“Grazie per aver consentito di rappresentare il punto di vista dei medici di ISDE Italia, società scientifica da anni impegnata nello studio dei rapporti tra ambiente e salute e nell’affermazione dell’importanza della prevenzione primaria.
È necessario formulare un’ineludibile premessa:
1. Nell’introduzione all’articolato si legge: “la continuità del funzionamento produttivo degli stabilimenti industriali di interesse strategico costituisce una priorità di carattere nazionale, soprattutto in relazione ai rilevanti profili di protezione dell’ambiente e della salute”.
Questo principio è certamente valido in linea generale. Tuttavia, nel caso specifico di ILVA, sulla base delle analisi epidemiologiche, delle analisi del rischio e del danno sinora condotte da organismi autorevoli, si può affermare che la continuità del funzionamento produttivo dell’ILVA è incompatibile con qualunque profilo di tutela dell’ambiente e della salute dei tarantini.
Come dimostrato da ARPA Puglia con il “primo rapporto sulla valutazione del danno sanitario” 1, la completa applicazione delle prescrizioni AIA, quando e se raggiunta, sarà in grado di attenuare i rischi ambientali e sanitari per i tarantini ma NON di renderli accettabili dal punto di vista epidemiologico ed etico.
L’AIA concede all’ILVA l’emissione di 0,1ng di diossine per ogni m3 di fumi emessi. Questo limite arriva a raddoppiarsi e triplicarsi (0,2– 0.3 ng/Nm3) nel caso degli impianti di agglomerazione e sinterizzazione, quelli maggiormente problematici, che saranno così autorizzati ad emettere sino al TRIPLO della quantità di diossine attualmente concessa per legge ad altri settori della stessa ILVA o ad altri impianti inquinanti tipo cementifici o inceneritori di rifiuti.
Se si considera che ogni camino può produrre sino a 500.000 m3 all’ora di fumi, un calcolo approssimativo ed ottimistico permette di affermare che ogni ora, da ogni camino dell’ILVA, ad AIA applicata, continueranno ad essere emessi sull’area urbana di Taranto da 10.000 a 150.000 ng di diossine, inquinanti estremamente tossici anche a dosaggi bassissimi, persistenti e bioaccumulabili.
Il documento elaborato da ARPA Puglia confronta le emissioni contestualizzate al 2010, con quelle che si avranno quando la realizzazione delle prescrizioni AIA sarà completa. La produzione di benzo(a)pirene, potente cancerogeno, si ridurrà, dopo l’applicazione dell’AIA, solo del 9%, passando da 76 a 69 Kg/anno.
Rimarranno sostanzialmente invariate (con riduzioni inferiori al 6%) le emissioni convogliate di metalli pesanti cancerogeni e neurotossici come cadmio e piombo. Le emissioni di cromo esavalente e di benzene, altri noti agenti cancerogeni, dopo l’applicazione dell’AIA addirittura aumenteranno del 15%.
Nel caso del benzene e dei PCB (composti simili alle diossine), dopo l’applicazione completa dell’AIA ci sarà, secondo ARPA, addirittura un “incremento di concentrazione al suolo”.
In altri termini, ad AIA applicata, i tarantini continueranno a vivere in un’area nella quale il rischio ambientale ed epidemiologico, pur se ridotto, sarà comunque alto e inaccettabile per una popolazione reduce da decenni di danni subiti, evitabili e non evitati.
Tale rischio, inoltre, non si applica e non si applicherà in misura uguale all’intera popolazione, per la presenza di categorie di maggiore suscettibilità (donne in gravidanza, età embrio-fetale e pediatrica, età avanzata, soggetti affetti da malattie croniche) che continueranno a pagare il prezzo più alto.
Questo è dimostrato, ad esempio, dalla presenza di diossine nel latte materno delle donne di Taranto con valori sino a 40 volte superiori a quelli considerati “tollerabili” dall’Organizzazione Mondiale della Sanità 2 o dall’evidenza epidemiologica, nell’area di Taranto, di un aumentato rischio di mortalità entro il primo anno di vita e di tumori maligni in età pediatrica, superiore alla media regionale e nazionale 3.
È inoltre da considerare che la quantità di inquinanti emessi da ILVA è e sarà, anche dopo l’applicazione dell’AIA, direttamente proporzionale alla sua capacità produttiva.
