Che l’Ilva fosse prossima al fallimento e che la monocultura dell’acciaio rappresentasse per Taranto fonte di miseria e non certo di lavoro e benessere lo sapevano in tanti ma evidentemente in pochi avevano il coraggio e l’onestà di dirlo. Il comitato ‘Taranto Libera, nato nel 2010 per farsi portavoce della necessità di pensare ad alternative occupazionali e ad un futuro diverso per la città, era tra le poche voci fuori dal coro, inascoltato ed oggi i fatti gli danno ragione.
‘L’Ilva non potrà mai essere ecocompatibile’, questo sosteneva il comitato, posizione ritenuta da molti ‘estremista’. E se è stato necessario l’intervento della magistratura per convincere anche coloro che hanno invece sempre creduto nell’ ecocompatibilità dell’Ilva, ostinandosi a condurre erroneamente la battaglia al singolo inquinante e promuovendo il rilascio dell’AIA, allora diciamo: meglio tardi che mai.
La cittadinanza attiva tuttavia ha una responsabilità nella crescita culturale di una comunità e forse ascolto e dialogo avrebbero giovato, accelerando i tempi per una presa di coscienza collettiva. Oggi l’Ilva, nelle mani dello Stato, prolunga l’agonia di Taranto e depaupera le tasche degli italiani. Ma non è mai troppo tardi per ricominciare e per costruire, perché Taranto ha diritto ad essere libera, a vedere il territorio jonico valorizzato con l’attuazione di alternative economiche. Non c’è più tempo per le parole, occorre passare ai fatti.
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