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Ilva, Confindustria boccia il governo: “Esproprio senza indennizzo”

Con il decreto di Natale e la conseguente messa in amministrazione straordinaria dell’Ilva si è attuato “un esproprio senza indennizzo”. E’ la dura presa di posizione di Marcella Panucci, direttore generale di Confindustria, durante l’audizione di ieri in commissione Industria al Senato, che ha evidenziato “lo spossessamento di Ilva come uno dei punti di criticità del decreto 1 del 2015”. “Attraverso il ricorso alla procedura Marzano, modificata sulla base delle specificità del caso Ilva, si assiste al definitivo spossessamento della proprietà motivato dall’esigenza di far fronte a una situazione di presunta insolvenza”, ha argomentato la Panucci. Questa scelta, rileva, “appare ancor più grave in assenza di un rinvio a giudizio degli imputati nei procedimenti penali aperti che riguardano la vicenda Ilva, senza considerare la posizione dei soci di minoranza, che non sono in alcun modo coinvolti nelle indagini e che pure subiscono quello che di fatto appare come un vero e proprio esproprio senza indennizzo, in contrasto con i principi della nostra Costituzione e della stessa Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. In questa situazione, “è concreto il rischio di andare incontro a lunghi contenziosi e ingenti richieste risarcitorie, i cui esiti potrebbero essere distruttivi per i destini dell’impresa” ha avvertito la Panucci.

Confindustria infatti, rispetto alla scelta di procedere all’amministrazione straordinaria dell’Ilva, ritiene “che ci fossero i margini per una soluzione diversa, in grado di affrontare il nodo delle risorse economiche necessarie al risanamento, evitando ulteriori strappi all’ordinamento giuridico. Ci riferiamo alla possibilità, che pure sarebbe stata nella disponibilità dell’attuale Commissario, di procedere ad un aumento di capitale, aperto a investitori pubblici e privati”. Per la Panucci “sarebbe stato possibile immaginare forme di azionariato misto pubblico-privato, magari configurando per i vecchi azionisti modalità di partecipazione tali da non coinvolgerli attivamente nella gestione, in attesa degli sviluppi sul fronte giudiziario”. L’espletamento di un serio tentativo in questa direzione, anche qualora non fosse andato a buon fine, “avrebbe avuto l’effetto tutt’altro che irrilevante di rendere l’eventuale apertura di un’amministrazione straordinaria più coerente con l’ordinamento giuridico”. “Prendiamo atto”, rileva il direttore generale di Confindustria, che il Governo si è orientato, invece, “verso il ricorso immediato all’amministrazione straordinaria, che, come già sottolineato, lascia aperto il nodo del reperimento delle risorse necessarie per il risanamento, peraltro precludendo in modo definitivo la possibilità di responsabilizzare finanziariamente la proprietà”.

Confindustria, sottolinea ancora la Panucci, “predilige da sempre soluzioni di mercato, tuttavia non ha una posizione pregiudizialmente negativa rispetto a forme di intervento pubblico nel controllo e nella gestione di impresa, a condizione però che esse siano: inserite in un quadro chiaro di obiettivi di politica industriale tale da limitare gli interventi a situazioni di effettiva necessità; temporanee e con una precisa prospettiva degli esiti cui devono condurre; finalizzate a creare le condizioni economiche e ambientali tali da garantire il ripristino di una situazione di normalità, che consenta di restituire in tempi brevi al mercato le imprese interessate”. In proposito, rileva, “guardiamo pertanto con interesse alla misura che il Cdm dovrebbe aver approvato relativa alla creazione di un veicolo societario con l’obiettivo di sostenere finanziariamente, anche attraverso l’acquisizione temporanea di quote di capitale, operazioni di ristrutturazione aziendale. Tale veicolo dovrebbe intervenire in imprese caratterizzate da difficoltà finanziaria, ma che presentino adeguate prospettive di redditività, in un’ottica di complementarietà rispetto alle risorse private, così da riorientare le strategie di investimento verso ambiti di innovazione di frontiera, anche in campo ambientale”. È necessario, inoltre, aggiunge, “che il Governo assicuri che i tempi di costituzione di tale veicolo societario e le sue modalità di intervento siano compatibili con l’investimento in Ilva e con le regole europee a difesa della concorrenza”. Per questo Confindustria chiede al Governo “di avviare immediatamente il confronto con la Commissione Ue, anche facendo leva sulle analoghe esperienze maturate in passato negli altri Paesi Ue”.

