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Fondo Antidiossina: “Ilva, Eni e Tempa rossa sono compatibili con base militare e città?”

TARANTO – Riceviamo e pubblichiamo la nota stampa trasmessa da Fabio Matacchiera, presidente del Fondo Antidiossina Taranto.

Noi ambientalisti abbiamo sempre cercato di evidenziare le molteplici e gravi criticità che incombono sull’area ionica da un punto di vista strettamente ambientale, senza soffermarci sull’aspetto forse più inquietante che è quello incidentale e di crisi in quanto potenziale obiettivo bellico e terroristico. E’ più o meno noto che adiacenti al capoluogo ionico persistono impianti industriali che, in caso di evento fortuito o di attacco doloso, potrebbero causare danni ingenti, non solo alle strutture, ma anche agli operai e alla popolazione civile che potrebbe contare numerose vittime, considerando il potenziale carico di sostanze infiammabili ed esplosive contenute soprattutto all’interno di quegli impianti che lavorano anche ad alte pressioni (es. serbatoi g.p.l. dell’Eni, miscele infiammabili di categoria “A” a rischio di esplosioni, gasometro Ilva e centrali Ilva ed Eni).

In considerazione di questo fatto, la onlus Fondo Antidiossina Taranto, sta inviando una informativa alle istituzioni sotto riportate, tra cui il Ministero della Difesa e il Ministero dell’Interno, nonché il Comando della NATO ed dell’ONU, affinché gli stessi possano maggiormente porre la loro attenzione sulla situazione, a nostro parere, paradossale e di potenziale pericolo, in cui versa il nostro capoluogo.

Noi cittadini di Taranto, diamo per scontato che gli enti sopramenzionati siano al corrente di questa realtà, ma vogliamo ribadire il nostro diritto di sapere ed essere informati su come potrebbe essere gestita una eventuale situazione di grave emergenza, per quanto concerne la sicurezza e la incolumità dei cittadini e come gli stessi debbano comportarsi.

Da parte nostra risulta davvero inaccettabile che la più grande base navale militare del Mediterraneo sia stata nel tempo affiancata a colossi industriali con impianti ad elevato rischio di incidente rilevante che potrebbero rendere l’apparato militare stesso vulnerabile e facile obbiettivo bellico o terroristico. Ancor più paradossale è che oggi si continui su questa strada, addirittura pensando di ampliare la locale raffineria e di installare altri imponenti serbatoi di stoccaggio di greggio (vedi progetto Tempa Rossa).

Riteniamo sia un gravissimo errore l’aver fatto di Taranto la città più militarizzata e, nello stesso tempo, quella con le industrie pesanti più imponenti d’Italia, sottoponendo a maggiori rischi non solo la popolazione, ma anche tutto l’apparato militare di cui fanno parte anche i mezzi navali più importanti della nazione. Ed in caso di conflitto bellico potrebbe essere paralizzato in poco tempo, non solo l’apparato militare, ma anche contemporaneamente l’apparato di approvvigionamento carburante da parte dell’Eni e di rifornimento di acciaio da parte del siderurgico.

A questo punto l’interrogativo che ci poniamo è se il personale militare, le strutture e i mezzi navali siano in grado di fronteggiare emergenze legate ai possibili scenari di cui sopra. E’ opportuno mettere in evidenza, infatti, che nella città di Taranto sono ubicate due imponenti basi navali: la Base Nato nella rada del Mar Grande (zona Chiapparo) e quella del Mar Piccolo dove stazionano, in particolare, i sommergibili.

E’ nostro diritto di cittadini di Taranto sapere, inoltre, se, in caso di esplosione dovuta ad eventi dolosi o incidentali, quali siano gli effetti e le conseguenze derivanti da reazioni incontrollate e concatenate (effetto domino) e se gli stessi possano coinvolgere gli altri numerosi punti sensibili e vulnerabili presenti nelle vicinanze (serbatoi benzina, petrolio, greggio, gas infiammabili vari, g.p.l., mezzi navali petroliferi e militari, ecc.).

Tutto ciò in considerazione del fatto che in questo periodo si registrano minacce terroristiche, come si apprende dai mezzi di comunicazione e dagli stessi ministeri esteri che ci hanno informato circa la concreta possibilità di attacchi negli Stati occidentali, soprattutto nelle aree strategiche. In particolare, apprendiamo ora che il nostro ministro dell’Interno Angelino Alfano ha confermato: “adesso in Italia c’è un livello di allerta molto alto”.

Ci poniamo, a questo punto, altre domande precise:

1)   Siamo certi che le conseguenze dei “top event” identificati nelle analisi di rischio effettuate dai Gestori dei predetti impianti non impattino gravemente sulla popolazione e che in caso di eventuale attacco terroristico o bellico i  grandi serbatoi dell’Eni non diventino bersaglio pericoloso per la popolazione che potrebbe essere sottoposta a notevole rilascio tossico di miscele idrocarburiche e gas tali da oscurare tutto il cielo di Taranto, gettando nel panico una popolazione di 200.000 abitanti impreparata a fronteggiare certi eventi potenzialmente lesivi della loro salute? I cittadini sono stati informati adeguatamente e preventivamente sul come comportarsi in tali situazioni di pericolo? Sono state effettuate adeguate prove di emergenza esterna dalle Autorità competenti? Quali sono gli esiti?

2) Siamo certi che in caso di evento incidentale, i mezzi di soccorso sarebbero in grado di operare con efficienza e tempestività?

3)   Siamo certi che in caso di rilascio di miscele e di gas in grande quantità, a maggior ragione in caso attacco bellico o terroristico, il sistema di difesa (es. contraerea, radar…ecc.) funzionerebbe efficientemente?

4) Siamo certi che le onde d’urto, derivanti da eventuali esplosioni, non si propagherebbero per diversi chilometri fino ad investire i quartieri residenziali e gli stessi mezzi navali militari e petroliferi?

Perché abbiamo pensato di informare, in qualità di cittadini portatori di interessi soggettivi, la N.A.T.O. (North Atlantic Treaty Organization)?

Stiamo informando la Alleanza Atlantica della paradossale situazione tarantina in cui la base navale Nato ed i mezzi navali militari sono troppo a stretto contatto con impianti ad alto rischio di incidente rilevante e del fatto che il governo italiano continua a perseguire la strada di aumentare il numero di questi impianti con l’installazione di altri serbatoi di sostanze altamente infiammabili (progetto Tempa Rossa), che si vanno ad aggiungere a quelli già esistenti al fine di far diventare Taranto una base d’eccellenza per lo stoccaggio intermodale (oltre che di raffinazione, naturalmente!).

E’ evidente la assurdità di tale situazione (non va sottovalutato, inoltre, che nel nostro porto, non di rado, arrivano navi a propulsione e armamento nucleare), situazione che suscita – lo ribadiamo – l’inquietudine e la preoccupazione che sono alla base degli interrogativi appena formulati, nel superiore interesse dei cittadini di Taranto e dell’apparato militare interforze che opera sul nostro territorio.

Forse non tutti ricorderanno la storia di Anders Behring Breivik, il terrorista norvegese, autore della strage di Oslo nel 2011. Dopo l’arresto di Breivik si apprese, dai mezzi di comunicazione, che nel suo computer, la polizia scandinava ebbe a rinvenire una documentazione di oltre 1500 pagine relativa al folle piano, ben dettagliato, di far saltare in aria alcune raffinerie in Italia. Tra queste, spiccava quella di Taranto con i suoi numerosi serbatoi di combustibile. Fatto che si commenta da sé.

                              

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