Tempa Rossa: i documenti dell’Eni e le strategie parallele

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17_12_2008_tempa rossaTARANTO – Alle 4,30 di sabato mattina, il Senato ha approvato il maxi emendamento alla legge di Stabilità proposto dal governo guidato dal premier Matteo Renzi. Il documento ha ottenuto 162 sì e 37 no, alla fine di una riunione cominciata la mattina del giorno precedente. Il ddl bilancio, messo ai voti un’ora dopo, ha incassato 161 sì e 78 no. Come si ricorderà, nel maxi emendamento, all’art.1 comma 551 lettera a, vi è il provvedimento con il quale il governo (come riportato la scorsa settimana) rende ancora più centrale il ruolo delle Stato in tema di decisioni sulle estrazioni petrolifere, estromettendo di fatto i poteri e i pareri delle Regioni e rendendo praticamente ininfluenti sotto ogni punto di vista quello dei Comuni.

L’emendamento presentato alla legge di Stabilità al Senato, riscrive infatti completamente il comma 1 dell’art 38. “Il ministro dello Sviluppo economico, in concerto con il ministro dell’Ambiente, predispone un piano delle aree in cui sono consentite attività estrattive”. Leggendo il testo, si scorge “previa intesa con le Regioni che insistono nelle aree interessate”. Un semplice contentino però: perché è previsto che qualora l’intesa non venga raggiunta, ci sarà “la remissione degli atti alla presidenza del Consiglio”. Dunque, alla fine della feria a decidere sarà solo e soltanto il governo.

L’emendamento riguarda tutte le autorizzazioni relative alle opere necessarie al trasporto, allo stoccaggio, al trasferimento degli idrocarburi in raffineria, alle opere accessorie, ai terminali costieri e alle infrastrutture portuali strumentali allo sfruttamento delle concessioni esistenti, comprese le opere localizzate al di fuori del perimetro delle concessioni di coltivazione: che saranno rilasciate dal Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.

In molti, non completamente a torto, hanno visto in questo provvedimento del governo un modo per blindare definitivamente il progetto “Tempa Rossa”. Che in realtà, come abbiamo documentato e riportato su queste colonne nel corso degli anni, ha ottenuto tutte le autorizzazioni più importanti a livello ministeriale e locale, nel lontano 2011. Basti ricordare che già nel gennaio di quell’anno si svolsero riunioni tra il Comune e l’Eni per concordare la famose “compensazioni ambientali” pari a 3 milioni di euro, in quanto quota dell’1% dei 300 milioni di euro di investimento che l’Eni aveva previsto per realizzare i lavori previsti dal progetto “Tempa Rossa” (come stabilisce la legge Marzano).

E’ inoltre bene ricordare che quando nel novembre del 2011 la Regione Puglia dette il proprio ok al progetto “Tempa Rossa”, il giudizio si basò sull’ok giunto dal CTR (Comitato tecnico regionale dei Vigili del Fuoco) che aveva vincolato l’assenso all’opera attraverso una serie di prescrizioni che a tutt’oggi la Regione non è in grado di dire se siano state inserite o meno nel progetto nella loro totalità. Tanto è vero che al CTR attendono ancora dall’Eni la Relazione Definitiva di Sicurezza. Cosa che ha permesso alla Regione, il mese scorso, di chiedere al ministero dell’Ambiente di riesaminare il decreto VIA-AIA approvato nel settembre del 2011. E ad ARPA Puglia di chiedere nuovi documenti che accertino, da un punto di vista scientifico, che il progetto “Tempa Rossa” non provochi un ulteriore aumento di emissioni inquinanti (quando in realtà già nel progetto iniziale la stessa Eni aveva previsto un incremento delle emissioni non convogliate pari al 12%).