Poi, il mirino della Panucci si sposta sull’attività della magistratura. “La vicenda Ilva dimostra, ancora una volta, come i tempi irragionevoli dei procedimenti giudiziari e l’incertezza del diritto costituiscano un grave ostacolo al pieno dispiegarsi della libera iniziativa economica nel nostro Paese e possano indurre il potere esecutivo a forzare la mano, violando alcuni principi basilari del nostro sistema costituzionale”. Ilva rappresenta, sottolinea Panucci, “una scommessa nazionale, in cui è in gioco da un lato la capacità competitiva del Paese e, dall’altro, la concreta possibilità di far coesistere interessi primari, vale a dire la tutela dell’ambiente e della salute, con il mantenimento di una solida base industriale e la salvaguardia dei relativi posti di lavoro”. L’unico, vero riferimento in questo senso, sottolinea Panucci, “è ad oggi rappresentato dalla pronuncia con cui la Corte Costituzionale, nel 2013, ha ritenuto infondate le contestazioni sul primo decreto Ilva, affermando come tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovino ‘in rapporto di integrazione reciproca e non [sia] possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta rispetto agli altri. L’auspicio di Confindustria, che su questo non farà mancare il proprio contributo, è che tutti i soggetti coinvolti prendano esempio dal senso di responsabilità mostrato dalla Corte e sappiano trovare i punti di equilibrio necessari alla soluzione del problema”.

Dopo di che la Panucci è passata a snocciolare cifre. “Il fabbisogno finanziario dello stabilimento per tornare a una situazione di pieno utilizzo della capacità produttiva è stimabile in oltre 1 miliardo di euro, cui vanno aggiunti gli investimenti necessari per l’attuazione completa dell’Aia, valutati dalla gestione commissariale in circa 1,5 miliardi”. Per la Panucci “si continua a eludere, il vero problema di fondo, che è quello delle risorse per realizzare gli investimenti ambientali e produttivi necessari al rilancio di Ilva”. Le cifre diffuse dal direttore rispetto alle necessità dell’azienda vedono, in termini di fabbisogno finanziario, una quota pari a circa un miliardo di euro, al quale si sommano 1,5 miliardi per l’attuazione dell’Aia, che pone obiettivi “ben al di là degli standard europei”, ha affermato. Entra più nello specifico delle cifre Andrea Bianchi, responsabile dell’area Politiche industriali di Confindustria, il quale ha affermato che, per gli interventi all’AFO 5, sono necessari 250 milioni di euro, ai quali si sommano 500 milioni di euro della gestione in perdita stimata nel 2015. Altri 300 milioni, inoltre, si renderanno indispensabili per investimenti ordinari oltre ad un circolante da 1 miliardo di euro. A questi numeri rispondenti alla gestione ordinaria del polo, si devono aggiungere 1,3-1,5 miliardi di euro per l’ambientalizzazione prevista. “Il provvedimento contenuto nel decreto 1 del 2015 – ha dichiarato la Panucci – è più dirompente rispetto ai precedenti”.

La Panucci ha concluso la sua audizione parlando della vicenda dei crediti che Ilva vanta nei confronti delle ditte dell’indotto e dell’appalto, oltre che nei confronti dei fornitore. “L’avvio di una procedura concorsuale in assenza di nuove risorse e di tutele ad hoc scarica sui creditori una parte consistente dell’onere finanziario di risanamento. Ed è questo il secondo, ma non per importanza, punto di estrema preoccupazione per Confindustria. Ad oggi, sono stimati circa 600 milioni di euro di crediti vantati da imprese fornitrici nei confronti di Ilva”. Imprese, queste, sottolinea ancora Panucci, “che rischiano di veder vanificate le rispettive posizioni creditorie, con effetti drammatici, a cascata, sull’intera economia e, in particolare, sul territorio tarantino”. A questo proposito, aggiunge, “stiamo ricevendo diffusi segnali di allarme provenienti sia da Taranto, dove si registra uno stato di forte agitazione, sia da numerose imprese dislocate sull’intero territorio nazionale. Le situazioni più critiche riguardano imprese che operano nel settore della manutenzione, della fornitura di servizi, dei trasporti e della logistica, che, in questi anni di crisi dello stabilimento, hanno comunque consentito la continuità dell’attività produttiva in una situazione di enorme tensione economica, finanziaria e sociale”. In questo contesto, rileva infine il direttore generale di Confindustria, “le nuove regole in discussione su Ilva devono necessariamente tener conto delle legittime aspettative delle imprese dell’indotto”. Inoltre, “va verificata, aprendo un confronto diretto con i creditori, l’eventuale possibilità di un loro coinvolgimento nel capitale della nuova Ilva”.

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