TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo una nota stampa della Fiom-Cgil.
La prima azione è stata quella del 19 gennaio di messa in libertà di tutte le maestranze, per poi ripiegare sulla sospensione delle attività delle imprese presso lo stabilimento Ilva e quindi delle prestazioni della manodopera e relative retribuzioni, sino a cercare sponda fra i lavoratori per utilizzarli ciecamente come testa d’ariete contro tutti e contro tutto, strumentalizzando la rabbia delle maestranze, con il solito schema del ricatto occupazionale, anche per fargli dimenticare che le imprese sono debitrici di salario arretrato.
E’ tutta qui la strategia di Confindustria di Taranto? Nell’affrontare le difficoltà, il modello che stanno mettendo in pratica ricorda quello dei Riva. Cosa produsse la clamorosa manifestazione del 30 marzo 2012 organizzata dalla vecchia catena di comando dei Riva, se non la clamorosa sconfitta di chi la ispirò, insieme al solco scavato fra fabbrica e città? Confindustria si sente orfana dei bei tempi andati?
Il decreto per Taranto e per l’Ilva, in via di conversione al Senato, verrà sicuramente modificato anche per quel che riguarda l’indotto, attraverso una corsia preferenziale fra imprese e banche per un accesso al credito, che non può risolvere il problema del riconoscimento del credito per il periodo pregresso all’avvio dell’Amministrazione Straordinaria, ma rappresenta sicuramente la possibilità di nuova liquidità per traghettare un periodo molto complicato. Come Fiom abbiamo salutato con favore gli emendamenti sull’indotto, nell’intesa che l’apertura di credito dovrà essere utilizzata dalle imprese innanzitutto per pagare ai propri dipendenti tutte le mensilità pregresse.
Confindustria continua, invece, a rivendicare l’immissione di liquidità nelle casse delle aziende per i crediti pregressi, illudendo le imprese che ciò sia possibile, ben sapendo che soltanto una modifica del diritto fallimentare potrebbe farlo, opzione che nella fase attuale di crisi, caratterizzata da tante procedure concorsuali, non è all’ordine del giorno del governo e del parlamento. Occorrerebbe, piuttosto, abbandonare i sentieri pericolosi che si stanno percorrendo e agire in un confronto di merito per dimostrare di essere funzionali alla strategicità produttiva dell’Ilva e alla sua ambientalizzazione. Se ciò non fosse resterebbe solo da affermare che “chi è causa del proprio mal pianga se stesso”.
Auspichiamo che i fatti possano smentirci. Soprattutto smentiscano un dubbio che si va insinuando, quello che tutto sommato l’Ilva, per Confindustria, può chiudere davvero. Per quel che ci riguarda, non offriremo alcuna sponda a chi si scava trincee attorno in una sorta di stato d’assedio dal quale si è incapaci di uscire e preannuncia marce su Roma. Manifestare, mobilitarsi, fare sindacato è un’altra cosa.
Ai lavoratori, che in queste settimane sono stati sospesi dal lavoro si dia la copertura con l’ammortizzatore adeguato alla situazione. Rivendichiamo, come Fiom e Cgil, il riconoscimento del bacino occupazionale per tutti i diretti Ilva e tutti i lavoratori degli appalti e dell’indotto, rivendichiamo il riconoscimento della clausola sociale nella gare d’appalto.
Il vero patrimonio di cui dispongono le imprese è rappresentato dalla professionalità dei lavoratori, questi si strategici per il risanamento ambientale degli impianti Ilva.
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