L’ultimo documento prodotto dall’Eni

E così lunedì 15 dicembre è arrivato alla Regione ed all’ARPA Puglia, il documento inviato dall’Eni lo scorso 21 novembre, “Piano di intervento della raffineria di Taranto per la totale compensazione dell’incremento di emissione di VOC (composti organici volatili per 36 t/anno) dovute al progetto Tempa Rossa”. Uno scritto di 19 pagine, che prevede tre interventi di miglioramento tecnologico: uno per il sistema di recupero vapori previsto nel progetto Tempa Rossa; un altro per il sistema di recupero vapori a servizio della Raffineria di Taranto diviso in due fasi: la prima prevede una “Modifica non sostanziale impianto recupero vapori presso il terminale marittimo” (attraverso una comunicazione inoltrata nel mese di luglio 2012 ed approvata a seguito del Parere Istruttorio Conclusivo della Commissione Istruttoria AIA-IPPC del 7 novembre 2013), mentre la seconda prevede una “Modifica non sostanziale impianto recupero vapori presso il terminale marittimo” (attraverso una comunicazione ai sensi art. 29-nonies, comma 1 del D.Lgs. 152/06 inoltrata in data 7 Ottobre 2014).

Tali interventi, secondo quanto sostenuto nel documento dall’azienda, “riguardano impianti già esistenti o ancora da realizzare hanno, evidentemente, orizzonti temporali differenti”. Entrando nello specifico, mentre il secondo intervento (“miglioramento tecnologico del sistema di recupero vapori a servizio della Raffineria di Taranto”) “è stato proposto – a valle dell’indispensabile studio dello stesso anche in ordine a tematiche di sicurezza oltre che ambientali – a seguito della prescrizione di cui al Decreto di Compatibilità Ambientale e di fatto realizzato e testato nei mesi successivi al fine di poterne valutare l’efficacia”, l’intervento n. 1 (“miglioramento tecnologico del sistema di recupero vapori previsto nel progetto Tempa Rossa “) ad oggi non è stato realizzato “e potrà esserlo solo a seguito del positivo accoglimento del presente Piano di Intervento”.

Analogamente, l’intervento n. 3, “sebbene imprescindibile al fine di traguardare il massimo dei benefici ambientali in termini di emissioni di VOC così come richiesto ed oggettivamente auspicabile, al momento non è ancora operativo”. Per questo motivo, nelle pagine conclusive del documento, l’Eni presenta una tabella riepilogativa “con l’evidenza che la riduzione di emissioni di VOC ottenibile con l’implementazione degli interventi in precedenza descritti consente, di fatto, di traguardare abbondantemente la totale compensazione dell’incremento di emissione di VOC (36 t/anno) dovute al progetto Tempa Rossa e quindi mantenere l’assetto emissivo inalterato rispetto all’ante operam, così come prescritto dal succitato Decreto di Compatibilità Ambientale”.

In conclusione, per l’Eni “l’implementazione dell’insieme dei suddetti interventi di miglioramento tecnologico, sia quelli intrapresi nell’ambito del miglioramento ambientale dell’assetto attuale della Raffineria e riguardanti il sistema di recupero vapori della stessa Raffineria (Fase 1 e Fase 2), sia quello indicato al n. 1 della stessa tabella, relativo al sistema di recupero vapori previsto nel progetto Tempa Rossa, costituisce verifica di ottemperanza alla prescrizione art 1.A.2 DVA_DEC-2011-573 del 27 ottobre 2011”.

Infatti, in tale maniera secondo l’azienda “si determina una potenziale riduzione complessiva di emissioni in termini di VOC valutabile in 64 t/anno, ossia una compensazione pari a circa il doppio di quella prescritta nel Decreto di Compatibilità Ambientale e relativa al progetto Tempa Rossa, nella quale, come più volte evidenziato, veniva richiesta una compensazione di VOC pari a 36 t/anno. Pertanto, si ribadisce quanto già dichiarato dal proponente ed assunto come impegno, ossia quello di conseguire la totale compensazione del suddetto incremento di VOC e, quindi, mantenere l’assetto emissivo inalterato rispetto all’ante operam, anche a seguito dell’intervento Tempa Rossa”.

In realtà, sia dalla Regione che da ARPA Puglia sono arrivati commenti, al momento soltanto ufficiosi, molto critici sul documento dell’Eni: tanto da definirlo una sorta di “bidone” che non cambia di una virgola quanto si conosce sino ad ora in merito al progetto. E in effetti, scorrendo le 19 pagine del documento (metà delle quali condite da disegni del “Nuovo sistema di recupero vapori”), nulla si apprende di nuovo rispetto a quanto già conosciuto. Anche perché il tutto è scritto su carta, ed andrebbe quanto meno provato sul campo.

