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Ilva, tra i 400 e i 500 milioni l’offerta indiana

TARANTO – Potrebbero arrivare entro la fine di questa settimana al ministero dello Sviluppo economico ed al commissario straordinario dell’Ilva Piero Gnudi, le offerte vincolanti dei due gruppi indiani, la AnceorMittal (affiancato dal gruppo Marcegaglia) e la Jindal, per rilevare l’Ilva Spa. O, per meglio dire, per rilevare la maggioranza delle azioni della società e quindi diventare l’azionista di maggioranza. L’offerta, secondo fonti indiane, oscillerà tra 400 milioni di dollari (pari a circa 315 milioni di euro) e 500 milioni di dollari (pari a circa 415 milioni di euro).

In un primo momento però, la valutazione data all’Ilva ammontava ad 800 milioni di dollari, pari a 630 milioni di euro. Ma dopo la visione degli stabilimenti e l’accesso ai dati della produttività dello stabilimento tarantino, la valutazione da parte dei due gruppi indiani è scesa visibilmente. Presumibilmente, l’offerta conterrà anche una bozza di piano industriale.

Sia come sia, una volta ricevute le offerte, il commissario Gnudi (affiancato dal colosso Rothschild, che da tempo cura il dossier Ilva e dall’avvocato Paola Severino, ex ministro della Giustizia del governo Monti che cura gli interessi dell’Ilva Spa) e il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi, dovranno innanzitutto confrontarsi con il gruppo Riva. Proprietario dell’Ilva Spa ed in possesso della maggioranza, l’87%, delle azioni della società: il 61,62% attraverso la holding di famiglia, la Riva FIRE, il 25,38% attraverso la Siderlux, società posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE. Al tavolo dovrà essere invitata anche la famiglia Amenduni, che detiene il 10,05% delle azioni dell’Ilva tramite la Valbruna Nederland, società olandese del gruppo. Gruppo Amenduni che sino ad oggi però, è stato escluso dalle trattative, tanto da aver inviato nei giorni scorsi una lettera di protesta al commissario Gnudi. Infine, bisognerà capire il destino del 2,95% delle azioni detenuto dalla Allbest, società lussemburghese.

Così come non bisogna assolutamente dimenticare il ruolo delle banche (Unicredit, Intesa San Paolo e Banco Popolare), anch’esse destinate a giocare un ruolo di primo piano in tutta questa vicenda. Visto che la seconda trance del prestito di 250 milioni di euro promesso all’Ilva, sarà sbloccata soltanto di fronte alla certezza di un futuro industriale per l’azienda tale da far rientrare le banche dai crediti pregressi e dagli ultimi prestiti concessi.

Secondo l’ultima Centrale Rischi di Bankitalia aggiornata allo scorso luglio infatti, come riportato nei giorni scorsi, l’Ilva Spa ha utilizzato 1,169 miliardi di euro (su un accordato di 1,355 miliardi), di cui 480 milioni di factoring autoliquidante (ovvero il finanziamento dell’attivo circolante, in particolare i crediti commerciali), 676 milioni a scadenza (su 692 totali) e 12 a revoca (su 38 totali). L’istituto bancario più esposto risulta essere Intesa San Paolo con 650 milioni.

Infine, siamo entrati in possesso delle cifre esatte che furono stabilite nella riunione decisiva sulla concessione del prestito ponte da 250 milioni, che si svolse a Milano lo scorso 4 settembre. Questa la divisione del credito: Unicredit verserà nella casse dell’Ilva Spa un totale di 50 milioni di euro (il gruppo pare essere esposto per 300 milioni di euro con il gruppo Riva); 157,5 i milioni che verserà Intesa San Paolo (esposta già per altri 30 milioni con Ilva Spa) e 42,50 per il Banco Popolare (esposto per altri 20 milioni di euro sempre con Ilva Spa).

Il tutto, ovviamente, con la “certezza” che il nuovo proprietario dell’Ilva Spa, non venga toccato né dalle vicende giudiziarie, né dalla vicenda dei risarcimenti civili, né venga obbligato ad attuare per intero il piano ambientale previsto per il risanamento del siderurgico tarantino (come abbiamo avuto modo di spiegare nei giorni scorsi). Staremo a vedere.

Gianmario Leone (TarantoOggi, 29.09.2014)

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