Ilva, Peacelink: “Costi sanitari impressionanti”
L’inquinamento industriale ha costi sociali molto elevati per la Comunità Europea, e l’Italia é uno dei più importanti inquinatori in assoluto. Lo dice l’ultimo rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, che nell’aggiornamento 2014 al Rapporto Annuale sulla qualità dell’aria evidenzia in maniera dettagliata quali siano le principali fonti di inquinamento e le suddivide per provenienza geografica. I costi dell’inquinamento per il continente europeo equivalgono al prodotto interno lordo di paesi come la Finlandia o la Polonia, cifre incredibilmente alte che potrebbero invece esser destinate a mettere in opera le misure necessarie per abbattere l’inquinamento industriale. L’EEA stila una classifica degli stabilimenti industriali, di vario tipo, più inquinanti d’Europa: tra i primi trenta l’ILVA, seguita poco dopo dalla Centrale Termoelettrica di Brindisi e dalla Raffineria di Gela, per poi includere altri stabilimenti italiani quali la Raffineria Esso di Augusta.
Un primato macabro che viene confermato quando si studiano le carte geografiche con le indicazioni degli inquinanti per zona: si noterà allora che il Benzo(a)pirene raggiunge livelli altissimi a Taranto. I costi aggregati dell’inquinamento industriali, espressi in milioni di euro, sono calcolati per l’Italia per un ammontare di quasi 61 milioni di euro per il periodo 2008-2012, un primato negativo superato dalla Germania, dall’Inghilterra e dalla Polonia. Beneficiare della produzione di energia o di altro materiale industriale necessario non puo’ comportare tali conseguenze nefaste per gli esseri umani, l’ambiente ed i costi sociali. Settori quali l’industria, i trasporti e anche l’agricoltura devono essere messi in condizione di produrre utilizzando tecnologie che non rappresentino un attentato alla sopravvivenza del pianeta. Insieme alla Germania, all’Inghilterra e alla Polonia, l’Italia si conferma come uno dei maggiori inquinatori del continente europeo.
Il rapporto EEA, per l’Italia, indica altissimi valori medi di PM10, PM2.5, ozono e benzo(a)pirene. I dati sulle morti premature in Italia sono scioccanti: l’EEA parla di morti premature attribuibili con certezza al PM2.5 e all’ozono per il 2011 e si parla di una stima da capogiro. Peacelink, che ha contribuito al dossier europeo sull’Ilva, si augura che il “Air Policy Package”, i nuovi strumenti di legislazione europea in materia di qualità dell’aria, possano costituire oggetto di lavoro della Commissione e del Parlamento europei fino a raggiungere gli obiettivi prefissi per il 2030. Il focus deve essere sul miglioramento della qualità dell’aria in Europa e sulla realizzazione di ricerca e progettivi innovativi che possano promuovere un nuovo ideale di economia e di produzione a impatto inquinante ridotto.
ILVA: risulta al 29° posto nella graduatoria europea per i costi esterni (“aggregated damage costs”, ossia “costi aggregati del danno” prodotti dall’inquinamento) calcolati con la metodologia CAFE (Clean Air for Europe) per quantificare il danno alla salute in termini monetari, considerando sia il Valore della Vita Statistica (VSL) sia il Valore di un Anno di Vita (VOLY). Sulla base di questa metodologia gli “aggregated damage costs” nel periodo 2008-2012 sono espressi in milioni euro e per l’ILVA i danni vanno da un minimo di 1416 milioni di euro a un massimo di 3617 milioni di euro nel quinquennio considerato. Questo significa che per garantire la produzione dell’ILVA di Taranto, la comunità ha dovuto sopportare costi esterni in termini di danno alla salute che, secondo gli esperti che hanno redatto il rapporto Air quality in Europe 2014, oscillano fra 1416 milioni di euro a un massimo di 3617 milioni di euro nel quinquennio considerato: ossia fra i 20mila e i 50mila euro all’anno per ogni posto di lavoro in ILVA.