Come già anticipato, l’Ilva sarà sottoposta in amministrazione straordinaria secondo la legge Marzano, che sarà estesa “alle società che gestiscono almeno uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale”. Questa integrazione si è resa necessaria perché al momento l’Ilva è ancora di proprietà di un gruppo privato (i Riva) e non è in stato di insolvenza (presupposto essenziale per l’applicazione della Marzano): il tutto per “garantire la prosecuzione dell’attività produttiva assicurando che le risorse aziendali siano prioritariamente destinate a tale scopo”. L’entrata in amministrazione straordinaria, che per l’Ilva segnerà la fine del commissariamento iniziato nel giugno del 2013 sotto il governo Letta, partirà nella seconda metà di gennaio, per consentire al commissario Piero Gnudi, di pagare ai dipendenti diretti dell’azienda gli stipendi di dicembre.
Il decreto varato mercoledì, attribuisce inoltre al commissario straordinario (che pare però saranno addirittura tre con funzioni diverse) i poteri “per attuare le prescrizioni di carattere ambientale previste dall’Autorizzazione integrata ambientale”. Allo stesso commissario saranno destinate “le somme sequestrate all’Ilva, che confluiranno in una contabilità speciale. La gestione dell’impresa sarà considerata attività di pubblica utilità e gli interventi previsti dal piano ambientale vengono dichiarati urgenti e indifferibili”.
Le somme sequestrate di cui si parla, sono in realtà quelle del gruppo Riva. Risorse che Gnudi ha chiesto ed “ottenuto” dalla Procura di Milano che ha sbloccato, secondo quanto previsto dalla legge Terra dei Fuochi varata lo scorso febbraio, parte del “tesoro” offshore dei Riva: 1,2 miliardi di euro. Sblocco al momento del tutto virtuale, sul quale pesa sia il ricorso in Cassazione presentato dai legali di Adriano Riva (che hanno sollevato eccezione di incostituzionalità), sia l’oggettiva difficoltà, o impossibilità (?), di ottenere i fondi intestati ad otto trust protetti nel paradiso fiscale dell’isola britannica del Jersey e depositati nelle casse delle banche svizzere Ubs e Aletti del gruppo Banco Popolare. Inoltre, le risorse liquide ammonterebbero a non più di 800 milioni di euro, di cui soltanto 164 milioni sono in Italia.
Il che, se le cose non cambieranno, esporrà il governo Renzi a più di qualche problema in merito all’attuazione del piano di risanamento ambientale, previsto dal Piano ambientale approvato la scorsa primavera dal governo che pare sarà rivisto nella sua applicazione temporale. Discorso ancora più nebuloso invece, la futura formazione societaria dell’azienda. Prende sempre più piede l’ipotesi di ricorrere a Fintecna, la società pubblica trasferita dal Mef alla Cassa depositi e prestiti, e alla creazione di una new.co.
Incertezza che fa restare alta l’attenzione dei sindacati, visto che nella bozza del decreto non c’è alcun riferimento alla questione occupazionale, così come di banche e Confindustria: le prime perché vantano crediti per 1,4 miliardi di euro, la seconda perché teme ripercussioni negative sull’indotto (da mesi in grande sofferenza) e sui fornitori (che attendono ancora un saldo di 440 milioni di euro). Più fredda la reazione della città. Divisa tra una politica locale che plaude all’iniziativa del governo, una diffidenza generale e la contrarietà delle associazioni ambientaliste.
Per quanto riguarda Taranto, il decreto istituisce “un’unica governance interistituzionale” attraverso “uno specifico contratto istituzionale di sviluppo”, che sarà sottoscritto da un apposito Tavolo istituzionale permanente per l’area ionica, coordinato da Palazzo Chigi e da vari ministeri. Il Tavolo si occuperà della bonifica dell’area esterna all’Ilva, del porto e dell’Arsenale della Marina. Previsto il potenziamento dell’ARPA Puglia e l’autorizzazione per la Regione, nel 2015, a prevedere l’utilizzo di 30 milioni di euro (25 erano stati stanziati dalla legge Terra dei Fuochi) per la costituzione di un centro per la diagnosi e la cura dei tumori infantili. Ma siamo ancora alle parole e alle promesse.
Gianmario Leone (Il Manifesto, 27.12.2014)
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