Il petrolio griffato “Tempa Rossa” non sarà raffinato a Taranto

Ed ora veniamo alla realtà dei fatti. Anche per fare un po’ di ordine in merito alla disinformazione imperante in città sul progetto “Tempa Rossa” e non solo. Punto primo: al momento, non è assolutamente vero, né è prevista, la possibilità che il petrolio grezzo che sarà estratto dai pozzi della concessione “Tempa Rossa”, possa essere raffinato a Taranto. Cosa tra l’altro mai prevista dal progetto originale. Ed eventualità che su queste colonne abbiamo sempre escluso. Il motivo di ciò risiede in una motivazione molto semplice quanto banale: nella scarsissima qualità del greggio che sarà estratto nel giacimento situato nell’alta valle del Sauro. A ciò, da sempre, si collega il fatto che proprio il fungere da deposito di stoccaggio del petrolio che sarà estratto a partire dal 2016 (2.7 milioni ton/anno), garantirà la sopravvivenza della raffineria di Taranto. Che da tempo, e non certo da oggi, rientra nel piano di dismissione ipotizzato da Eni per quanto riguarda lo scenario della raffinazione in Italia: il continuo calo del costo del petrolio infatti, porterà le multinazionale come l’Eni a raffinare all’estero.

Tanto è vero che già in tempi non sospetti, i sindacati hanno chiesto all’Eni che venga raffinato a Taranto petrolio estratto altrove (o anche in Basilicata da altri pozzi), in modo tale da garantire un minimo di attività agli impianti attualmente in funzione (2.87 milioni ton/anno di greggio raffinato nel 2013). Dunque, diffidate da chi sostiene che l’Eni raffinerà a Taranto il petrolio estratto dai pozzi “Tempa Rossa”, perché così non è. E non sarà.

I lavori al pontile petroli “proseguono”

Può sembrare strano, ma così non è. Del resto, che la delibera con cui lo scorso novembre il Consiglio comunale di Taranto aveva approvato una variante al Piano regolatore del porto con cui si escludevano i lavori per il prolungamento del pontile petroli (tra gli interventi previsti dal progetto “Tempa Rossa”) fosse un goffo tentativo, peraltro mal riuscito, di fare la voce grossa e fare sponda alla “ribellione” di parte della città alla realizzazione del progetto, è sempre stato del tutto evidente. L’Eni infatti procede nei lavori, forte non soltanto delle eventuali prossime iniziative dell’Autorità Portuale (pronta a ricorrere al TAR di Lecce per evitare ulteriori ritardi ai lavori al porto) e del governo, quanto soprattutto della delibera approvata il 24 gennaio del 2005 dal Consiglio comunale di Taranto all’epoca dei fatti sotto la giunta Di Bello. Perché l’allungamento del pontile petroli (di ulteriori 325 metri sugli attuali 700), già all’epoca era una variante al Piano Regolatore Generale del Porto: la richiesta dell’Eni arriva il 20 giugno 2003; il 3 giugno 2004 l’Autorità Portuale invia al Comune la delibera con la quale il 31 maggio 2004 il Comitato Portuale approva la richiesta dell’Eni; il 24 gennaio 2005 arriva come detto l’ok del Comune di Taranto. Dunque l’Eni non si ferma. E difficilmente la delibera del Comune dello scorso novembre passerà lo scoglio del TAR di Lecce, visto che tra l’altro l’allungamento del pontile è stato previsto sia per ospitare le navi di nuova generazione dotate di un pescaggio profondo sino a 14 metri, sia per liberare il campo boe in Mar Grande onde evitare un ulteriore congestionamento di traffico di petroliere nella rada esterna al porto (visto che con il progetto “Tempa Rossa” le navi aumenteranno di almeno 90 unità all’anno).

Il retroscena dei serbatoi e un investimento “ridotto”

L’ultima novità riguarda la costruzione di due nuovi serbatoi, che nel progetto iniziale avrebbero dovuto ospitare il petrolio grezzo estratto dai giacimenti della Valle del Sauro, in attesa di essere caricati sulle petroliere. Come si ricorderà, più volte su queste colonne abbiamo sottolineato come (grazie anche alle denunce del comitato Legamjonici) il Comune di Taranto non si è ancora dotato dell’E.R.I.R., un elaborato tecnico che garantisce il rispetto delle condizioni di sicurezza in relazione alle distanze tra stabilimenti a rischio di incidenti rilevanti e territori circostanti. Il 2 ottobre del 2012 l’ex assessore all’urbanistica, Francesco Cosa dichiarò che “è stata completata la redazione dell’elaborato Tecnico inerente il Rischio di Incidenti Rilevanti (ERIR) del Comune di Taranto. Ad occuparsi del documento è stata la Direzione Urbanistica Edilità che, tramite l’Assessore Francesco Cosa, l’ha presentato questa mattina al Sindaco”.