Più acciaio si produrrà, più inquinanti saranno emessi in atmosfera. È per questo che, nell’ipotesi della prosecuzione dell’attività produttiva, sarebbe almeno opportuno proporre, sulla base di una valutazione epidemiologica preliminare del rischio 4, una riduzione della produzione di acciaio finalizzata a rendere l’attività di ILVA e le sue emissioni, se possibile, compatibili con una sicurezza sanitaria “accettabile” per i residenti esposti, cioè comparabile a quella di altre zone d’Italia considerate “non a rischio”.
L’articolo 41 della Costituzione stabilisce infatti che l’iniziativa economica privata è libera ma che non può esercitarsi in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. Dunque, in caso di conflitto tra tutela della salute ed esigenze della produzione, è quest’ultima a dover indiscutibilmente soccombere.
2. L’articolo 2,comma 2, regola i rapporti tra valutazione del danno sanitario (VDS) e prescrizioni AIA, disponendo che la valutazione del danno non può modificare unilateralmente le prescrizioni dell’AIA ma, soltanto, consentire alla Regione di chiederne il riesame.
In altri termini, anche in caso di verifica di eccesso di danno (cioè di documentata inefficacia dell’AIA in termini di danni ambientali e sanitari), bisognerà attendere, in modo indefinito, il tempo necessario per ridurlo o annullarlo attraverso il riesame dell’AIA, modificandola e tentando di elaborare e di applicare le nuove prescrizioni. Un intervallo temporale lungo (potrebbe durare decenni) e che comporterà ulteriori malattie e morti altrimenti evitabili, trascorso nell’attesa di una soluzione che a distanza di anni potrebbe rivelarsi ulteriormente inefficace.
Tale assunto è eticamente inaccettabile, poiché convalida nei fatti un modello di “sanità pubblica” in cui si osservano malattie e morti in una popolazione lasciata vivere per anni in condizioni di inquinamento ambientale noto per la sua dannosità, limitandosi a verificare un eccesso di malattie e morti per poi intervenire.
In altri termini, si accetta di assegnare ai decessi degli esposti l’onere della prova rispetto agli effetti di un inquinamento ambientale noto, prevenibile e non prevenuto.
L’alternativa è quella di affidare vere misure di tutela ambientale e sanitaria non già alla valutazione del danno (eseguita a posteriori) ma all’analisi epidemiologica preventiva del rischio 4: prevedere i danni, non contare ammalati e morti, e applicare misure di prevenzione primaria per evitarli.
3. Il comma 5 afferma che il piano si intende attuato se entro il 31 luglio 2015 siano state realizzate almeno l’80% delle prescrizioni in scadenza a quella data. Non si specifica, tuttavia, quali prescrizioni debbano essere rispettate. Potrebbe, ad esempio, restare fuori la copertura dei parchi minerari, una delle misure più urgenti e, allo stesso tempo, soggetta a costi maggiori.
Anche questo comma, dunque, incrementa l’incertezza relativa all’applicazione delle misure di riduzione del rischio e rimanda ad apposito decreto il termine ultimo per l’applicazione della totalità delle prescrizioni, con ulteriore possibile procrastinarsi del danno, con malattie e morti (nel breve e nel lungo termine) prevedibili e prevenibili, sino a data da destinarsi.
Sarebbe auspicabile la rimozione di tale limite o, in subordine, l’espressa inclusione, nell’80% proposto dall’attuale proposta di legge, delle prescrizioni prioritarie e più rilevanti in termini di tutela ambientale e sanitaria, restando ineludibile, allo stesso tempo, la eliminazione di qualunque incertezza temporale nell’applicazione della totalità delle prescrizioni.
È utile a questo proposito ricordare che l’esigenza di bonifica del territorio di Taranto è stata espressa per legge già nel 1998 (legge 426/1998) e i circa 17 anni di ritardo hanno significato sino ad ora centinaia di malati e decine di morti in più all’anno a causa delle matrici ambientali inquinate e non bonificate.
Continuare ad eludere la necessità di certezza di tempi e modi per il risanamento dell’area di Taranto va in direzione contraria all’obbligo di tutela sanitaria dei residenti involontariamente esposti a tossici noti.
4. Il comma 6 prevede l’impunibilità del Commissario Straordinario e dei soggetti da questo funzionalmente delegati ai fini della valutazione per le condotte poste in essere in attuazione del Piano. Di fatto, eventuali illeciti sarebbero impuniti e si pongono tali soggetti al di sopra della legge, perché l’attuazione del piano costituirebbe “adempimento delle migliori regole previste in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.
