lavoratori ILVA con attività alternative che possano rilanciare l’economia della città, bonificandola e rendendola appetibile per investimenti sostenibili.

Per PeaceLink

Antonia Battaglia, Luciano Manna, Alessandro Marescotti

 

 

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