L’Ilva è una polveriera. Lavoratori dell’indotto sul piede di guerra

A quanto pare agosto non ha portato consiglio. Mentre si continua a perdere tempo con le solite sterili polemiche di sempre, il grosso bubbone dell’Ilva continua ad ingrandirsi, pronto ad esplodere da un momento all’altro. Il siderurgico tarantino è oramai una polveriera. Troppo silenziosa. E per questo ancor più pericolosa.

L’ennesimo segnale di una situazione che rischia di andare definitivamente fuori controllo, è arrivato ieri da parte di alcuni dipendenti di ditte operanti nell’indotto: la E3, la Martucci e l’Idrotecnica srl, mentre la scorsa settimana è toccato ai dipendenti della Gamet. Alla E3, ad esempio, sono in cassa integrazione da maggio ed attendono stipendi arretrati di vari mesi. Alla Gamet si lavora, ma i lavoratori hanno percepito solo un acconto dello stipendio di giugno, mentre quello di luglio non è stato versato: è atteso per domani il saldo completo della mensilità di giugno e l’acconto sullo stipendio di luglio, altrimenti si tornerà a scioperare. I sindacati nelle ultime ore hanno chiesto un incontro ai responsabili delle ditte per avere garanzie sul pagamento delle spettanze e fare anche il punto sulle prospettive. “Le ditte dell’appalto – scrivono gli operai in una nota – dicono basta. L’Ilva si preoccupa solo dei suoi dipendenti come se noi dell’appalto non avessimo necessità primarie, anche noi abbiamo figli, anche noi non mangiamo e anche noi non paghiamo le bollette se non ci sono i soldi”.

Ciò detto, ci piacerebbe sapere come mai queste ditte si sono ridotte in questa situazione. Perché se è vero che negli ultimi mesi l’Ilva ha rallentato o sospeso del tutto i pagamenti, è altrettanto vero che queste aziende lavorano da svariati anni all’interno del siderurgico, all’interno del quale si sono assicurate appalti su appalti i cui importi non ammontano di certo a pochi euro. Dunque, appare quanto meno sospetto l’atteggiamento di questi imprenditori, sempre pronti a scaricare sui lavoratori le difficoltà del momento. Magari un “sopralluogo” di Confindustria non farebbe male.

Non se la passano di certo meglio al Nord. Dove la Fb di Brescia, società deputata alla gestione dei trasportatori esterni, non scuce un euro dall’inizio dell’anno. Le merci in arrivo ed in partenza dallo stabilimento Ilva di Novi Ligure ad esempio, continuano però a viaggiare come se niente fosse (al rientro dalle ferie nello stabilimento piemontese hanno riaperto le linee di finitura e confezionamento, in attesa che riparta anche l’impianto per la laminazione a freddo e il decapaggio). Al momento resta il dubbio se sia l’Ilva a non versare liquidità alla Fb per pagare i fornitori o la stessa azienda bresciana ad aver sospeso i pagamenti.

Attualmente all’Ilva di Taranto sono tremila i lavoratori collocati in solidarietà (domani scadono i 120 giorni per evitare la mobilità ai 57 dipendenti della vertenza che riguarda il reparto vigilanza, sulla quale però pare ci siano interessanti novità di cui riporteremo a breve gli sviluppi). Il siderurgico viaggia con i tre altiforni in marcia ridotta (AFO 2 è ripartito pochi giorni fa dopo la riparazione del guasto al modulo della centrale termoelettrica CET 2, AFO 4 e AFO 5) con una produzione di ghisa giornaliera pari a 14mila tonnellate, che alimentano il lavoro del Treno Nastri 2: il TNA1 invece, resterà fermo sino alla fine dell’anno. A marcia ridotta viaggiano anche le due acciaierie, così come il reparto rivestimenti tubi. Mentre i lavori previsti dal piano ambientale sono pressoché fermi. Il tutto in attesa che il commissario Gnudi riesca ad ottenere la prima trance di 125 milioni di euro, del prestito che dovrebbe arrivare da Unicredit, Banca Intesa e Banco Popolare. Che servirà soltanto a rinviare il collasso di qualche settimana: ammesso e non concesso che arrivi.

Perché il destino del più grande siderurgico d’Europa è stato già deciso e sta per compiersi in maniera definitiva. Altrove, dalle parti della grigia Milano, conoscono da tempo come andrà a finire tutta questa storia. Che su queste colonne abbiamo previsto più volte nel corso degli anni. Ma su questo argomento ritorneremo con più calma nei prossimi giorni. “Non si è mai abbastanza coraggiosi da essere vigliacchi definitivamente” (Giorgio Gaber, nome d’arte di Giorgio Gaberscik – Milano, 25 gennaio 1939 – Montemagno di Camaiore, 1º gennaio 2003).

Gianmario Leone (dal TarantoOggi del 26.08.2014)

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