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L’Ilva, Taranto e l’assenza di un piano B – Se n’è parlato a Trento

TRENTO – “Drammi a confronto: Sloi, Eternit, Ilva e Petrolchimico di Marghera”, è il titolo del secondo incontro tenuto giovedì scorso nell’ambito della mostra “SLOI 1939-2014. Settant’anni di storia nella società trentina”. L’associazione TrentoAttiva, molto attenta alle tematiche etiche, culturali e sociali che riguardano il territorio trentino (e non solo) merita un plauso per aver organizzato questo evento, in collaborazione con la Fondazione Museo Storico del Trentino.

Quando mi è stato proposto di partecipare al dibattito, in funzione della mia esperienza di documentarista, ho accettato ben volentieri. E’ stata un’ottima occasione per per poter descrivere la situazione ambientale di Taranto e, contemporaneamente, poter arricchire le mie conoscenze personali in materia ambientale riguardanti altre zone d’Italia.

La serata è cominciata con la presentazione di due brevi filmati. Il primo, un cortometraggio riguardante l’Ilva dal titolo “Slopping”, di cui Vittorio Vespucci è l’autore e al quale io ho prestato la mia consulenza e l’altro, uno stralcio di “Polvere. Il grande processo dell’amianto” che ha illustrato alcune sequenze del processo in cui l’Eternit di Casale Monferrato è stata condannata.

Il moderatore, il giornalista e conduttore televisivo Walter Nicoletti, che ha condotto ottimamente il dibattito, dopo le presentazioni di rito ha posto alcune domande. Daniele Tinelli di TrentoAttiva ha parlato della storia della SLOI di Trento. In pochi conoscono la vicenda della fabbrica di piombo tetraetile che, nella non curanza delle regole basilari per il rispetto della salute e della vita umana, ha lasciato una ferita aperta in città.

Il 14 luglio 1978, un incendio distrusse lo stabilimento generando una nube che intossicò una trentina di persone. Ancora oggi si attende la bonifica dei terreni, inquinati da centinaia di tonnellate di piombo che rischiano, da un momento all’altro, di permeare lo strato di argilla, inquinando la falda acquifera.

Successivamente si è parlato dell’Ilva. Dopo aver accennato alla storia dell’insediamento dello stabilimento Italsider sul territorio ionico, il documentarista Vittorio Vespucci ha analizzato la situazione attuale della città dal punto di vista sociale e ambientale facendo riferimento ai processi in corso e alle bonifiche da compiere.

Ha puntualizzato che la questione ambientale a Taranto non nasce oggi: già negli anni Settanta Antonio Cederna, dalle pagine del Corriere della Sera, lanciava il suo grido contro lo scempio perpetrato scrivendo di “industralizzazione barbarica di Taranto”. Vespucci ha proseguito definendo l’Ilva  un malato terminale sul quale la politica sta effettuando un accanimento terapeutico. Ha spiegato che senza la messa a punto di un “piano B” (esistono a tal proposito vari studi e proposte) la sorte dei 20.000 lavoratori sarà triste nel caso, per nulla remoto, di chiusura dello stabilimento.

La mia relazione è stata incentrata sulla terribile situazione sanitaria, sui dati terrificanti dello Studio Sentieri e sui tanti drammi quotidiani che Taranto è costretta a subire, stretta nella morsa di un inquinamento figlio della politica corrotta e colpevole. Ho parlato della presenza di inquinanti nel sangue dei tarantini, negli alimenti e nel latte materno, dell’abbattimento di bestiame e dello spostamento dei mitili da mar Piccolo a mar Grande. Ho raccontato dei tanti malati che conosco e che ho conosciuto in passato e di coloro che non hanno vinto la battaglia contro il male.  Ho concluso il mio intervento spiegando che le istituzioni continuano ad accanirsi sulla città, illustrando come il progetto Tempa Rossa potrebbe assestare un altro duro colpo all’ambiente.

Molto interessante la relazione di Bruno Pesce, presidente di AFEVA (Associazione Familiari Vittime Amianto) e uomo estremamente combattivo, che ha raccontato il dramma dei lavoratori di Casale Monferrato e dei loro familiari e del processo che ha visto la giustizia, almeno in questo caso, trionfare. Trent’anni di battaglie e tanti episodi da raccontare: dalla vertenza collettiva che, dal 1981 al 1984 venne portata avanti dal sindacato contro l’Inail alla “spia” che, infiltratasi tra i lavoratori, informava i vertici Eternit sulle mosse dei sindacati. Una vicenda, quella dell’Eternit, che ha dell’assurdo se si pensa che il suo utilizzo è ancora legalmente permesso nella maggior parte dei paesi emergenti.

Riccardo Colletti, segretario della Filctem CGIL di Venezia, ha raccontato delle lotte sindacali sostenute per l’ambientalizzazione di Porto Marghera, dei problemi degli operai e della popolazione e delle attuali difficoltà che anche in quel territorio si riscontrano per l’attuazione di un serio piano di bonifica ambientale e dei rischi legati al “business” delle bonifiche.  Il pubblico in sala, attento e competente, ci ha rivolto una serie di domande ed ha convenuto con noi che la salute non si può assolutamente barattare con il profitto.

Alla conclusione dei lavori eravamo tutti d’accordo sul fatto che non è l’industria in quanto tale che deve essere demonizzata. Le responsabilità di questi drammi sono da attribuire all’ignavia di una parte dell’opinione pubblica e degli organi di informazione, alla politica corrotta e connivente che si nutre dei proventi del malaffare e ad una imprenditorialità delinquenziale che specula in maniera becera sul territorio, sui lavoratori e sui cittadini, impegnata esclusivamente a realizzare profitti a qualunque costo. La spinta al cambiamento deve avvenire dalla base.

Monica Nitti

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