Tale giustificazione non considera che, dal punto di vista epidemiologico, le migliori regole previste in materia di tutela della salute coincidano non con la valutazione dei danni “a posteriori” ma, come descritto in precedenza, con la valutazione preventiva dei rischi 4 e con la prevenzione primaria, unicamente ottenibile con la rimozione delle cause note di danno e con la persecuzione di eventuali comportamenti illeciti.
Noi medici siamo giustamente esposti a conseguenze civili e penali per omissioni o atti professionali inadeguati, perché il fine del nostro lavoro è la tutela della salute, considerata bene primario e diritto inviolabile dell’individuo. Tale fine è tra quelli per i quali devono operare il Commissario Straordinario e i soggetti da questo funzionalmente delegati che, tuttavia, si dichiarerebbero esenti da responsabilità per eventuali omissioni o condotte illecite in attuazione del Piano di Risanamento.
Questo appare inammissibile in un sistema giuridico in cui è costituzionalmente garantito il diritto di agire in giudizio per la tutela dei diritti ed interessi legittimi, senza eccezioni (art. 24 e 113 della Costituzione), davanti ai giudici ordinari (art.102 Costituzione) e in applicazione del principio della divisione dei poteri.
5. L’articolo 4 prevede l’approvazione ex lege dei piani di gestione dei rifiuti e delle discariche per rifiuti pericolosi e non pericolosi, per “velocizzare e semplificare l’adozione dei piani”.Il rischio di tale procedura di “snellimento” è che il piano per la gestione e lo stoccaggio di rifiuti pericolosi possa concedere, a causa dell’estromissione delle istituzioni locali deputate al controllo e alla tutela di ambiente e salute (ARPA, ASL, enti locali), pericolose deroghe alle misure di tutela ambientale e sanitaria richieste per la realizzazione di tali insediamenti, anche in considerazione della collocazione delle discariche in un’area urbana definita “ad alto rischio ambientale” e gravata da altri insediamenti simili mai bonificati.
Le esigenze di bonifica dell’area di Taranto, espresse nella proposta di legge in discussione, sembrano essere in palese contraddizione con l’installazione di ulteriori impianti inquinanti (le discariche di rifiuti pericolosi) di riconosciuta e ben definita pericolosità ambientale e sanitaria.
6. L’Articolo 6 prevede che il commissario predisponga un programma di misure a medio e lungo termine per il recupero dell’area “dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale”.
Tale articolo procrastina di fatto, utilizzando ancora una volta un intervallo temporale non certo, un obbligo già previsto dal 1998 (legge 426/1998) in un’area in cui la mancata bonifica ha significato (e continua a significare) persistenza dei danni sanitari già ampiamente documentati dalle perizie scientifiche disposte dalla magistratura inquirente, dall’Istituto Superiore di Sanità con gli studi Sentieri 5,6 e da numerose altre pubblicazioni scientifiche 2,3,6-12.
Inoltre, la previsione delle misure di bonifica si basa su una previsione di risorse poco chiara dal punto di vista quantitativo che, così come prospettata nell’articolato, apparirebbe comunque insufficiente in rapporto all’entità delle bonifiche necessarie.
In conclusione,
– dal punto di vista medico e ambientale, la prosecuzione dell’attività produttiva di ILVA è assolutamente incompatibile con la tutela della salute della popolazione di Taranto. Essa sarà fonte di ulteriori danni sanitari, malattie e decessi.
– E’ almeno auspicabile che il successivo iter della proposta di legge sostituisca il criterio anti-etico della “valutazione del danno”, con quello della analisi preventiva del rischio, al fine di consentire concrete, rapide e ineludibili misure di prevenzione primaria.
– Si auspica inoltre, che sia determinata, utilizzando strumenti epidemiologici di risk assessment e nell’ipotesi di continuità operativa dell’ILVA, la massima soglia produttiva compatibile con un livello di rischio sanitario di reale tutela per la popolazione tarantina, comparabile con quello di altre aree geografiche italiane considerate “non a rischio”.
In caso contrario, continuerà a tempo indeterminato la discriminazione ambientale e sanitaria dei cittadini di Taranto.
– Si spera infine che possano essere garantiti la certezza del diritto, la certezza dei tempi e modi certi di ripristino della sicurezza ambientale e sanitaria nell’area di Taranto, con possibilità di perseguire eventuali omissioni o illeciti nei confronti di tutte le figure preposte al raggiungimento di tale obiettivo”.
Bibliografia
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