Secondo quanto appreso infatti, dopo il pagamento da parte delle banche della seconda tranche del prestito ponte, i soldi per il pagamento di stipendi e tredicesime ci sarebbero, ma i pagamenti potrebbero essere dilazionati nel tempo, in modo tale da arrivare almeno a febbraio, quando le sorti dell’Ilva potrebbero essere più chiare: questo infatti pare essere la nuova strategia dell’azienda. Intanto i lavoratori si attendono che gli stipendi vengano pagati senza ritardi: per questo quest’oggi a Genova, se non arriveranno nel frattempo rassicurazioni formali, potrebbe essere proclamato lo stato di agitazione.
Del resto, i problemi economici dell’Ilva sono tanti. Ammonterebbe infatti a ben 440 milioni di euro lo scaduto che l’azienda vanta nei confronti dei fornitori che non è in grado di pagare perché i 250 milioni di euro del prestito ponte sono stati pagati per gli stipendi e le tredicesime degli operai. L’Ilva ora produce al 70% delle sue possibilità e secondo fonti aziendali non ha materiale invenduto. Ma l’azienda, per continuare a vivere, ha bisogno di somme notevoli. Si parla di almeno un miliardo e mezzo nei prossimi sei mesi, ed oltre due miliardi e mezzo soltanto per rendere fattibile un piano industriale proiettato al 2018 che incorpora, secondo quanto previsto dalla struttura messa in piedi dal commissario Gnudi negli ultimi mesi, gli investimenti per rispettare le prescrizioni ambientali finanziate dalla redditività dell’impresa.
Sarà anche e soprattutto per questo che il Governo ha deciso di dare un’accelerata, forse quella decisiva, per provare ad evitare la chiusura dell’azienda. Secondo fonti ben informate vicine al dossier e riprese ieri dall’agenzia Reuters infatti, l’esecutivo starebbe valutando la possibilità di porre in amministrazione straordinaria l’Ilva attraverso un emendamento alla legge di Stabilità o un decreto ad hoc. Il nuovo provvedimento consentirebbe in questo modo la possibilità di continuare ad applicare la normativa sui siti industriali di interesse nazionale che ha già permesso nel 2013 il commissariamento dell’azienda.
La legge di Stabilità, dopo il via libera della Camera, è attualmente in discussione al Senato. Quindi un eventuale emendamento governativo dovrebbe arrivare in tempi brevi. Serve una norma di raccordo tra le due normative: applicare solo la legge Marzano (sull’amministrazione straordinaria per le aziende in stato di insolvenza) significherebbe abbandonare il commissariamento attuale, “quindi serve un provvedimento particolare” hanno dichiarato le fonti. Secondo le quali l’ipotesi della “bad company” sarebbe successiva al varo dell’amministrazione straordinaria.
Allo stesso modo, è ipotizzabile una “mild company” sul modello Alitalia, con un ingresso di Cassa depositi e prestiti o anche delle imprese interessate oggi a Ilva, come Marcegaglia e Arvedi. Senza dimenticare il gruppo Riva, attualmente ancora proprietario dell’azienda con l’87% delle azioni. E proprio ieri Claudio Riva, figlio di Emilio, ha dichirato in un’intervista a Repubblica che “gli azionisti (i Riva stessi e il gruppo Amenduni che detiene l’altro 10% delle azioni) sono disposti a investire e a fare la loro parte per contribuire alla soluzione del problema”. L’attuale presidente di Riva FIRE e consigliere delegato di Riva Forni elettrici, ha anche chiesto al Governo che “i Riva vengano coinvolti o quanto meno interpellati nelle decisioni che verranno prese in merito all’Ilva, nonostante la società sia commissariata”. Lo scriviamo da due anni: pensare che i Riva siano fuori dai giochi sarebbe un gravissimo errore.
G. Leone (TarantoOggi, 03.12.2014)
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