Mar Piccolo: dragaggio da evitare

0

mar piccoloTARANTO – Il dragaggio dei sedimenti del I seno del Mar Piccolo di Taranto, è da sempre visto con il fumo negli occhi in primis dai mitilicoltori tarantini, che già nel 2005 bloccarono l’intervento previsto e finanziato dal ministero dell’Ambiente con 26 milioni di euro. Intervento che è stato comunque inserito nel protocollo d’intesa siglato nel luglio 2012, tra le varie possibilità d’intervento.

Lo studio realizzato da ARPA Puglia, in collaborazione con tre istituti del CNR (l’IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque sede di Bari, lo IAMC, Istituto per l’ambiente marino costiero sede di Taranto e l’IRPI, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica sede di Bari), il Politecnico di Bari e Conisma, come riportato già ieri, dopo aver affrontato la “predisposizione del modello di circolazione e risospensione dei sedimenti” e “l’individuazione delle fonti ancora attive e le dimensioni del loro inquinamento”, affronta proprio tre le ipotesi di intervento esaminate per il recupero del I seno del Mar Piccolo: il dragaggio, il capping o diversi biorimedi.  Ieri abbiamo iniziato a vedere la questione del dragaggio, che oggi approfondiremo in tutti i suoi passaggi.

Sistemi di dragaggio ambientale di tipo meccanico

Le draghe meccaniche impiegano forze meccaniche per disgregare, scavare e sollevare i sedimenti, minimizzando la quantità d’acqua rimossa insieme al sedimento. Quelle di tipo “ambientale” si differenziano da quelle meccaniche classiche in quanto sono dotate di alcuni dispositivi che da un lato contengono la perdita e successiva dispersione di sedimento nella colonna d’acqua durante la fase di risalita e, dall’altro minimizzano l’aggiunta di acqua di processo alla miscela dragata.
Queste draghe sono particolarmente indicate nel caso di interventi su sedimenti contaminati in quanto offrono un’elevata selettività e precisione nel posizionamento della testa dragante e nel taglio/asportazione del sedimento.
Per come operano riescono a prevenire o minimizzare le perdite di materiale e, conseguentemente, l’incremento della torbidità e dei connessi fenomeni di dispersione della contaminazione.
Un altro aspetto da non trascurare è legato all’ottimizzazione delle concentrazioni del materiale dragato. A questa categoria appartengono le draghe a secchie (bucket line dredgers), le draghe a benna o a cucchiaio (backhoe dredgers) e le draghe a benna mordente o a grappo (grab dredgers).
Come limiti della tecnica lo studio segnala diversi aspetti: la necessità, nella quasi totalità dei casi, dell’accoppiamento con un sistema di bette per il trasporto dei sedimenti su acqua; le produzioni limitate (metri cubi di materiale rimosso per unità di tempo), un maggior numero di movimentazioni del materiale nei vari passaggi (dalla draga ad una betta di appoggio; dalla betta di appoggio al deposito temporaneo; dal deposito temporaneo a quello finale) e, legata a questa, una minore sicurezza nei confronti di possibili dispersioni di materiale.

Sistemi di dragaggio ambientale di tipo idraulico

Le draghe di questo tipo utilizzano una forza idraulica di “aspirazione” per sollevare, rimuovere e trasportare mediante pompaggio il sedimento, miscelato all’acqua di processo, verso la destinazione prevista. Qualche volta, in relazione alla tipologia di sedimento da rimuovere, questi sistemi accoppiano anche una forza di tipo meccanica con la quale si smuove il sedimento per migliorarne l’asportazione ed il refluimento. A questa categoria appartengono le draghe aspiranti refluenti stazionarie (suction dredgers), le aspiranti refluenti stazionarie con disgregatore (cutter suction dredgers) e le semoventi aspiranti auto caricanti (trailing suction hopper dredgers).

Sebbene, sulla base delle caratteristiche costruttive e di funzionamento (elevate quantità di acqua da gestire, elevata torbidità) non hanno i requisiti necessari ad eseguire un dragaggio di tipo “ambientale”, come per le draghe meccaniche è possibile prevedere dei dispositivi, applicati solitamente alla testa dragante (calotte di copertura della bocca di aspirazione, disgregatori più efficienti), che limitano la turbolenza e la dispersione del materiale nell’intorno, nonché l’aggiunta di acqua “di processo” alla miscela di materiale aspirato.

Tra le draghe ambientali idrauliche si possono annoverare dispositivi noti come “environmental cutter” e poi la draga spazzatrice (sweep dredger), la draga a paletta (scoop dredger), la draga a disco (bottom disc dredger) e la draga a coclea (auger dredger).
Sono stati, inoltre, realizzati e brevettati sistemi che operano impiegando una differente modalità di aspirazione del sedimento, come il Pneuma System, che opera grazie all’azione dell’aria compressa, o mini-sistemi draganti (sludge buster) che aumentando la precisione dell’intervento.

