Delfini-in-mare-di-TarantoE’ stato un anno difficile. Per molti versi amaro. Non è facile fare un bilancio di questo 2014: perché assomiglia spaventosamente a tanti anni passati nella stessa identica maniera. In cui all’inizio tutto o quasi sembrava possibile. Ed invece un anno dopo ti ritrovi punto e a capo. Anzi, hai quasi l’impressione di aver fatto passi indietro e non in avanti.

Taranto è una città paradossale e strana, dicono in tanti. Lo abbiamo pensato anche noi per molti anni. In realtà è una città italiana come tante altre. Perché questo paese ha nel suo dna difetti genetici che si porta dietro da secoli. E che si sono incancreniti dopo l’Unità del 1861 e soprattutto dopo la Seconda Guerra Mondiale. E Taranto e i tarantini, non fanno eccezione.

Chi scrive, per anni ha battuto sul tasto dell’unità tra le varie anime che compongono la società civile e la parte sana delle istituzioni e della classe dirigente. Oggi, a distanza di tempo e ad oltre due anni dalla famosa estate del 2012, è chiaro che quell’unità è al momento un’utopia irrealizzabile. E probabilmente mai si realizzerà se le persone in campo resteranno sempre le stesse. Perché non la si è mai costruita davvero nei fatti, ma soltanto a parole. La si è sabotata sin dal principio, costantemente, giorno dopo giorno. Mese dopo mese. Anno dopo anno.

Da chi? Da tutti noi, chi più chi meno. E’ inutile girarci intorno: sperare ancora oggi di mettere insieme attorno allo stesso tavolo le varie anime di questa città, non è fattibile. Perché ognuno ha preferito andare per la propria strada. Seguire le proprie idee. Attuare le proprie strategie. Studiare i proprio stratagemmi. Sabotando, subdolamente, chi gli stava accanto. Oppure, integrandolo nel suo agglomerato per poi renderlo inattivo e inoffensivo.

E così si è finito per non fidarsi più nemmeno della propria ombra. Ognuno fa il suo, convinto che sia meglio di quello dell’altro. Ognuno procede a testa bassa senza porsi domande. Attaccando senza pietà chi non la pensa come lui o si permette anche solo di contraddirlo. Si è finito così per fare il gioco degli altri. Della grande industria. Della politica locale e nazionale. Si sono fatti, non è dato sapere quanto inconsciamente, gli interessi di chi da questa città ha sempre attinto a piene mani per arricchirsi a consumo di un’intera comunità.

Bisogna essere onesti. Guardarsi allo specchio ed essere realisti. E avere il coraggio di dirsi la verità. Altrimenti fare il bilancio di fine anno diventa soltanto un gioco linguistico di pessimo gusto. Intriso della solita retorica di auguri per un anno migliore e che “sia davvero quello della svolta”. La verità è che la battaglia è stata persa. Per primo da chi scrive. E’ stata persa perché non si è stati in grado di costruire un movimento che aggregasse la città e la società civile. Che attirasse a sé la parte sana delle classi che “contano”.

E’ stata persa perché quel movimento civico non essendo mai nato non è stato in grado né di portare alla chiusura della grande industria, né a spingere la politica tutta intera quanto meno ad accelerare e ad iniziare ad attuare un lento processo di risanamento della grande fabbrica e di bonifica di parte del territorio. Non si è stati nemmeno in grado, ad esempio, di agire per contrastare sin dall’inizio un progetto come Tempa Rossa sul quale ci si è svegliati quando era oramai troppo tardi. Ed oggi, a distanza di oltre due anni dall’estate del 2012, in strada scendono i pochi rimasti. Che poi sono praticamente sempre gli stessi da anni.

Il che vuol dire che si è lavorato male. E continuare a dare la colpa al destino cinico e baro, o al governo che continua a fare decreti su decreti, è quanto mai ipocrita ed inutile. Il problema è in noi, inutile girarci intorno. Chi scrive, sente di aver perso una lunga e dura battaglia. Anche perché in tutti questi anni non è riuscito, nonostante i grandi sacrifici personali, a trasmettere in pieno le sue idee. Che sono sempre state a tutela della verità. E della città di Taranto.

