Cosa c’è sotto il Mar Piccolo – Il Pcb (della Marina) nei mitili del primo seno

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BERSAGLITARANTO – In questa quinta puntata sullo studio sul Mar Piccolo realizzato da ARPA Puglia, in collaborazione con tre istituti del CNR (l’IRSA, Istituto di Ricerca sulle Acque sede di Bari, lo IAMC, Istituto per l’ambiente marino costiero sede di Taranto e l’IRPI, Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica sede di Bari), il Politecnico di Bari e Conisma, ci occuperemo della falda superficiale e della falda profonda, oltre che dei sedimenti e degli inquinanti, primo tra tutti il PCB, presenti nei mitili del I seno del Mar Piccolo.

Uno degli aspetti emersi dallo studio dell’andamento delle falde, in particolare la profonda, insieme alle caratteristiche idrologiche e geomorfologiche dell’area in questione, è la conferma che il bacino del Mar Piccolo è il “naturale” recettore finale dei flussi d’acqua sotterranei. La falda profonda, risulta infatti “abbondantemente contaminata” dal cuneo salino con evidenze via via maggiori avvicinandosi alla linea di costa, così come la sua propensione a generare risorgenze sia a terra sia in Mar Piccolo con i citri. La notevole antropizzazione dell’area ed il fatto che il bacino idrologico drenante abbia un’estensione di circa 900 Km2 non la rende esente, quindi, “da possibili e potenziali fenomeni di contaminazione diretta o attraverso l’interconnessione, naturale o antropica, con la/le falde superficiali”.

Per quanto riguarda la falda/e superficiale/i, soggiacendo a profondità di molto inferiori rispetto a quella profonda, sono potenzialmente più a diretto contatto con matrici (suolo e acque) contaminate e, conseguentemente, possono essere loro stesse buoni vettori della contaminazione. Un’evidenza in tal senso, si legge nello studio, è rappresentata dalla “falda superficiale localizzata sotto l’area industriale del SIN di Taranto, ad oggi l’unica area in cui è possibile avere dati sulle piezometrie che permettano modellazioni più accurate” (visto che come riportato anche nei giorni scorsi, non è stato possibile campionare le aree a terra dell’Arsenale della Marina Militare, chissà perché…) e, di conseguenza, migliori valutazioni sui livelli di contaminazione presenti e stime sui percorsi di migrazione potenziali.

Un primo tentativo di modellizzare numericamente il flusso sotterraneo della falda superficiale è stato realizzato sempre nell’ambito dello Studio di fattibilità redatto da Sogesid nel 2011. In tale contesto, al fine di supportare la successiva fase riguardante la scelta del più idoneo intervento di messa in sicurezza, è stato definito un modello di flusso sperimentale, un bilancio di massa dei flussi in uscita dall’area esaminata ed un modello di trasporto dei contaminanti, sulla base dell’integrazione degli hot spot (punti) di contaminazione accertati e del modello di flusso elaborato.

Dal modello di flusso sperimentale, si rileva come, anche grazie alle conformazioni orografiche ed alla tipologia litologica dell’area, parte del carico della falda superficiale ivi presente possa ripiegare verso il Quartiere Tamburi e, da questo, nel 1° seno del Mar Piccolo”. Dal modello di propagazione/diffusione degli inquinanti questa considerazione trova una migliore interpretazione in quanto, in un orizzonte temporale medio (60 anni), si osserva un ampliamento e migrazione “naturale” della plume di contaminanti anche verso il 1° seno del Mar Piccolo.

Stima dei deflussi idrici/solidi e considerazioni sulla propensione all’erosione del substrato

Scopo di questa attività è stata la stima dei deflussi idrici/solidi attraverso l’applicazione di modelli idrologici afflussi-deflussi per il calcolo della portata idraulica, accoppiati a modelli per la stima del trasporto solido in grado di definire le portate idriche/solide da inserire nei modelli idraulici di propagazione del deflusso. Analogamente è stato condotto uno studio della propagazione in alveo (compreso il ruscellamento superficiale fuori alveo) applicando modelli di calcolo mono o bidimensionali (qualora la propagazione del flusso avvenga in più direzioni).

In particolare, sulla base del reticolo idrografico individuato e del modello di afflusso/deflusso superficiale, sono stati individuati, in prima battuta, gli aspetti legati all’erosione idrica superficiale che caratterizza il bacino del Galeso e, quindi, è stata delineata la propensione naturale dello stesso a generare trasporto solido e a recapitarlo nel 1° seno del Mar Piccolo.

