Una risoluzione che volevamo abbinare nella discussione di quella a prima firma Realacci, nella quale inizialmente le nostre firme erano state captate con un escamotage: quella infatti doveva essere una risoluzione con le firme di tutti i componenti della Commissione Ambiente e alla quale avevamo dato una generica disponibilità a firmarla, considerando che come da prassi fosse messo in distribuzione il testo per raccogliere eventuali contributi e modifiche prima di depositare l’atto. Ma la risoluzione è stata depositata senza attendere la conferma definitiva. Abbiamo rimediato ritirando subito tutte le firme, e proponendo un nuovo testo da affiancare.
Il Presidente Realacci pur sapendo di una nostra risoluzione, ha impedito la discussione congiunta e senza ulteriore dibattimento ha messo in votazione soltanto la propria: ulteriore prova, se ce ne fosse bisogno, che questi partiti non vogliono confrontarsi nel merito delle questioni e ascoltare pareri alternativi. Noi siamo andati avanti, come sempre, nell’esclusivo interesse dei tarantini, sia dei cittadini che dei lavoratori, per rispondere con impegni precisi anche a chi pone il solito, vecchio e triste ricatto: se chiude l’Ilva cosa fanno i lavoratori?
Rispondiamo con i numeri. Secondo Giordano Mancini, del Movimento della decrescita felice invece con quello stesso miliardo investito in energia solare fotovoltaica i posti sono 4.000, mentre il capo della struttura contro il dissesto idrogeologico, Erasmo D’Angelis, ha stimato in 7.000 i posti di lavoro per miliardo di euro speso in interventi contro il dissesto idrogeologico.
Ma noi sappiamo che si può fare di meglio: dati ufficiali del Cresme e dell’Enea affermano che un miliardo di euro investito in fonti energetiche fossili o grandi opere inutili producono 700 occupati contro oltre 13.000 posti di lavoro, che salgono addirittura a 18.000 nello studio Enea del 2009, prodotti dallo stesso denaro investito in riqualificazione energetica garantisce.
Numeri ufficiali che non lasciano più dubbi: riconvertire il territorio e i lavoratori per pensare a un futuro differente per Taranto si può. Anzi si deve. Con la nostra risoluzione impegniamo il Governo a usare quel miliardo e duecento milioni per la bonifica del territorio circostante attraverso la messa in sicurezza delle falde acquifere sottostanti l’Ilva, per la caratterizzazione, la messa in sicurezza e la bonifica ambientale dei terreni, dei sedimenti e delle falde contaminate nei Comuni di Taranto e di Statte, valutando con accurati studi resi pubblici, «l’opzione zero» cioè metodi alternativi al dragaggio dei sedimenti per il Mar Piccolo.
Inoltre, come chiesto dalle popolazioni locali, vorremmo che l’Esecutivo creasse un fondo presso il Ministero della Salute che la Regione Puglia possa utilizzare per l’esenzione del ticket sanitario per i cittadini di Taranto e Statte per almeno 5 anni.
Infine, quei soldi serviranno proprio per la riqualificazione dei lavoratori Ilva ed aiutarli a ricollocarsi nei green jobs (che, come abbiamo detto, è un’alternativa decisamente più vantaggiosa per tutto il Paese) e per chi non dovesse riuscire a essere impiegato nella riconversione dello stabilimento o in lavori ambientalmente sostenibili e socialmente responsabili, chiediamo misure di sostegno al reddito.
È una questione di rispetto del principio europeo “Chi inquina, paga”, di giustizia sociale, ma sopratutto di prospettiva. La nostra è diametralmente opposta a quella di chi vuole rimane prono sulle posizioni pro-Riva ammodernando lo stabilimento con i soldi frutto di un disastro sociale. La nostra visione non contrappone lavoro, salute e ambiente: viene dal basso, dai cittadini dell’area Jonica e dai lavoratori dell’Ilva. Per questo è tesa a tutelare esclusivamente i loro interessi e il loro benessere.
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