Ilva, cortina fumogena sul futuro
L’impressione è che si stia creando appositamente una cartina fumogena per creare una sorta di velo di Maya e nascondere così agli occhi dei più, le operazioni intorno al futuro dell’Ilva. Addirittura siamo costretti a leggere che ci sarebbero “almeno cinque gruppi interessati a rilevare l’Ilva di Taranto” con il governo che punterebbe a chiudere la trattativa “il più presto possibile”. Così si è espressa ieri Federica Guidi, ministro dello Sviluppo economico, prima di partecipare alla riunione del Consiglio Ue Competitività.
Per Ilva, avrebbe spiegato il ministro, “ci sono alcune manifestazioni di interesse, oltre ad Arcelor Mittal, forse quella a uno stadio più avanzato, almeno altre quattro, europee e non. Siamo in una fase preliminare, ma sicuramente c’è un grande interesse su un sito industriale che rimane considerato fra i più efficienti e competitivi”. La tempistica per la trattativa, ha detto il ministro, “è di cercare di fare il prima possibile ma al meglio possibile”, perché “essendo un plant di grande importane e con certe complessità, bisogna considerare tutte le ipotesi e fare delle verifiche, bisogna vedere quali sono i piani industriali dei diversi interessati. Per lavorare alla costruzione di un futuro solido che tuteli al massimo i livelli occupazionali e la capacità produttiva”.
Certo, affermare che l’Ilva sia attualmente uno degli stabilimenti siderurgici più efficienti e competitivi (d’Italia? d’Europa? del Mondo?) è alquanto azzardato, visto e considerato che per il risanamento dei suoi impianti sono previsti investimenti per non meno di due miliari di euro e che quasi ogni settimana avviene un incidente che rischia di costare la vita ad ogni singolo lavoratore a causa di una continua e perpetua mancanza di manutenzione degli impianti. Sia come sia, a nostro modo di vedere e secondo le informazioni in nostro possesso, pare che il governo stia mettendo sul tavolo i nomi di diversi gruppi mondiali interessati all’acquisto di Ilva, soltanto per evitare una svendita totale dello stesso al gruppo indiano AncelorMittal (affiancato dal gruppo Marcegaglia).
Che al momento è sicuramente il più accreditato per l’ingresso nell’azionariato della società Ilva Spa. Anche perché sia la brasiliana CSN ed che il gruppo Emirates (Steel Industries) IPO-EMSI.DU non hanno prodotto nulla di scritto. Tra l’altro, l’agenzia Reuters riporta che un portavoce di Emirates Steel Industries abbia detto che l’azienda “non ha interesse in queste acquisizioni”. Inoltre, pare confermato quanto riportato nei giorni scorsi, ovvero l’interesse da parte di Texas Pacific Group (TPG), un fondo d’investimento Usa che ha già nel suo portafoglio le italiane Piaggio, Ducati, Microgame, e che nel 2007 ha tentato la scalata ad Alitalia insieme a Mediobanca.
Ed il giro di perlustrazione degli indiani della Jindal (prima a Genova, poi a Taranto e in questi giorni a Milano presso il quartier generale dell’Ilva), può voler dire tutto e niente. Visto che lo stesso gruppo è peraltro intenzionato a rilevare lo stabilimento siderurgico Lucchini di Piombino. Ciò detto, su queste colonne abbiamo già scritto qual è il vero progetto (la new.co “Nuova Ilva Spa”) a cui si sta lavorando e cosa comporterà. Inoltre, sembra che tutti stiano dimenticando un piccolo particolare: ovvero che l’Ilva Spa è di fatto ancora di proprietà della famiglia Riva. E che con il gruppo lombardo bisognerà trattare eccome, visto che detiene l’87% delle azioni della società: il 61,62% attraverso la holding di famiglia, la Riva FIRE, il 25,38% attraverso la Siderlux, società posseduta a sua volta dalla stessa Riva FIRE.
