La Commissione afferma di aver riscontrato una serie d’infrazioni alla legge e il parere motivato lanciato in data odierna riguarda proprio il mancato rispetto delle condizioni stabilite dall’AIA, l’inadeguata gestione di sotto-prodotti, dei rifiuti e del materiale di scarico, e l’insufficiente protezione del suolo e della falda acquifera. Molti dei problemi riscontrati derivano dall’alto livello delle emissioni non controllate: la Direttiva sulle Emissioni industriali afferma che le attività produttive ad alto impatto inquinante devono essere realizzate con un permesso specifico ma l’ILVA non possiede nessun permesso per tali attività fortemente inquinanti e continua a non rispettare le prescrizioni in un serie di aree.
Di conseguenza, la Commissione ha attestato che fumi molto densi e polveri fuoriescono dallo stabilimento, con conseguenze dirette potenzialmente fortemente negative per la salute e l’ambiente della popolazione locale. Gli esami condotti hanno evidenziato un pesante inquinamento dell’aria, del suolo, della superficie e delle acque di falda sia sul sito ILVA che nella città di Taranto. La contaminazione del quartiere Tamburi, scrive la Commissione, può essere attribuita alle emissioni che fuoriescono dallo stabilimento.
L’AIA del 4 luglio 2011, aggiornata il 26 ottobre 2012 e il 14 marzo 2014, è al centro del parere motivato. La Commissione Europea dichiara che non è stata garantita l’attuazione della direttiva sulle emissioni industriali. I permessi per la produzione, scrive la Commissione, possono essere concessi solo se alcune condizioni ambientali sono rispettate, in modo che le compagnie produttrici siano direttamente responsabili della prevenzione e della riduzione di ogni inquinamento causato. I permessi devono garantire che le misure di prevenzione siano adeguate e vengano messe in atto e che il ciclo dei rifiuti sia garantito al meglio per evitare ulteriore inquinamento. Ogni Stato membro dell’Unione Europea è responsabile dell’applicazione del diritto europeo sul suo territorio e i Trattati assegnano alla Commissione il compito di assicurare la corretta applicazione di tale diritto. Ricordiamo che una procedura d’infrazione si articola in tre fasi:
1. la lettera di messa in mora;
2. il parere motivato;
3. il ricorso in Corte di Giustizia.
La prima fase, “messa in mora”, ha lo scopo di indurre lo Stato membro a mettersi volontariamente in regola. La seconda fase, “parere motivato”, quella alla quale siamo arrivati oggi, consiste nella reiterazione dei motivi dell’infrazione. Il parere motivato è la conferma da parte della Commissione Europea che lo Stato membro continua a mancare agli obblighi a esso incombenti. La terza fase è il deferimento alla Corze di Giustizia.
PeaceLink ha lavorato in assoluta e quotidiana continuità con la Commissione Europea ed è l’autrice della denuncia che ha portato all’apertura di una prima procedura d’infrazione lanciata il 26 settembre 2013 e di una seconda e più importante denuncia, che ha fatto svattare una seconda procedura di infrazione lanciata il 16 aprile 2014 e che ha estinto la prima assorbendone ed allargandone le motivazioni.
L’infrazione del 16 aprile 2014 costituiva un ampliamento molto importante in quanto rafforzava il quadro legale al quale la Commissione faceva riferimento, perché la Commissione non solo affermava che l’ILVA non rispettasse le condizioni previste dalla direttiva IPPC ma contestava anche all’Italia il non rispetto della Direttiva Seveso sulla prevenzione dei rischi di incidenti industriali rilevanti. Venivano toccati i punti fondamentali dei rifiuti, del loro stoccaggio, degli scarichi delle acque utilizzate negli impianti, dell’inquinamento dei suoli e delle aree vicine allo stabilimento.
Sulla base di una imponente quantità di documenti, analisi, studi, foto e video di supporto al materiale scientifico forniti nel corso degli ultimi due anni, sulla base di numerosi incontri e contatti avvenuti, PeaceLink è stata in grado di dimostrare che il Governo italiano, che gestisce lo stabilimento ILVA attraverso la Struttura di Commissariamento e che in ogni caso avrebbe dovuto vigilare anche sulla amministrazione privata, non ha messo in regola lo stabilimento come previsto dal diritto europeo e continua a tollerare che lo stabilimento produca causando eventi di inquinamento di tale portata e di tale pericolo da divenire oggetto di ben due infrazioni della Commissione Europea.
Il 14 agosto del 2014, il Commissario europeo all’Ambiente Potocnik aveva invitato un’importante lettera ad Antonia Battaglia, Alessandro Marescotti e Luciano Manna nella quale rassicurava PeaceLink del fatto che la Commissione Europea continuava a monitorare da vicino la situazione a Taranto. Il Commissario si era detto in quella lettera intenzionato a portare avanti il caso finché piena tutela fosse data alla popolazione direttamente colpita e all’ambiente, così come garantisce il diritto europeo in materia.
Ricordiamo infine che Peacelink ha adito la Commissione Europea in virtù del diritto, garantito dal TFUE, che ogni cittadino europeo ha di segnalare una misura o una prassi adottata dallo Stato membro in questione che, a suo giudizio, è contraria ad una disposizione o a un principio del diritto dell’Unione.
Le tappe che hanno portato a questo risultato sono le seguenti.
Nelle settimane successive è continuato un intenso lavoro di documentazione. PeaceLink ha inviato alla Commissione Europea altro materiale: le leggi, le analisi, i documenti e tutto ciò che riguarda la questione Taranto e Ilva. Il materiale è stato studiato e tradotti in inglese. I dati delle misurazioni ambientali sono stati illustrati e corredati di foto e video. Importante è stato l’apporto di tutti i cittadini di Taranto – in particolare le “ecosentinelle” – che hanno aiutato PeaceLink in questo procedimento di documentazione continua. Oggi si celebra il processo ILVA. La magistratura giudicherà il passato. La Commissione Europea, con questo parere motivato, riscontra gravi problemi anche nel presente.
Per PeaceLink
Antonia Battaglia
Alessandro Marescotti
Luciano Manna
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