Ilva, partono i ricorsi per ingiunzione
TARANTO – Lo scorso 26 luglio alcune ditte operanti nell’indotto dell’Ilva, insieme ad alcune società fornitrici del siderurgico, hanno depositato ricorsi per ingiunzione per il mancato pagamento delle fatture da parte dall’Ilva: e molte altre aziende sono in procinto di fare altrettanto. Il che significa, in parole povere, che l’Ilva Spa rischia di passare guai grossi. Adesso spieghiamo il perché. Il decreto ingiuntivo è un provvedimento emesso da un giudice, su richiesta del creditore, in presenza di una prova scritta relativa al credito fatto valere. La prova scritta, necessaria come condizione di ammissibilità della domanda di ingiunzione, può consistere in qualsiasi documento, proveniente dal debitore o da un terzo, che il giudice ritenga meritevole di fede quanto ad autenticità e ad efficacia probatoria.
Qualora il ricorso per ingiunzione venga ritenuto dal giudice meritevole di accoglimento, si procede alla notifica di una copia del ricorso, unitamente al provvedimento del giudice (il “decreto” ingiuntivo appunto) che ordina (o sarebbe meglio dire “ingiunge”) al debitore di pagare l’importo indicato. Dal momento in cui si riceve la notifica del decreto ingiuntivo, si hanno 40 giorni di tempo per decidere se pagare l’importo indicato (oltre alle spese di giudizio, salvo accordo tra le parti), non pagare nulla, oppure proporre opposizione. In caso di mancato pagamento, alla scadenza dei 40 giorni, il decreto acquisterà efficacia di “titolo esecutivo”, il che vuol dire che non potrà più essere messo in discussione. A questo punto, il creditore può agire esecutivamente nei confronti del debitore.
È bene sottolineare che, trattandosi di un procedimento sommario con una prima fase in cui non è previsto l’intervento della controparte, il provvedimento viene emesso senza contraddittorio, in pratica senza la celebrazione di un processo vero e proprio, soltanto eventuale. Qualora, invece, il debitore opti per l’opposizione al decreto ingiuntivo ricevuto, si aprirà un giudizio ordinario davanti al tribunale che ha emesso il provvedimento impugnato. La causa si terrà secondo le regole e i tempi di un normale giudizio, durante il quale le parti dovranno fornire le prove delle rispettive ragioni. L’esito della causa verrà deciso dal giudice con sentenza.
In alcune ipotesi particolari però, il decreto ingiuntivo potrebbe anche essere emesso già munito di clausola di provvisoria esecuzione, vale a dire che, “sebbene residui sempre il termine di 40 gg. per poter proporre opposizione, il debitore sarà comunque tenuto ad adempiere all’ingiunzione di pagamento immediatamente alla notifica del provvedimento, pena l’inizio dell’esecuzione forzata”. I vari casi in cui è possibile ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, sono quando il credito “è fondato su cambiale, assegno bancario, assegno circolare o certificato di liquidazione di borsa”; o quando il credito “è fondato su atto ricevuto da notaio o altro pubblico ufficiale autorizzato”; “vi è pericolo di grave pregiudizio in caso di ritardato pagamento (in tal caso, il giudice può imporre una cauzione al creditore)”; o “il creditore produce un documento sottoscritto dal debitore in cui quest’ultimo riconosce il proprio debito”.
Inoltre, rifiutarsi di ricevere la notifica del decreto ingiuntivo dall’ufficiale giudiziario “è assolutamente inutile. L’ordinamento, anticipando le mosse di chi volesse fare il “furbo”, ha previsto che la notifica si perfezioni ugualmente, con il deposito del plico presso la casa comunale e l’invio di una raccomandata al destinatario”. Ora. Questa mossa decisa da alcune società nei confronti dell’Ilva Spa, non è assolutamente da sottovalutare. In quanto, qualora una scelta del genere dovesse essere portata avanti da tutte le società che vantano crediti nei confronti del siderurgico (che sono decine e decine in tutta Italia e che vantano crediti per decine di milioni di euro), per l’Ilva Spa potrebbero aprirsi le porte del fallimento. Basti pensare ad esempio che i crediti degli autotrasportatori nei confronti della società siderurgica, hanno superato i quaranta milioni di euro e i ritardi dei pagamenti stanno creando gravi problemi finanziari a diverse imprese. I crediti arretrati hanno infatti già superato la soglia di sostenibilità.
