Il Capping
Il capping è una tecnologia di contenimento/isolamento progettata per la messa in sicurezza in situ dei sedimenti contaminati, realizzata disponendo una copertura costituita da uno o più stati di materiale adeguato per granulometria e privo, a sua volta, di evidenze di contaminazione. Tale operazione, come spiega lo studio, “pur lasciando i sedimenti contaminati in sito, interrompe il loro contatto con l’ambiente acquatico circostante, limitandone così l’esposizione e tendendo ad immobilizzare i contaminanti nei sedimenti stessi”. Coperture innovative, definite “reattive”, comprendono all’interno elementi permeabili o impermeabili in più strati, contenenti composti da materiali (resine, additivi, ecc.) che garantiscono una maggiore attenuazione del flusso dei contaminanti.
Può essere realizzato singolarmente o in combinazione con altre tecnologie: ad esempio, dopo una parziale rimozione dei sedimenti, o per rafforzare il recupero naturale (Natural Monitoring Attenuation), quando la velocità di sedimentazione naturale non è sufficiente.
Il capping tradizionale è costituito da uno strato di terreno pulito a grana grossa che viene in genere ricoperto da uno strato di protezione costituito da materiale ancora più grossolano (ghiaia, ciottoli e/o massi).
Lo spessore del capping e la composizione dei suoi componenti vanno progettati tenendo conto delle condizioni del sito (tipo e quantità di inquinanti e distribuzione nell’area, batimetria e correntometria, caratteristiche fisiche e meccaniche dei sedimenti, habitat naturale, ecc.), della funzione che il capping deve svolgere e dell’arco di tempo in cui tale funzione deve essere garantita. In genere ad un singolo strato è associata una specifica funzione. “In un intervento di capping devono, quindi, essere considerate le caratteristiche e le forzanti sito specifiche dell’intero “sistema bacino” in cui l’area si colloca”.
Poiché la finalità è quella di stabilizzare i sedimenti contaminati, è necessario, quindi, che questi siano protetti dall’erosione operata dalle correnti acquatiche in modo da prevenire la risospensione ed il trasporto di questi verso altri corpi ricettori; isolare fisicamente i sedimenti dagli organismi bentonici (evitare bioturbazione), che interagiscono con essi mescolandoli e muovendoli, contribuendo al rilascio di contaminanti in acqua; isolare chimicamente i sedimenti per ridurre il flusso di contaminanti disciolti o colloidali nell’acqua.
“Poiché i siti contaminati sono, tendenzialmente, costituiti da depositi di sedimenti a granulometria fine, uno strato di materiale grossolano, con porosità molto maggiore di quella dei sedimenti contaminati sottostanti, non sarebbe adatto a garantire la stabilità del capping”.
In genere, quindi, si pone un filtro (tendenzialmente geosintetico, rappresentato da geomembrane semipermeabili e geotessili permeabili), o uno strato di materiale di porosimetria intermedia tra la parte più fine e quella più grossolana del sedimento. Tale “filtro deve comunque assolvere la funzione di lasciar passare l’acqua, pur impedendo il passaggio delle particelle solide più fini, ed evitare la formazione di gas dovuta alla degradazione della sostanze organiche contenute nei sedimenti contaminati”.
I materiali solitamente impiegati per le coperture sono la sabbia, il limo e l’argilla.
Le caratteristiche fisiche e chimiche dei materiali devono essere compatibili con l’ambiente nel quale verranno posti. La sabbia è relativamente economica, stabile anche su pendenze abbastanza elevate ed attrae specie di organismi che non hanno la capacità di penetrare in profondità. Pertanto, risulta essere particolarmente efficace nell’isolare i sedimenti contaminati dagli organismi bentonici e dalla colonna d’acqua sovrastante e nello stabilizzare i sedimenti e proteggerli dall’erosione.
Tuttavia, “la sabbia ha una ridotta capacità di assorbimento, quindi contribuisce in minor misura, rispetto al materiale fine, a rallentare la migrazione dei contaminanti. Per questa ragione, è utile che lo strato di capping, pur se prevalentemente sabbioso, contenga una frazione di materiale fine e di carbonio organico che garantisce una maggiore capacità di contenimento delle sostanze inquinanti”.
Nel caso si utilizzino materiali a granulometria fine, come “limo ed argilla, servirà valutare dal punto di vista della posa in opera la maggior tendenza alla risospensione che hanno questi materiali e la maggiore instabilità della copertura per la minore resistenza al taglio e l’alto contenuto d’acqua. Inoltre, essi sono particolarmente sensibili alla colonizzazione da parte degli organismi bentonici innescando, conseguentemente, processi di bioturbazione del materiale”. Tuttavia, il materiale fine, grazie alla sua attitudine coesiva, rappresenta un’efficace barriera al flusso di contaminanti dovuto ai meccanismi di avvezione e di diffusione della contaminazione.
Quando il capping deve garantire un livello di protezione dall’erosione molto elevato è possibile incrementare il suo spessore oppure sovrapporre allo strato di terreno a grana fine uno strato di materiale granulare (ghiaia e ciottoli). “Un aspetto cruciale nella realizzazione di questo intervento è relativo alla sua messa in opera in quanto potrebbero innescarsi fenomeni di risospensione, anche consistenti, causati dalla caduta del materiale di ricoprimento sui sedimenti da ricoprire e, pertanto, vanno controllati con cura i mezzi da utilizzare, le velocità da impiegare e le aree di fondale da coprire”.
Dal punto di “vista strutturale, durante la realizzazione di un capping, sia i sedimenti contaminati sia il materiale costituente il capping, subiscono un cedimento indotto dal processo di consolidazione innescato dal peso proprio degli strati sovrastanti”.
Mentre il processo di consolidazione degli strati di capping porta ad una diminuzione della porosità intrinseca del materiale, a vantaggio dell’isolamento della contaminazione, “nel caso dei sedimenti contaminati questa attività provoca la progressiva espulsione dell’acqua interstiziale presente verso il basso e lateralmente. Anche tale aspetto dovrà essere attentamente valutato in fase di progettazione”.
Per migliorare l’efficacia di contenimento è possibile realizzare inoltre dei capping reattivi (o attivi) che, oltre a ricoprire i sedimenti contaminati, operano dei veri e propri trattamenti del contaminante (nel caso in cui sia debolmente legato alla fase solida oppure è associato ad una fase liquida non acquosa e la migrazione di questa fase controlla il flusso all’interfaccia acqua-sedimento).
La capacità di isolamento chimico può essere aumentata impiegando diverse tipologie di additivi e materiali alternativi. Gli additivi possono essere inseriti come un ulteriore strato, o in strati di geotessile, oppure miscelati direttamente allo strato di sedimento contaminato. Tra i più diffusi ammendanti si citano per esempio, l’organoclay, il carbone attivo, gli additivi di fosfato, la bauxite, il ferro zero valente.
Anche il capping, dunque, presenta tante, troppe incertezze sulla sua effettiva efficacia d’intervento. Domani, invece, affronteremo la terza ed ultima tipologia d’intervento prevista per la bonifica dei sedimenti del I seno del Mar Piccolo: l’evoluzione (assistita) del sistema ambientale.
8° puntata
Gianmario Leone (TarantoOggi, 19.11.2014)
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