Considerando l’intero bacino, sempre in riferimento al comportamento medio atteso e al variare dell’uso del suolo, si è osservato un aumento del volume di ruscellamento dal 1975 al 2006; un valore massimo di perdita di suolo sui versanti nel 1999 e una successiva diminuzione nel 2006; un aumento della perdita di suolo nei canali dal 1975 al 2006; una quantità di sedimento che si immette nel Mar Piccolo che presenta un picco nel 1990, una diminuzione nel 1999 e una risalita prossima al valore di picco nel 2006.

La quantità di sedimento mobilitato da versante, da canale ed in uscita dalla sezione di chiusura del bacino è rilevante, ed il valore stimato a 50 anni è maggiore di quello stimato a 100 anni. Tale apparente discordanza trova conferma nel fatto che, considerando un orizzonte temporale maggiore (100 anni) aumenta la probabilità che il sedimento accumulato nei canali sia mosso da fenomeni meno intensi ma prolungati.

Modellazione numerica del trasporto solido dei sedimenti nel Mar Piccolo

Una delle attività svolte ha riguardato il trasporto solido delle particelle di sedimento del Mar Piccolo per effetto delle correnti, ed in condizioni indisturbate (in assenza di attività antropiche). Come era da attendersi, i sedimenti sono soggetti a movimentazioni lungo i tratti in cui le correnti sono maggiori e prevalenti ed in particolare lungo la costa. Qui si alternano aree a maggior accumulo ad aree a decremento di sedimento. Una situazione di maggior accumulo la si può facilmente individuare in prossimità delle Idrovore dell’Ilva.

Bersagli

Sulla base dei dati e delle informazioni pregresse già disponibili sull’area del SIN, era emerso negli anni passati come gli organismi bivalvi allevati all’interno del 1° seno del Mar Piccolo avessero mostrato concentrazioni critiche di inquinanti organici (come il PCB). Questa criticità, ritenuta di un’importanza tale da rendere indispensabile la costituzione, nel 2010-2011, di uno specifico Tavolo Tecnico Regionale, comportò l’obbligatoria emissione di apposite ordinanze di divieto di allevamento, raccolta e commercializzazione del prodotto finito proveniente da queste zone, ancora oggi in vigore.

Valutazione della biodisponibilità e rilascio dei contaminanti da sedimenti

Le attività di studio condotte dal gruppo di lavoro del CNR IAMC di Taranto, hanno riguardato la valutazione del potenziale rilascio di contaminanti (metalli e PCB) all’interfaccia sedimento/acqua, programmando esperimenti di “risospensione simulata” e di conseguente bioaccumulo mediante l’impiego di molluschi bivalvi. Le prove di bioaccumulo sono state condotte sia ex situ (in laboratorio) sia in situ, in corrispondenza di un’area contaminata presente nel primo seno del Mar Piccolo (l’Area 170 ha dell’Arsenale della Marina Militare), dove è stato allestito un esperimento con risospensione periodica dei sedimenti.

Per le prove di bioaccumulo, sia in situ ed ex situ, sono stati utilizzati mitili non contaminati provenienti dall’area di Cagnano-Varano (Fg) e stabulati presso gli impianti della Mitilittica (Bisceglie). Questi mitili sono stati analizzati al fine di valutare le concentrazioni di metalli e PCB. Analogamente, da una boa ancorata sul fondo nei pressi della stazione 1 dell’area 170 ha, sono stati prelevati, ad una profondità di circa 4 metri dal fondo, molluschi bivalvi provenienti da una popolazione nativa, al fine di ottenere informazioni circa i livelli caratteristici degli inquinanti oggetto di studio in organismi “naturalmente” presenti nell’area testata. Sia i mitili nativi sia i trapiantati avevano una taglia media compresa tra 6.0 e 7.5 cm.

esperimentiPer l’esecuzione del test di bioaccumulo ex situ, in data 22 maggio 2013, è stato riempito un acquario con 280 L litri di acqua di mare e 30 kg di sedimento marino, prelevati in corrispondenza della stazione 1. L’esperimento, che nello studio viene analizzato in tutte le sue fasi, è durato 45 giorni.  Nei mitili naturali (nativi), le concentrazioni dei metalli sono paragonabili a siti contaminati; i livelli di Pb, Cd e Hg sono comunque risultati inferiori ai limiti di legge.

Per quanto riguarda i PCB è emerso come le concentrazioni iniziali nei mitili trapiantati siano risultate simili ad aree scarsamente antropizzate ed inferiori ai limiti previsti dalla normativa di riferimento. Invece i valori di PCB determinati nei mitili naturali (nativi) hanno mostrato un livello di contaminazione elevato con concentrazioni (129 ng/g p.u.) al di sopra dei limiti imposti dalla norma (Regolamento CE n. 1259/2011). Dopo 15 giorni i mitili trapiantati presentano un incremento notevole del livello di PCB: nell’esperimento in situ l’accumulo è stato il 58% della concentrazione finale, mentre nell’esperimento ex situ è stato del 20%. Durante il periodo di esposizione questa capacità di bioaccumulo è andata via via riducendosi.