Dopo di che della vicenda non si è più saputo nulla. Due anni dopo, la Commissione Ambiente del Comune si è ritrovata a “discuterne”. Perché il documento che la Commissione Assetto del Territorio aveva elaborato, avvalendosi dello studio della società Tecsa Srl di Milano, realizzato nel 2012 ed aggiornato al 2014, sulle zone a rischio di incidenti rilevanti, è risultato essere “incompleto”. Nell’ERIR elaborato dal Comune di Taranto infatti, non risultava essere presente una valutazione sugli effetti che eventi Ecco perché secondo l’ARPA Puglia, dovranno essere opportunamente valutati eventuali eventi incidentali relativi al progetto Tempa Rossa. A tal fine l’Agenzia regionale per l’Ambiente si è riservata di chiedere al Comitato Tecnico Regionale di procedere ad una revisione del parere sul Nulla Osta di Fattibilità del progetto che fu concesso nel lontano 2012. “Tali considerazioni risultano essere di estrema importanza anche a causa del fatto che l’area interessata da tale progetto risulta individuata quale area ad elevata crisi ambientale – specifica Arpa Puglia – per la quale un eventuale aggravio del preesistente livello di rischio potrebbe comportare gravi situazioni di pericolo per la salute della popolazione e per l’ambiente”.

Parliamo di un documento di primaria importanza, visto che è il Decreto Ministeriale del 9   maggio 2001 ha recepito la direttiva europea Seveso, rendendo obbligatorio per i comuni interessati da aziende a rischio d’incidente rilevante l’ERIR, ritenendolo “parte   integrante e sostanziale   dello strumento urbanistico” (punto 3.1   Allegato al DM 9 maggio   2001).

E siccome proprio i due nuovi serbatoi, da costruire troppo vicino a quelli già esistenti, sarebbero sicuramente entrati nel mirino della Commissione europea allertata anni addietro dal comitato Legamjonici anche e soprattutto sulla questione degli incidenti rilevanti, l’Eni ha deciso di seguire una strada alternativa per aggirare qualsivoglia problema. Ovvero confinare il petrolio grezzo estratto dai giacimenti di “Tempa Rossa” in alcuni serbatoi già esistenti. In questo modo, i due nuovi serbatoi in fase di costruzione, avranno dimensioni molto più ridotte rispetto alle previsioni iniziali. Ma soprattutto non ospiteranno petrolio. Perché? Per un semplice motivo: perché l’Eni ha deciso di “riempire” i due nuovi serbatoi con i fanghi dei dragaggi derivanti dagli scavi per l’approfondimento dei fondali (tra l’altro, la realizzazione di due casse di colmata dei suddetti fanghi fu approvata già dalla delibera del consiglio comunale del gennaio 2005).

Inoltre, questa operazione, avrà un’altra conseguenza: ovvero che l’Eni ridurrà notevolmente la somma inizialmente prevista di 300 milioni di euro di investimento per i lavori del progetto “Tempa Rossa”. Questo, dunque, quanto sta accadendo in queste ultime settimane. Ribadendo ancora una volta la contrarietà al progetto espressa da questo giornale sin dal lontano 2010 (anche se qualcuno si diverte a far credere alla gente che la linea editoriale del TarantoOggi è stata misteriosamente cambiata sotto il nostro naso da eminenze grigie a noi sconosciute), ripetiamo un semplice concetto: questa città ha ancora tanta strada da fare su tanti aspetti. Anche e soprattutto dell’informarsi correttamente e dal saper distinguere senza tentennamenti il vero dal falso. Sin quando ciò non accadrà, ce la faranno sempre sotto il naso. E dare sempre la colpa al politico di turno o a qualsivoglia istituzione, è un ritornello che oramai non funziona più.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 22 dicembre 2014)

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