La metodologia RBCA
La bonifica per i SIN marino-costieri, nel senso generale del termine, comprende tutti gli interventi volti a ripristinare la qualità ambientale eliminando o minimizzando i rischi (impatti) per l’ecosistema acquatico e, conseguentemente, per l’uomo. Lo studio in questo senso ha inteso fornire uno strumento di supporto alle decisioni, in base al quale valutare e orientare le possibili opzioni di messa in sicurezza e/o bonifica dei sedimenti del 1° Seno del Mar Piccolo. Lo strumento che si è scelto di utilizzare è basato sulla valutazione del rischio associato alle opzioni di gestione delle aree e dei sedimenti contaminati, a partire dalla considerazione generale che un determinato intervento può avere un impatto più o meno elevato sull’ambiente e sulle comunità di un territorio.
In ambiente terrestre, l’impiego dello strumento dell’Analisi di Rischio sanitario e ambientale è normata in Italia nell’ambito del D.lgs 152/2006 (Allegato 1 alla Parte IV) e concerne in particolare le attività di bonifica di suolo superficiale e profondo e delle acque sotterranee. Attualmente in Italia sono utilizzati sia modelli che seguono piuttosto fedelmente la procedura RBCA (Risk-Based Corrective Action, rischio base dell’azione correttiva), sia modelli che mutuano le equazioni di calcolo da altre procedure.
La metodologia RBCA si basa su diversi livelli di approfondimento che devono tenere conto anche di valutazioni di tipo economico (costi-benefici). Gli elementi fondamentali che caratterizzano la procedura RBCA possono essere così sintetizzati: il livello di protezione dell’uomo e dell’ambiente deve essere mantenuto costante in tutti i livelli di approfondimento dell’analisi di rischio; i fattori di sicurezza utilizzati nel calcolo del rischio tendono a diminuire all’aumentare del livello di applicazione dell’analisi di rischio, in funzione della maggiore disponibilità di dati sito-specifici attendibili; l’attendibilità e il numero delle informazioni disponibili devono aumentare con il livello di approfondimento dell’analisi di rischio in funzione della maggiore richiesta di dati sito-specifici e della complessità dei modelli di calcolo applicati; i costi dell’investigazione tendono ad aumentare con il livello di approfondimento dell’analisi di rischio in funzione della maggiore richiesta di dati sito-specifici in termini di numero e attendibilità (come l’uso di attrezzature di campionamento tecnologicamente più avanzate che implicano l’impiego di personale specializzato, impiego di strumentazione ad elevata sensibilità per le determinazioni analitiche, ecc.); il rapporto costi/benefici della bonifica: in linea generale, all’aumentare del grado di conoscenza del sito i costi complessivi della bonifica dovrebbero ridursi in ragione di una migliore definizione dei percorsi di esposizione, dei volumi complessivi da trattare, delle caratteristiche delle matrici contaminate.
La metodologia per l’applicazione di questa analisi di rischio tramite l’utilizzo di software commerciali è definita nel documento “Criteri metodologici per l’applicazione dell’analisi assoluta di rischio ai siti contaminati” (Manuale APAT, revisione 2, 2008). Che è stato elaborato dal gruppo di lavoro “Analisi di Rischio” istituito e coordinato dall’ISPRA e costituito da rappresentanti dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), dell’INAIL e del Sistema delle Agenzie per l’Ambiente (ARPA/APPA).
Attraverso molteplici modelli analitici collegati alle librerie interne dei fattori di esposizione standard e al database tossicologico e fisico/chimico per oltre 90 sostanze, i software possono pertanto calcolare sia il livello di rischio in modo diretto che i valori di screening e gli obiettivi di bonifica per ogni percorso di esposizione completo identificato dall’utente. Sulla base delle concentrazioni rappresentative dei contaminanti indice presenti nella matrice contaminata, intesa come mezzo sorgente, e sulla base del modello concettuale predisposto dall’utente, vengono calcolate le concentrazioni massime attese in condizioni stazionarie al punto di esposizione. Ciò viene fatto attraverso i modelli analitici di destino e trasporto che sono quelli descritti nello standard ASTM. Per effettuare il calcolo, il sistema valuta la ripartizione tra i diversi comparti ambientali e il trasporto laterale della sorgente al punto di esposizione.