A questo tipo di draghe e tecnologie di dragaggio ad oggi esistenti sul mercato, le necessità tecnico-operative potrebbero anche indirizzare la scelta verso la progettazione di dispositivi ad hoc. In generale, le draghe ambientali idrauliche se da un lato sono in grado di assicurare una discreta accuratezza e selettività di scavo, minimi rilasci di materiale dovuti a fenomeni di turbolenza ed una velocità di esecuzione maggiore, dall’altro hanno un impatto maggiore per quanto riguarda i costi di gestione (acqua di processo eventualmente da trattare, necessità di prevedere un bacino di decantazione del materiale dragato prima di poter essere reso trasportabile verso la destinazione finale).

Misure di mitigazione

La formazione della torbida è un aspetto “sistematico” e non “accidentale” che si innesca ogni qualvolta i sedimenti dei fondali sono sottoposti a movimentazione. Per questo motivo, accanto agli accorgimenti di ordine tecnico-costruttivo ed operativo dei sistemi di dragaggio “ambientali” (meccanici o idraulici) utilizzati, lo studio segnala come “si dovranno comunque applicare ulteriori misure ed accorgimenti finalizzati al contenimento totale della torbidità nell’area oggetto dell’intervento”.
Tali misure consistono principalmente nell’installazione di sistemi di conterminazione degli specchi acquei interessati dalle operazioni di escavo, mediante i quali si evita che le particelle risospese dall’attività di dragaggio vadano a disperdersi liberamente nelle acque circostanti.

Le due principali tecniche di conterminazione attualmente disponibili sono le barriere rigide (e fisse), tipo Palancole metalliche infisse, e le barriere flessibili (fisse o mobili), tipo reti idrauliche di geotessuto e panne galleggianti. La scelta di un sistema o dell’altro dipendono dalle caratteristiche dell’area da dragare (idrodinamismo, batimetria, tipologia ed ampiezza dell’area di intervento, ecc.), della logistica del trasporto del sedimento rimosso, dalle tempistiche di realizzazione e dai costi dell’intervento. Non è escluso che i due sistemi posano essere integrati, in particolari condizioni, ad esempio prevedendo una conterminazione generale dell’area operata con un sistema di palancole in accoppiamento ad un sistema di panne nell’intorno del mezzo dragante.

Analisi del trasporto solido a seguito di interventi di dragaggio dei sedimenti

dragaggioA supporto della valutazione del dragaggio come possibile intervento di bonifica, nello studio si è ritenuto interessante analizzare il trasporto solido dei sedimenti conseguente a tale azione, ponendo come parametri da considerare il modello di circolazione delle masse d’acqua, le caratteristiche batimetriche dell’area, emerse dalle indagini di tipo geofisico e geomorfologico e, infine, le caratteristiche granulometriche medie e potenzialmente associabili ai sedimenti presenti nelle due aree prioritarie ai fini della bonifica del I seno del Mar Piccolo. Il risultato è stato una serie di mappe di distribuzione dei sedimenti risospesi e ridepositati, che descrivono dove e come la plume di questo materiale si ridistribuisce, fornendo informazioni anche sul suo riaccumulo sul fondale (quantità espresse in g/m2). Le aree prioritarie coinvolte dallo studio sono state l’Area 170 ha che si trova di fronte all’Arsenale Militare e la zona nord-est del 1° seno.

Al termine dell’esperimento è stato rilevato in linea generale quanto segue: per tutti i casi esaminati la concentrazione dei sedimenti in sospensione è massima in corrispondenza della zona dragata, può interessare anche aree limitrofe più prossime ed estendersi all’intero bacino del 1° seno e, in alcuni casi, coinvolgere anche il 2° seno. Inoltre la tipologia (granulometria) di sedimento gioca un ruolo importante sulla distribuzione della plume di sedimenti sospesi e ridepositati: un sedimento più fine, naturalmente, si solleva molto più facilmente e “viaggia” in sospensione per un tratto maggiore. Ciò detto, a prescindere dalla granulometria considerata (limosa o argillosa), e come era anche logico attendersi, un dragaggio di tipo idraulico “non ambientale” provoca un effetto maggiore sulla risospensione e, conseguentemente, rideposizione dei sedimenti in entrambe le due aree test scelte, a prescindere dal periodo dell’anno in cui si opera (inverno o estate). Inoltre, indipendentemente dalla granulometria considerata e della tipologia di strumentazione scelta (idraulica o meccanica), gli effetti sul trasporto solido delle particelle risospese sono più enfatizzati nel caso di una circolazione media di tipo estivo.

