“Non esiste futuro per l’acciaio e per l’Ilva, si pensi alla Nuova Taranto”

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Lo stabilimento Ilva visto dai tetti del quartiere Tamburi, 19 settembre 2013.ANSA / CIRO FUSCO

Caro direttore,

io non capisco la paura generata dalla recenti voci di una possibile chiusura dell’Ilva: non esiste futuro per l’acciaio in Europa ed è ora che ce ne rendiamo tutti conto. Chi non vuole vedere questa verità ha degli interessi specifici e spera di poter succhiare ancora latte grasso dalla mammella della lupa romana giocando sull’ignoranza dei governanti attuali e del menestrello fiorentino, che di acciaio non ne sa proprio nulla.

L’industria siderurgica europea presenta numerosi punti di forza, tra cui impianti moderni, prodotti avanzati, accesso ad una clientela esigente che necessita di una costante innovazione e sviluppo dei suoi prodotti, un vasto mercato domestico (il mercato interno dell’Unione) ed una forza lavoro nel complesso specializzata. Essa si trova tuttavia ad affrontare importanti problematiche che ne ostacolano la competitività: il settore è fortemente pregiudicato da costi energetici più elevati rispetto a molte altre parti del mondo, ricorso a materie prime di importazione, concorrenza internazionale sleale, requisiti impegnativi in materia ambientale, spesso più ambiziosi di quelli applicati nei principali paesi concorrenti, sovraccapacità e penuria di competenze.

In questa ottica si vuol far credere ancora che si possa risorgere con una produzione Ilva di acciaio NON richiesto e NON voluto dai mercati attuali stante l’eccedenza di produzione mondiale che super i trenta milioni di tonnellate l’anno. Perché si insiste così tanto nel chiedere ancora (e ancora) allo Stato di finanziare una produzione invenduta ed invendibile, per il solito carrozzone funebre statale? La soluzione è diversa dalla cura pietosa proposta da Renzi:  chiudere l’Ilva e bonificare i terreni con i soldi dei Riva  utilizzando i 16 mila operai diretti ed indotti per bonificare invece che produrre in perdita e senza ordini.

Si pagata dai Riva e non dallo Stato. Infatti: nel caso dell’Ilva di  Taranto ci troviamo dinanzi a contaminanti prevalentemente inorganici, quindi metalli pesanti, che richiedono interventi mirati sul suolo, sul sottosuolo e sulle acque sotterranee. Non esiste un procedimento universalmente valido per tutti i siti. Non si può infatti generalizzare, ma occorre una valutazione caso per caso. Ci sono tre tipi di intervento possibili e soprattutto che vanno valutati in base alle esigenze di ogni singola area.

Il primo tipo di intervento, sicuramente il più asuspicabile, è quello in situ. Questo intervento non comporta scavi o rimozione di acque sotterranee ma prevede soluzioni applicabili direttamente sull’area di interesse. E’ decisamente la prima opzione, quella più vantaggiosa perché evita di allargare l’area di intevento e monitoraggio . Per bonificare un’acciaieria in situ si valutano trattamenti di tipo chimico-fisico o biologico, si sfruttano reagenti fisici-chimici per tentare di ridurre le concentrazioni di contaminanti, nel caso dell’acciaieria di metalli pesanti. I trattamenti biologici, invece, prevedono l’utilizzo di microrganismi, come batteri. Nel caso dei metalli pesanti i batteri possono sviluppare caratteristiche di tossicità, quindi il loro utilizzo andrebbe valutato seriamente. In altre situazioni invece i batteri si sono rivelati molto utili.Il secondo tipo d’intervento comporta invece lo scavo e lo smaltimento in discarica.

Non è l’opzione più congeniale perché prevede lo scavo e lo spostamento in un altro sito di terreno e acqua contaminati. Questo tipo di intervento, pur tagliando i tempi di bonifica delle aree interessate, non è altrettanto efficace nel lungo termine. Innanzitutto bisogna trovare un sito in cui creare un impianto di discarica, poi si devono eseguire una serie di controlli che possono durare diversi decenni. Sarebbe un po’ come spostare, anche se in modo controllato, il problema da un luogo a un altro. Per un paese come il nostro non è facile riuscire a trovare un sito idoneo a ospitare detriti altamente contaminati, ma nelle ex miniere di sale in Germania li potrebbero ben accogliere.

Il terzo e ultimo tipo di intervento è quello dell’ interruzione dei percorsi di esposizione per l’uomo. Quando non si può intervenire sulla matrice ambientale o quando il rischio per l’uomo è elevato e immediato, è prevista la realizzazione di pavimentazioni e coperture idonee. In questo modo si possono porre delle barriere fisiche tra i contaminanti e i lavoratori. E quando il sito è situato in vicinanza di  un’area abitata, una copertura efficace può anche servire da protezione per i residenti. Anche se può sembrare di  nascondere il problema sotto un tappeto, interrompere le vie d’esposizione rimane un’opzione valida anche e soprattutto per i siti in attività.

Durante i lavori di bonifica, che dovrebbero durare almeno sei anni, si potrebbe affidare – a costo zero –  al senatore a vita Renzo Piano il compito di progettare una riqualificazione turistica dell’area ex Ilva al fine di attrarre il turismo mediterraneo attualmente in cerca di nuove mete altamente qualificate e a prezzi modici. Qui si che lo Stato dovrà intervenire per finanziare la riqualificazione dell’area grande due volte e mezza la città di Taranto per collocare al suo interno tutti i lavoratori ex Ilva ed ex bonifica Ilva per diventare operatori alberghieri qualificati. In conclusione:  riqualificazione del personale, utilizzo dei soldi dei Riva per bonificare, intervento dello Stato per costruire in modo eco-tecnologico la  nuova Taranto del turismo, della cultura e dello spettacolo, che consenta l’approdo delle navi passeggeri ai moli ex Ilva  arredati di archeologia industriale per assistere alle opere ed ai concerti della Nuova Taranto.

Il Corsaro Verde, un lettore attento

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