Le difficoltà di un’analisi di rischio per il Mar Piccolo
“Da un’analisi effettuata si evince che gli standard tecnici ad oggi sviluppati non contengono indicazioni circa la valutazione del rischio in relazione alla presenza di sedimenti contaminati all’interno di un sito ubicato in area marina o di transizione”. Infatti tali standard tecnici non sono in grado di sintetizzare in indici parametri relativi a caratteristiche chimiche dei sedimenti, biodisponibilità, biomarker e saggi di tossicità individuati nel modello concettuale adottato nello studio in questione. “Se pur i sedimenti possono rientrare tra le sorgenti secondarie di contaminazione, tuttavia non sono attivabili i percorsi, le modalità di esposizione nonché gli stessi bersagli considerati nel presente lavoro”.
Nel modello concettuale dell’area di studio del I seno del Mar Piccolo, intervengono “modalità di migrazione, quali ad esempio il trasporto solido, l’accumulo dei sedimenti ad opera delle correnti e il trasporto solido per deflusso superficiale, non attivabili nei software di analisi di rischio standard e la cui esclusione invaliderebbe l’intero modello concettuale dell’area di studio”.
Anche le modalità di esposizione considerate nel modello concettuale di questo studio, quali ad esempio “la risospensione del sedimento contaminato nella colonna d’acqua o il rilascio dei contaminanti dai sedimenti, non sono contemplate negli standard tecnici ad oggi sviluppati per analisi di rischio conforme al Manuale APAT (rev. 2008)”. Infine, anche i bersagli che il modello concettuale dell’area di studio individua, ossia “l’ecosistema e i molluschi bivalvi soggetti a bioaccumulo, non sono considerati nei modelli italiani di analisi di rischio”.
Per quanto riguarda nello specifico l’analisi di rischio applicata ai sedimenti, sebbene a livello internazionale numerose agenzie e gruppi di lavoro stiano affrontando la tematica, “non si dispone ad oggi di un approccio standardizzato e di linee guida ufficiali e condivise”. Anche la valutazione della qualità dei sedimenti mediante il cosiddetto approccio Triad, basato sulle tre linee di evidenza chimica, ecotossicologia ed ecologia, risulta di difficile applicazione nel caso specifico in quanto, oltre ad essere funzionale alla valutazione del rischio ecologico ma non sanitario ed ambientale, non prende in considerazione i rischi associati ai diversi interventi di bonifica.
“Gli interventi di bonifica che interessano i sedimenti possono infatti alterare in modo significativo, o addirittura distruggere, il delicato equilibrio che sussiste tra habitat acquatico e terrestre e pertanto anche queste conseguenze dovrebbero essere valutate durante la selezione delle alternative di bonifica”. Pertanto, “l’applicazione dell’analisi di rischio ai sedimenti contaminati dovrebbe comprendere non solo la valutazione dei rischi potenziali legati alla contaminazione del sedimento nello scenario attuale (ante bonifica) e futuro (post bonifica), ma anche la valutazione delle alternative di bonifica in termini di rischio ad esse correlato”. Stante le difficoltà di poter applicare al modello concettuale delineato gli standard tecnici ufficialmente adottati per l’analisi di rischio, è stato dunque scelto, quale strumento utile ai decisori, la valutazione dei rischi associati ai diversi interventi di bonifica applicabili ai sedimenti del Mar Piccolo di Taranto, che vedremo nel dettaglio nella puntata di domani.
10° puntata
Gianmario Leone (TarantoOggi, 25.11.2014)
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