Ilva, Confindustria replica alla Fiom: “Soffre di crisi di amnesia”
«La Fiom Cgil, in preda alla solita sindrome di protagonismo, dimentica, fra un’accusa e l’altra, alcuni aspetti fondamentali della questione che attiene l’indotto Ilva». Lo afferma Confindustria Taranto in una nota di replica alle critiche giunte ieri dalla Fiom Cgil. Riportiamo di seguito il testo integrale.
La drammatica situazione in cui versano le aziende dell’indotto dell’Ilva, che non riguarda solo Taranto ma attraversa il Paese da un capo all’altro, produce purtroppo, oltre che le ovvie e comprensibili esasperazioni di imprese e lavoratori, anche il ricorso – da parte della solita Fiom Cgil – alle accuse facili, demagogiche e quindi fiacche quanto basta per non reggersi neanche da sole. Il sindacato dei metalmeccanici della Cgil continua a compiere errori di valutazione quando guarda all’indotto Ilva di Taranto – il più specializzato e qualificato dell’intera filiera dell’acciaio – come ad un indistinto raggruppamento di imprese da immolare pur di salvare la fabbrica dell’acciaio con un criterio che potrebbe sembrare solo puerile,e che invece nasconde la logica becera del “fuori uno, avanti un altro”. La Fiom infatti continua ad invocare la clausola sociale, considerando le maestranze merce di scambio ceduta al miglior offerente e fornendo di sé la chiara immagine di un sindacato che non riesce a rendere un buon servizio, malgrado i suoi proclami, né ai lavoratori, né alla città e tantomeno alle imprese, continuando a considerarle, ma solo per logiche di comodo, aziende di serie B.
Che le imprese dell’indotto, e ancor meno Confindustria, non vogliano chiudere l’Ilva è stato detto e ripetuto a chiare lettere, e del resto non avrebbero motivo di farlo. Il rischio, invece- e il sindacato lo sa perfettamente – è che il colosso si inginocchi per consunzione, perché queste imprese non hanno più le risorse per continuare ad assicurare le forniture e le prestazioni consuete. Le aziende, grandi e piccole, che venerdì manifesteranno a Roma sono le stesse che negli ultimi otto mesi hanno assicurato il loro lavoro all’Ilva senza percepire alcuna spettanza, consentendo alla grande fabbrica di proseguire in questi mesi la sua attività, ai dipendenti diretti di non avere ripercussioni e agli impianti di continuare a marciare.
Questi imprenditori, con i loro tremila lavoratori, adesso hanno bisogno di risposte, e l’unico che può fornirgliele è il governo centrale, che ha promesso e non ha mantenuto. Si va nella capitale non per coltivare illusioni, come dice la Fiom, ma per ottenere risposte a domande lecite e a diritti lesi, a cui nè gli emendamenti né le soluzioni paventate finora sembrano fornire adeguato supporto. Ricordiamo, a questo proposito, rispondendo ad una delle grossolane inesattezze in cui la Fiom si imbatte quando accusa gli industriali di assenza di strategie, che fra gli emendamenti che contemplano la situazione dell’indotto ci sono quelli di diretta espressione confindustriale, in quanto frutto delle pressioni esercitate da questa Confindustria affinché il decreto fosse confortato da precise garanzie per la platea delle imprese fornitrici.
Come se non bastasse, proprio la Fiom, che continua a sottrarsi al confronto sugli ammortizzatori sociali, continua ad invocare, in preda ad una grave crisi di amnesia, le tutele per i lavoratori di quelle aziende dell’appalto che vorrebbe azzerare. In un momento in cui queste imprese e questi lavoratori avrebbero bisogno del sostegno di tutta una comunità, c’è ancora un sindacato che non trova niente di meglio da fare che puntare il dito ravvisando nelle azioni di chi accusa colpe che in realtà sono le sue. La città, specialmente in un momento come questo, meriterebbe di meglio.