Un organo di informazione cittadino come ad esempio il “TarantoOggi”, avrebbe sicuramente potuto fare di più. Specialmente se le risorse umane ed economiche glielo avessero permesso. Così non è stato. Anzi. Si è finiti anche nel mirino di decine di persone che hanno sparato a zero sulla storia decennale di un giornale e dei sacrifici di tante persone, senza conoscere né l’uno né l’altro. Perché aizzati da chi ritiene la democrazia un qualcosa di giusto e valido sino a quando non si guarda in casa sua. E che non si fa scrupolo di attaccare subdolamente sui social network chi non è presente e non si può difendere. E di fare lo stesso in occasioni pubbliche quando non essendo presenti il contraddittorio è impossibile.

Chi scrive è stato definito un abusivo del giornalismo. Perché non iscritto ad un Ordine dove sono presenti personaggi alquanto discutibili del giornalismo locale. Con i quali la società civile soprattutto negli ultimi due anni e mezzo è andata a braccetto per meri interessi personali d’immagine. Bene: il sottoscritto è orgoglioso di essere un abusivo del giornalismo. Non a caso scrivo questo articolo di fine anno su inchiostroverde.it con grande orgoglio. Perché questo sito è un simbolo pulito di questa città. E del giornalismo onesto. E’ guidato da una brava persona, oltre che da una grande amica. Inchiostroverde.it merita rispetto. E soprattutto meriterebbe molto più spazio e considerazione di quella che attualmente ha. Ma si sa, chi non si vende e non si piega, alla lunga paga un dazio altissimo. Alessandra sa, e tanto basta.

Scrivo quest’ultimo pezzo del 2014 su inchiostroverde.it in maniera del tutto“abusiva”, con tante incognite sull’anno che verrà. Probabilmente, con l’entrata in campo dello Stato nella vicenda Ilva si è chiuso un ciclo. Si dovrà inevitabilmente partire da zero. Tracciare una bella linea di demarcazione col passato. Al termine di una lunga battaglia non tutti i combattenti tornano a casa. E non è detto che quelli che tornano continueranno a fare lo stesso mestiere.

Chiudo questo 2014 rinnovando un invito già avanzato quest’estate: Taranto per rinascere deve assolutamente tagliare i rami secchi presenti in ogni settore. Deve dare spazio ai giovani e alle persone di buona volontà, qualunque età esse abbiano. Deve trovare il coraggio di non guardare in faccia nessuno. Di tranciare di netto questo senso mellifluo di essere tutti “amici e conoscenti” per cui non bisogna mai alzare troppo il tono della voce o dello scontro.

Deve avere il coraggio di creare conflitto in ogni settore e ambito: e da quest’ultimo uscirne rinforzata. Deve avere il coraggio di salvare le cose belle. Di tutelare le sue piccole ricchezze. Di far emergere le anime pulite, sincere, vere. Invece di continuare ad interessarsi poco o nulla dei problemi reali di questa città che sono enormi e spesso, purtroppo, molto, ma molto lontani da quelli ambientali e sanitari. Si continua a delegare a personaggi storici, molti dei quali hanno oramai fatto il loro tempo e vivono della luce riflessa di ciò che hanno fatto in passato. Si continua ad aspettare non si sa chi o che cosa.

Anche nel 2014 si è provato a fare del giornalismo sano. Pulito. Semplice. Onesto. D’inchiesta. A tutela di una verità passata e presente che in questa città, dove tutti improvvisamente sono diventati tuttologi, in pochissimi continuano a conoscere. Taranto è bella. Ha probabilmente davanti a sé un futuro molto più radioso di quanto noi possiamo immaginare. Forse, però, per vederlo bisognerà attendere ancora tanti anni.

L’invito a non mollare, va alle persone oneste e pulite di questa città, che ogni giorno fanno del bene nel loro piccolo. Che ogni giorno fanno il loro dovere in silenzio e lontano dalle telecamere e dai flash o dagli isterismi dei social network. Ai tanti che ogni giorno devono lottare per vedere rispettati i loro diritti. Ai tanti che ancora oggi soffrono con grande dignità. A chi un lavoro non ce l’ha e lo sogna ogni giorno.

A chi sogna precariamente un futuro diverso. A chi è ancora in grado, come i filosofi dell’antica Grecia, di stupirsi delle meraviglie del mondo che ci circonda. A chi non è stanco di farsi domande. A chi sa che la strada possibile da seguire è soltanto una. E dovrà essere quella sino alla fine. Qualunque cosa succeda. Noi continueremo ad esserci. A fare il nostro. Fino a quando non è dato sapere. Tu, Taranto, nel frattempo guarda l’orizzonte e non perdere mai la rotta se possibile. E, soprattutto, “ricordati di vivere”.

Gianmario Leone

www.inchiostroverde.it

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