I mitili trapiantati in situ, alla fine dell’esperimento hanno raggiunto, per i così detti “PCB target”, una concentrazione superiore (del 30% circa) ai tenori massimi imposti dal Regolamento CE n.1259/2011. Dopo 15 giorni era stato bioaccumulato un valore di PCB target pari all’80% circa del limite previsto dalla stessa norma, e dopo 30 giorni l’85% circa. Il profilo dei congeneri dei PCB appare confrontabile anche con quello del sedimento utilizzato nelle prove di bioaccumulo, evidenziando che i mitili e le particelle di sedimento accumulano o adsorbono i PCB in modo simile.

Complessivamente le prove di bioaccumulo (in situ ed ex situ) hanno dunque evidenziato, per i metalli, un incremento più o meno significativo. Il valore del bioaccumulo non ha comunque superato i limiti imposti dal Regolamento CE 1881/2006 per i metalli per i quali si può ipotizzare l’innesco di processi di detossificazione specie-specifici che ne limitano l’accumulo nell’organismo. Al contrario, il trend di bioaccumulo dei PCB nei mitili dell’esperimento in situ ha evidenziato un raggiungimento dei limiti imposti dalla norma di riferimento intorno al 30° giorno di esposizione, con il superamento al 45° giorno; tale andamento fa supporre il raggiungimento delle alte concentrazioni riscontrate nei mitili nativi (nel caso specifico quelli prelevati direttamente dalla stazione 1) in periodi relativamente brevi, ma comunque superiori a 45 giorni.

Aspetti inerenti la decontaminazione da PCB e metalli nei mitili del Mar Piccolo

Nell’ambito dello studio, è stata definita anche un’attività integrativa inerente lo “Studio delle dinamiche di decontaminazione dei mitili in relazione al bioaccumulo a carico di policlorobifenili ed alcuni metalli rappresentativi della contaminazione riscontrata nel Mar Piccolo di Taranto, attraverso la loro stabulazione sia in vasca che in aree marine idonee all’allevamento”, finalizzata a valutare le variazioni delle concentrazioni di PCB e metalli in mitili prelevati in un’area contaminata del 1° seno (Area 170 ha) in seguito ad una fase di stabulazione realizzata sia in una vasca controllata, che in un’area del Mar Grande destinata ai nuovi insediamenti di mitilicoltura. L’esperimento ha avuto la durata di 60 giorni e i campioni sono stati prelevati e analizzati ogni 15 giorni.

Per quanto attiene i parametri di contaminazione, durante il periodo di stabulazione le concentrazioni dei metalli sia nei mitili trasferiti in Mar Grande che in laboratorio non hanno subito nel tempo significativa diminuzione. I PCB totali in entrambi gli esperimenti hanno invece presentato, al termine del periodo di sperimentazione, un decremento significativo. Dopo i primi 15 giorni, i bivalvi di Mar Grande hanno mostrato una diminuzione del livello di PCB pari al 53%, differentemente da quelli mantenuti in laboratorio, in cui la perdita è stata solo del 7%. Al termine dei 60 giorni, le concentrazioni sono passate rispettivamente da 307.4 a 108.0 ng/g p.u. e da 307.4 a 147.8 ng/g p.u. con un decremento finale pari circa al 65% per i mitili stabulati in Mar Grande e al 52% per quelli mantenuti in laboratorio. In Mar Grande, i livelli dei PCB nei mitili scendono al di sotto dei livelli massimi imposti dal Regolamento CE, pari a 75 ng/g p.u., nei tempi tra 15 e 30 giorni, mentre in laboratorio (vasca in condizioni controllate) i PCB raggiungono nei bivalvi concentrazioni inferiori ai limiti, solo dopo 45 giorni.

Le cinetiche di eliminazione hanno dimostrato come nei mitili stabulati in Mar Grande il tempo di dimezzamento sia pari a 29.1 giorni, dimostrando una capacità quasi doppia di depurazione rispetto a quelli mantenuti in laboratorio. Questo risultato lascia ipotizzare che le condizioni ambientali, la disponibilità di cibo, i tassi di filtrazione, il metabolismo, il ciclo riproduttivo, etc. possono influire significativamente sui processi di eliminazione dei contaminanti. Il PCB presente nei mitili prelevati dall’area 170 ha, posta davanti all’Arsenale della Marina Militare, denota ancora una volta le responsabilità di in un inquinamento decennale. Per questo, ancora una volta ci chiediamo: chi è “Stato’?

5° puntata

Gianmario Leone (TarantoOggi, 15.11.2014)

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