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Ilva, la trattativa con ArcelorMittal è più viva che mai

TARANTO – Nessuno si è accorto che l’intervento pubblico sull’Ilva rilanciato dal premier Matteo Renzi, è arrivato esattamente 24 ore dopo la lettura dell’offerta non vincolante presentata dal colosso franco-indiano ArcelorMittal e del gruppo italiano Marcegaglia. Il perché è presto detto: le condizioni poste, qualora accettate, creerebbero non pochi problemi al governo.

E’ infatti oggettivamente complicato garantire a due gruppi industriali pronti a “salvare” la produzione dell’acciaio di un paese come l’Italia, l’immunità dalle eventuali iniziative future della magistratura tarantina; così come è oggettivamente complicato concedere senza problemi una deroga sulla produzione annua massima di acciaio (dagli 8 milioni previsti come tetto massimo dall’AIA alle oltre 9 richieste dagli offerenti); così come è oggettivamente complicato concedere ulteriori deroghe sull’AIA, a cominciare dall’intervento di copertura dei parchi minerali primari (il cui progetto ha ottenuto proprio ieri l’ok dalla Conferenza dei Servizi decisoria svoltasi a Roma) che gli offerenti ritengono un’esagerazione o comunque un intervento che altrove nel mondo non è richiesto e previsto, per finire con l’ammontare complessivo degli investimenti di risanamento ambientale previsti al quale sottrarre qualche centinaia di milioni di euro.

Così come è oggettivamente difficile garantire che i debiti contratti dall’azienda che si vuol vendere (ammontanti ad oltre 1,3 miliardi di euro secondo la Centrale Rischi di Bankitalia aggiornata allo scorso settembre) non peseranno sui futuri proprietari; così come è oggettivamente difficile promettere che i risarcimenti danni miliardari che potrebbero arrivare da una futura sentenza di un processo ancora agli arbori, cadranno non certamente sulle spalle della nuova proprietà; così come è oggettivamente difficile convincerli che gli attuali proprietari di Ilva, i Riva e gli Amenduni, si faranno da parte senza colpo ferire. E potremmo continuare ancora a lungo.

E’ chiaro dunque che Renzi ha dovuto prendere tempo, per capire il da farsi. E la mossa di tirare in mezzo l’intervento pubblico, un segnale di “forza” lanciato agli acquirenti, ha avuto comunque i suoi effetti. Lo si capisce dal comunicato diffuso nella serata di ieri dal gruppo ArcelorMittal, al termine dell’incontro svolto a Roma con il ministro Guidi (e all’indomani di quello svolto nella sede milanese della JpMorgan, advisor del gruppo, e i legali di Gianni Origoni Grippo Segni con il commissario Ilva Piero Gnudi che era affiancato dagli advisor Deloitte e Rothschild oltre ai legali dello studio Lombardi Molinari Segni). Nel quale si sottolinea che “la nostra partnership con il Gruppo Marcegaglia sia in grado di offrire un futuro sicuro a Ilva”.

L’ad Aditya Mittal, che ha incontrato i rappresentanti del Governo, nel comunicato ricalca alcune condizioni poste nell’offerta non vincolante, come quando afferma che “intendiamo incrementare la produzione della società per raggiungere la piena capacità di utilizzo degli impianti in modo da generare più lavoro e garantire importanti livelli occupazionali”. Aprendo anche alla possibilità però di rivedere qualcosa in termini di investimenti sugli impianti dell’area a caldo: “Siamo anche pronti – dichiara Mittal – a fare i necessari investimenti per introdurre migliorie nel ciclo produttivo, nell’ambiente e in nuove tipologie di prodotti che permetteranno a Ilva di mantenere ed espandere la propria offerta al mercato italiano ed internazionale”.

Siamo sicuri – conclude il magnate dell’acciaio – di essere i migliori partner per Ilva, in grado di garantire un futuro sostenibile per i dipendenti e per tutti gli stakeholder”. Come a dire, cosa peraltro vera, che acquirenti con le stesse potenzialità difficilmente ci saranno mai. “Un incontro positivo, la trattativa è ancora aperta”: così si è invece espressa la presidente dell’Eni Emma Marcegaglia uscendo dall’incontro dal Mise. Accanto a lei Antonio Marcegaglia, amministratore delegato dell’omonimo gruppo, che ha aggiunto: “Siamo flessibili, dovremo esserlo e lo saremo” ha detto a chi gli chiedeva se c’erano margini perché la cordata ArcelorMittal-Marcegaglia possa migliorare la propria offerta.

Dunque, la trattativa c’è e prosegue spedita. Anche perché chi altro potrebbe comprare l’Ilva? Inoltre, pare che gli offerenti siano disposti a spostare più in là nel tempo il limite temporale della scadenza dell’offerta. Eventualità che permetterebbe al governo di studiare come risolvere qualche “piccolo” problema. Ad esempio, decidere se intervenire modificando la legge Marzano oppure approvando il settimo decreto sull’Ilva. In entrambi i casi non è dato sapere come si voglia intervenire. Su queste colonne, in tempi non sospetti, abbiamo parlato di possibile applicazione della legge Marzano o dell’eventuale intervento della Cassa Depositi e Prestiti (o di un improbabile aiuto della Banca Europea degli Investimenti).

Ma come abbiamo sempre sottolineato, il tutto potrà avvenire soltanto facendo sedere al tavolo della trattativa i proprietari dell’Ilva Spa: ovvero il gruppo Riva e il gruppo Amenduni (detentore del 10% delle azioni della società). Del resto, anche la legge sul commissariamento del siderurgico del 2013 prevede che lo stabilimento, al termine periodo in atto che terminerà nell’agosto 2016, tornerà ai legittimi proprietari o ai futuri compratori. Dubitiamo che il governo possa aggirare l’ostacolo dei Riva. Così come appare del tutto improbabile ed impossibile un esproprio. Il tutto sembra soltanto un gioco fatto per prendere tempo e concludere la trattativa con meno danni possibili. Per i compratori, ovviamente, non certo per Taranto.

Sia come sia, qualcosa si dovrà fare, ed anche in tempi brevi. Anche per questo ieri si è svolto un vertice sull’Ilva, a cui hanno partecipato il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri Graziano Delrio, Andrea Guerra (nuovo consigliere economico del premier Renzi), il commissario straordinario dell’Ilva Piero Gnudi, Franco Bassanini (presidente della Cassa Depositi e Prestiti), Gorno Tempini (amministratore delegato della Cassa Depositi e Prestiti), Maurizio Tamagnini (amministratore delegato del Fondo Strategico Italiano). Staremo a vedere cos’altro partoriranno.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 11.12.2014)

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