In particolare nell’area scelta per il test, all’interno dell’Area 170 ha ed in inverno, operando un dragaggio idraulico, nel caso di sedimenti limo-sabbiosi, si ha un accumulo di sedimenti risospesi che interessa soprattutto il 1° seno, nella sua area più meridionale ed occidentale, con valori massimi nella zona dragata. L’accumulo interessa via via porzioni crescenti interessando anche piccole zone in prossimità Arsenale ed entrando anche nella parte meridionale del 2° seno con valori non superiori ai 250 g/m2. Quest’ultimo aspetto, nel caso di una simulazione con materiali più fini (argille), evidenzia un maggiore migrazione verso il 2° seno ed un accumulo di sedimenti a cavallo del Ponte Punta Penna con valori stimabili tra 1000 e 2000 g/m2.
La simulazione eseguita sempre in inverno e considerando, invece, l’impiego di una draga meccanica su un sedimento fine argilloso, restituisce una visione per alcuni aspetti simile al caso draga idraulica/sedimento argilloso ma con una movimentazione più contenuta del materiale.

Nell’area test scelta a nord-est del 1° seno ed in inverno, a prescindere sia della tecnica di dragaggio sia della granulometria ipotizzata, la plume di sedimento piega verso la parte nord-occidentale del bacino non interessando il 2° seno. Parte del sedimento risospeso più fine argilloso, invece, tende ad accumularsi anche a ridosso dell’area dell’Arsenale comunque si operi.
In estate si osserva, in generale, una maggiore movimentazione del sedimento e, conseguentemente, maggiori accumuli comunque sempre decrescenti man mano che ci si allontana dal centro delle operazioni.

Nell’area test scelta all’interno dell’Area 170 ha, in tutte le condizioni, la maggiore quantità di materiale si accumula in direzione est coinvolgendo tutta l’area costiera militare. Inoltre, a prescindere dalla tecnica di dragaggio, il coinvolgimento del 2° seno è maggiore con effetti più evidente nel caso di sedimenti di minori dimensioni. Nel caso del dragaggio idraulico, parte del materiale tende ad accumularsi anche verso due zone a nord-est del 1° seno (ex Cantieri Tosi e verso l’istmo di collegamento tra i due seni).
Risultati differenti si osservano, invece, per il dragaggio eseguito nell’area test a nord-est del 1° seno, dove, in estate, si osserva una direzione della plume verso sud sud-ovest interessando il 2° seno quando la dimensione del materiale diminuisce, coinvolgendo la zona a ridosso dei Cantieri Buffoluto (valori non superiori ai 250 g/m2).

Integrazione tra la modellazione della circolazione marina e la valutazione della biodisponibilità e rilascio dei contaminanti dai sedimenti

ARPA Puglia, attraverso un approccio di tipo speculativo, per contribuire a descrivere lo scenario correlato alle operazioni di dragaggio ha tentato di integrare gli aspetti derivanti dalla modellazione della circolazione marina con la valutazione della biodisponibilità e rilascio dei contaminanti dai sedimenti, sulla base delle simulazioni del trasporto solido derivante da interventi di dragaggio. Le considerazioni di ordine tecnicoscientifiche sono di carattere generale e preliminari e, pertanto, soggette ad ampi margini di miglioramento a seguito della disponibilità di ulteriori e più strutturati dati.

Nel caso di un dragaggio idraulico che coinvolgono sedimenti limo-sabbiosi: per i sedimenti risospesi e ridepositati, la concentrazione di Piombo e PCB risulta inferiore ai valori di intervento a distanza superiore, rispettivamente ai 550 metri e 700 metri circa dal “centro del dragaggio”, mentre per il Mercurio tale “attenuazione” la si osserva a partire dai 1.000 metri dal “centro del dragaggio”; per il bioaccumulo nei mitili, il Piombo ed il Mercurio non superano mai i valori limite per tutte le distanze e durante l’intero periodo di esposizione (15, 30 e 45 giorni); per i PCB si osserva, nei primi 15 giorni di esposizione, un trend di bioaccumulo maggiore rispetto ai restanti periodi di valutazione (30 e 45 giorni), ed un superamento, al 45° giorno di esposizione, dei valori limite solo nei primi 400 metri dal “centro del dragaggio”.

Nel caso di un dragaggio meccanico che coinvolgono sedimenti argillosi: per i sedimenti risospesi e ridepositati, la concentrazione di Piombo e PCB risulta inferiore ai valori di intervento a distanza superiore, rispettivamente ai 520 metri e 1010 metri circa dal “centro del dragaggio”, mentre non si osserva alcuna “attenuazione” per il Mercurio; per il bioaccumulo nei mitili, il Piombo ed il Mercurio non superano mai i valori limite per tutte le distanze e durante l’intero periodo di esposizione (15, 30 e 45 giorni); per i PCB si osserva, nei primi 15 giorni di esposizione, un trend di bioaccumulo maggiore rispetto ai restanti periodi di valutazione (30 e 45 giorni), ed un superamento, al 45° giorno di esposizione, dei valori limite solo nei primi 120 metri dal “centro del dragaggio”.
Insomma, i rischi ci sono e sono anche tanti. E crediamo siano assolutamente da evitare. Nella puntata di domani invece, parleremo delle altre due ipotesi in campo: il capping e i biorimedi.

7° puntata

Gianmario Leone (TarantoOggi, 18.11.2014)

Lascia un commento