Tanto è vero che pare che i Riva siano alquanto irritati dalla mancanza di comunicazione da parte del commissario e del governo sulle iniziative in corso. Visto che ad agosto 2016, a commissariamento concluso, l’azienda tornerà nelle mani dei Riva qualora non vi fosse stato l’ingresso di un nuovo azionista nel Cda, che dovrà comunque rilevare le azioni dal gruppo Riva. O pensiamo davvero che il gruppo lombardo si farà da parte regalando l’intero pacchetto azionario?
Inoltre farà pare della partita anche la famiglia Amenduni che pare intenzionata a mantenere il 10,05% delle azioni dell’Ilva Spa che detiene tramite la Valbruna Nederland, società olandese del gruppo e che sino ad oggi è stata esclusa dalle trattative, tanto da aver inviato nei giorni scorsi una lettera di protesta al commissario Gnudi. Ignoto, infine, il destino del 2,95% delle azioni detenuto dalla Allbest, società lussemburghese. Secondo una fonte vicina alla famiglia, intanto, i Riva sarebbero molto irritati dalla mancanza di comunicazioni da parte del commissario e del governo sulle iniziative in corso. Tra l’altro, è bene tenere a mente come il bilancio 2013 dell’Ilva spa non si sia ancora visto.
Così come non bisogna assolutamente dimenticare il ruolo delle banche. A cominciare dal colosso Rothschild, che da tempo cura il dossier Ilva e affianca in ogni operazione il commissario Gnudi. Così come reciteranno un ruolo da protagonista, le altre banche coinvolte da tempo nella vita dell’Ilva Spa. Secondo l’ultima Centrale Rischi di Bankitalia aggiornata allo scorso luglio infatti, come riportato nei giorni scorsi, l’Ilva Spa ha utilizzato 1,169 miliardi di euro (su un accordato di 1,355 miliardi), di cui 480 milioni di factoring autoliquidante (ovvero il finanziamento dell’attivo circolante, in particolare i crediti commerciali), 676 milioni a scadenza (su 692 totali) e 12 a revoca (su 38 totali).
L’istituto bancario più esposto risulta essere Intesa San Paolo con 650 milioni. Sempre a proposito di banche, ricordiamo che nella riunione decisiva sulla concessione del prestito ponte da 250 milioni che si svolse a Milano lo scorso 4 settembre, la divisione del credito fu così stabilita: Unicredit verserà nella casse dell’Ilva Spa 166 milioni di euro (che pare essere esposta per 300 milioni di euro con il gruppo Riva); 42 milioni a testa invece verseranno Intesa San Paolo (esposta già per altri 30 milioni con Ilva Spa) e Banco Popolare (esposto per altri 20 milioni di euro sempre con Ilva Spa). Senza dimenticare che le tre banche hanno versato soltanto una prima trance del prestito da 250 milioni: per la seconda metà infatti, attenderanno di conoscere i reali progetti del governo e dei gruppi interessati. Cosa che lascia credere come le risorse saranno erogate non prima di dicembre.
Come abbiamo scritto nei giorni scorsi, ciò che invece sicuramente non entrerà nel mondo della “Nuova Ilva Spa”, saranno le cause. Specialmente quelle ambientali e giudiziarie. Tanto per capirci, l’eventuale risarcimento danni in tema di bonifiche e nei confronti di enti e terzi coinvolti. Così come è chiaro che nella “Nuova Ilva Spa” non ci sarà posto per tutti gli attuali 16.200 dipendenti e per tutti gli stabilimenti in possesso dell’attuale Ilva Spa. Sarà il nuovo acquirente a decidere cosa tenere in vita e cosa no. E di quanto personale avrà bisogno (vedi il caso Ehitad che ha imposto il licenziamento di oltre duemila dipendenti della vecchia Alitalia). Stringendo il campo, ciò avverrà soprattutto con lo stabilimento di Taranto. Il gioco appare lungo e complesso. Ma altrove hanno già deciso come andrà a finire. E’ soltanto questione di tempo. “L’inganno viene alla luce da solo nonostante tutte le cautele adottate agli inizi” (“(Patavium, 59 a.C. – Patavium, 17 d.C.).
Gianmario Leone (TarantoOggi, 26.09.2014)