La Fai (Federazione Autotrasportatori Italiani), nel mese di agosto ha inoltre sollecitato per ben due volte un’azione urgente. Prima con una lettera inviata lo scorso 5 agosto al commissario straordinario dell’Ilva, Piero Gnudi, al ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi ed ai Prefetti di Taranto, Alessandria, Cuneo, Milano, Venezia e Genova (i Comuni dove sono presenti gli stabilimenti dell’Ilva. “Le aziende di autotrasporto da diversi mesi non vedono un euro né sanno quando e se ne vedranno”, ha scritto il presidente vicario della Fai, Gianluigi Satini, sollecitando il pagamento delle fatture. Dopo una ventina di giorni, la Fai ha inviato una seconda lettera, sempre agli stessi destinatari, segnalando che “un po’ di euro sono arrivati col contagocce, sufficienti a pagare, forse, i pedaggi autostradali, ma nulla più.
Certo, non ci si poteva attendere una risposta alla nostra precedente richiesta d’informazioni, visto il periodo ferragostano, ma proseguire nel silenzio ci sembra la strategia peggiore”. Inoltre, come riportato la scorsa settimana, la ripresa dell’attività per molte società e aziende dopo la pausa ferragostana, ha comportato un immediato peggioramento della situazione. Gli autotrasportatori dovranno affrontare nuove spese, senza avere recuperato le fatture precedenti, col rischio di finire tra le mani di un curatore fallimentare che, precisa Satini “in genere è molto meno clemente dell’autotrasportatore nei confronti dei creditori”. Ecco spiegato il perché diverse aziende hanno deciso di presentare ricorso per ingiunzione per mancato pagamento nei confronti dell’Ilva Spa. La Fai si è rivolta direttamente al ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, segnalando che “questa vicenda rischia di diventare la miccia accesa in un settore che attraversa notevoli difficoltà”. Quindi, “occorrono segnali, sia tangibili sia diplomatici perché la miccia ormai è accesa e l’incertezza regna sovrana”.
Intanto, l’Ilva di Taranto pare essere caduta nel solito limbo in attesa della prossima tempesta. Al momento sono tremila i lavoratori collocati in solidarietà (la scorsa settimana sono scaduti i 120 giorni per evitare la mobilità ai 57 dipendenti della vertenza che riguarda il reparto vigilanza, con l’accordo di giugno tra azienda, Uilm ed USB decaduto e con la vicenda terminata in un nulla di fatto e tornata al punto di partenza). Il siderurgico oggi come oggi viaggia con i tre altiforni in marcia ridotta (AFO 2 è ripartito pochi giorni fa dopo la riparazione del guasto al modulo della centrale termoelettrica CET 2, AFO 4 e AFO 5), con una produzione di ghisa giornaliera pari a 14mila tonnellate, che alimentano il lavoro del Treno Nastri 2: il TNA1 invece, resterà fermo sino alla fine dell’anno. A marcia ridotta viaggiano anche le due acciaierie, così come il reparto rivestimenti tubi. Il tutto in attesa che il commissario Gnudi riesca finalmente ad ottenere la prima trance di 125 milioni di euro, del prestito che dovrebbe arrivare da Unicredit, Banca Intesa e Banco Popolare. Che servirà soltanto a rinviare il collasso di qualche settimana: ammesso e non concesso che il prestito arrivi. Nel frattempo, c’è chi ha finalmente capito (dopo che lo abbiamo scritto per anni invano su queste colonne) che il più grande siderurgico d’Europa ha imboccato una strada senza uscita e senza possibilità alcuna di tornare indietro. Auguri.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 02.09.2014)