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Crisi Ilva, l’appello di Confindustria Taranto a Renzi

Il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesareo, ha inviato nei giorni  scorsi una lettera al premier Matteo Renzi. L’oggetto è la complessa vicenda Ilva, su cui si è discusso sabato scorso in una (affollatissima) riunione in Confindustria in cui sono intervenuti parlamentari (Pelillo, Chiarelli, Tomaselli) , assessori e consiglieri regionali e provinciali, sindacati (UIL e UILM), il vicesindaco in rappresentanza del Comune, associazioni di categoria (commercianti, artigiani), e numerose aziende dell’indotto Ilva, giunte oramai allo stremo delle loro forze.

E’ la drammatica situazione di queste aziende, infatti, quella che costituisce l’oggetto principale dell’incontro odierno: molte stanno per chiudere i battenti, altre per avviare licenziamenti di massa. E’ una emergenza che sta per esplodere – è stato detto da più parti –  e a breve potrebbe essere coinvolta l’intera città.  Al termine della riunione,  durata tre ore, è stato deciso che (tempo una settimana, massimo dieci giorni ) si adotteranno azioni clamorose di protesta.  Nel corso dell’incontro, da parte dei parlamentari, è stato delineato il percorso della complessa acquisizione da parte di una delle due cordate in lizza, dello stabilimento Ilva, dello sblocco conseguente della seconda tranche del prestito ponte e del più difficile percorso dei fondi sequestrati ai Riva, con i vari, possibili scenari che potrebbero prodursi a breve per lo stabilimento e la città.

IL TESTO DELLA LETTERA A RENZI
Egregio Presidente,
non sono abituato, per scelta personale e propensione caratteriale, a drammatizzare le situazioni con cui mi rapporto nei miei percorsi di vita.  Le condizioni che riguardano Taranto in questo momento particolarissimo della sua storia sociale ed industriale, tuttavia, non mi consentono di utilizzare inutili giri di parole: ci troviamo di fronte ad un dramma che, pur annunciato, avevamo sperato di evitare.

Così non è stato. Pur ostinandomi a credere che non sia così, la parabola Ilva sembra essere arrivata al capolinea e con essa tutte le – già nel tempo ridotte – certezze ancora in piedi. Come lei sicuramente saprà, al momento sono in discussione gli stipendi di dicembre dei dipendenti dello stabilimento, che è poi il “polso” reale dell’attuale stato di salute del sistema siderurgico jonico.

Alla luce di questo, potrà intuire la situazione-limite che vivono le aziende dell’indotto: fra crediti pregressi non riscossi dalla prima tranche del cosiddetto prestito ponte e quelli maturati successivamente, la stima complessiva dei fondi ancora da esigere arriva a quasi 50 milioni di euro. Alcune di queste aziende hanno già deciso di fermarsi perché non ce la fanno più. E non parliamo, purtroppo, di una resa incondizionata alla situazione Ilva, che le induce a sospendere le attività ancora in essere, ma ad una resa più complessiva rispetto ai mercati ed all’immediato futuro, che non riescono più ad affrontare perché travolte da un indebitamento senza ritorno.

Abbiamo apprezzato l’impegno che il management Ilva ha profuso affinché quella prima tranche di risorse arrivasse in tempi certi alle aziende del nostro indotto, sfiancate da mesi di attesa, così come abbiamo apprezzato, ancor prima, l’impegno del Governo affinché si producesse il prestito; tutto questo, tuttavia, non è bastato perché inficiato da una situazione che man mano si è fatta sempre più paralizzante; da un flusso positivo che sembra aver improvvisamente interrotto la sua continuità aprendo inevitabilmente a scenari di grande incertezza e di fortissima apprensione per tutto il complesso sistema che da sempre ruota attorno all’acciaio: persone, aziende, forniture, commesse, sopravvivenze.

Come le è noto, la seconda tranche di risorse è infatti fortemente condizionata alla definizione di un acquirente, che al momento – salvo notizie dell’ultimora – rimane ancora tutta da definire; altrettanto indefinito e complesso appare l’utilizzo – se mai dovesse realizzarsi – derivante dallo sblocco disposto dalla magistratura degli 1,2 miliardi sequestrati alla famiglia Riva. Ci troviamo, insomma, davanti alla cosiddetta coperta troppo corta e soprattutto a tempi oramai ridotti al lumicino, che ci impongono scelte né facili né indolori.

La situazione di impasse coinvolge oramai tutti: non sarebbero solo gli operai, a breve, a poter scendere in piazza, ma – come è già successo ad agosto con il nostro corteo nelle vie della città, in cui a manifestare erano gli imprenditori – potrebbero mobilitarsi da un momento all’altro le aziende e le loro famiglie, portando le loro recriminazioni a Palazzo Chigi e dando inevitabilmente la stura ad una protesta pesante e senza soluzione di continuità. Certo non potremo essere noi, Confindustria, a poter gestire e controllare il corso di tali eventi, laddove dovessero manifestarsi. Potremmo, però, come già accaduto in passato, evitare che la logica del confronto salti a favore di approcci più aggressivi ed esasperati. Contiamo, per far questo, anche – e soprattutto – nel suo sostegno. Nella sua ultima visita a Taranto, in Prefettura, dove ho avuto il piacere di conoscerla, ha promesso che nella città dell’acciaio, paradigma di un’Italia produttiva capace di rialzarsi a testa alta, ci sarebbe tornato, prima di Natale.

Ebbene, io – noi – crediamo che quel momento sia arrivato, e per questo contiamo su un suo autorevole intervento, che accoglieremo con grande ed estremo favore.  Le risposte che questo territorio attende investono il presente ma guardano soprattutto al futuro: oggi Taranto continua ancora a chiedersi se il suo stabilimento siderurgico è realmente determinante per il Paese e – se lo è – quali saranno le azioni da porre in essere in un orizzonte temporale di medio-lungo termine, quali le strategie da adottare affinché esca dalle secche di un passato difficile, complesso e ancora fortemente vincolante. In attesa di una sua risposta, che auspico vivamente possa essere di segno positivo, le auguro buon lavoro e la saluto cordialmente.

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