Taranto, se vuoi rinascere taglia i rami secchi
Per anni su queste colonne abbiamo invocato l’unità tra le varie anime della città. Non fosse altro per una questione banalmente pratica: uniti, si presume, è più facile raggiungere determinati obiettivi, specie se quello in questione riguarda il cambiamento radicale di una città. Per anni, nonostante i tanti fallimenti, gli errori e le delusioni, abbiamo battuto sul tasto dell’unità. Oggi, però, a distanza di due anni dalla famosa estate del 2012 e di quanto accaduto nelle ultime settimane, è arrivato il momento di tornare a parlarci chiaramente come non avviene da tempo.
Per questo, al posto dell’unità tanto invocata ma mai davvero realizzata, l’unico vero obiettivo che resta a questa città per provare davvero a rinascere dalle macerie di decenni in cui è accaduto di tutto e il suo contrario, è quello di tagliare i rami secchi in ogni ambito e settore. Un taglio netto, radicale, senza tentennamenti. Come in un prima e un dopo. Dove quello che c’è stato non ci sia più. Può sembrare una forzatura, ma in realtà è l’unica strada realmente percorribile. Del resto, chi si aspettava o invocava nell’estate del 2012 rivolte popolari, sommosse o rivoluzioni, è rimasto clamorosamente deluso e a guardare lo schermo del suo pc. Perché, come sempre, ha aspettato che fossero gli altri a muoversi per primi. Quando in realtà ognuno ha “lavorato” affinché nulla cambiasse realmente. Pensando a difendere il proprio cortile evitando qualsivoglia contaminazione esterna per giungere ad un sintesi efficace: in pratica, esattamente il contrario di quanto si dovrebbe fare in momenti di lotta.
Prendiamo, ad esempio, la manifestazione di Confindustria del 1 agosto. Solo a Taranto infatti può accadere che gli imprenditori, gli industriali e i lavoratori più “fedeli”, scelgano di manifestare per strada a sostegno di un’idea indefinita. Cosa vuol dire infatti lo slogan “No alla città dei no”? Nulla. Specialmente se a sostenere quest’idea è Confindustria Taranto. Il cui presidente Vincenzo Cesareo, tanto per fare un nome ed un esempio, con la sua ditta “Comes Group” lavora da anni all’interno dell’Ilva e dell’Eni. Dunque trae direttamente profitto dalle industrie presenti sul territorio. Come lui, tanti altri. Da anni ed anni. Decenni in cui Confindustria Taranto ha appoggiato l’attività della grande industria senza alcuna remora. Pur sapendo perfettamente quali e quanti danni essa provocasse ai lavoratori, alla salute dei cittadini ed all’ambiente circostante.
Oggi manifestano gridando “No alla città dei No”, ma hanno forse dimenticato quando ricorsero al Tar di Lecce contro il referendum consultivo proposto da Taranto Futura insieme all’Ilva e a quei fenomeni della Cgil, nel tentativo di limitare la libertà di pensiero e di azione di ogni singolo cittadino? Noi non abbiamo dimenticato.
Come non abbiamo dimenticato quando due anni fa, durante una conferenza stampa di Confindustria Taranto, l’attuale presidente reggente di Confindustria Puglia Angelo Bozzetto, ci “redarguì” con questi termini: “Non si può vivere di un’economia di sole e olive: se è così, ditecelo che portiamo le nostre aziende in Brasile”. Questa frase rappresenta al meglio l’apertura mentale dei nostri industriali. O comandano loro, o chiudono baracca e burattini: ma questo non si chiama per caso ricatto occupazionale? O queste due paroline magiche valgono soltanto per il gruppo Riva? Per non parlare della deriva autoritaria sposata negli ultimi tempi, con la richiesta avanzata al Governo di sostituirsi alle istituzioni locali, per prendere le decisioni che sono ancora in sospeso. Che, sempre guarda caso, riguardano progetti industriali legati alle grandi industrie.
Inutile prenderci in giro: i nostri imprenditori industriali sono ancora legati alla logica del mini appalto dal quale guadagnare il più possibile. Poi, di tutto il resto, se ne fregano. Come se ne sono sempre fregati. Perché val bene investire nella grande industria, ma un minimo di lungimiranza ed intraprendenza non avrebbe fatto male a nessuno. In primis alle loro tasche. Provare a diversificare gli interessi investendo, anche rischiando, sulle tante risorse innate che questo territorio ancora oggi possiede, non sarebbe stata un’idea malsana: tutt’altro. Loro stessi oggi sarebbero presenti in altri settori che garantirebbero altre entrate e quindi una maggiore resistenza alla crisi attuale.
Siccome tutto questo non è stato fatto, se crolla il sistema industriale ionico, vanno a picco anche loro con le loro aziende: ecco perché difendono l’esistente e lo difenderanno sino all’ultimo istante. O, se preferite, sino all’ultimo appalto. O subappalto. Ecco perché oggi sono tutti dietro uno striscione, recitando peraltro male la parte di chi vuole un futuro diverso per Taranto. Ed il lato comico di tutta questa faccenda è che queste cose che scriviamo, le sanno tutti. Perché a Taranto i fatti si sanno. Eppure, tutti fanno finta di non sapere. Dimostrando di aver interpretato malissimo il famoso insegnamento del filosofo greco Socrate “so di non sapere”. Il nostro appello è rivolto quindi a tutti quegli imprenditori sani presenti all’interno di Confindustria e all’esterno di essa: tagliate i rami secchi all’interno del vostro ambiente, unitevi e provate ad allargare lo sguardo a 360°: le idee non vi mancano di certo. E vedrete che sarete voi stessi portatori di un’economia “sana”. In cui lavoro, ambiente e salute potranno tranquillamente convivere. Non fosse altro perché avranno come base le risorse naturali ed innate di questo territorio.
Stesso discorso va fatto per la politica e i sindacati locali. Incredibile ma vero, sono rimasti tutti ai loro posti. Soprattutto gli esponenti di “spicco”. Oggi sostengono tesi che appena due anni fa guardavano con il fumo negli occhi. Sono diventati tutti paladini del lavoro pulito. Tutti strenui difensori dell’ambiente e della salute. Eppure li ricordiamo sin troppo bene negli anni a difesa del presunto miliardo e passa di euro investito dal gruppo Riva nell’Ilva. Li ricordiamo sin troppo bene tutti sorridenti all’inaugurazione dei “nuovi” impianti del siderurgico. O nelle presentazioni de i “Rapporto Ambiente e Sicurezza” dell’Ilva che altro non erano se non volumi a colori degni concorrenti delle favole dei fratelli Grimm.
Per non parlare dei ridicoli “Atti d’Intesa” sottoscritti a partire dal 2004 con il gruppo Riva, all’interno dei quali erano previsti lavori mai effettuati. E che nessuno di loro si è preso la briga di andare a controllare nella loro reale attuazione nel corso del tempo. Tutto questo, oggi, pare essere stato rimosso. Come se non fosse mai esistito. Sono ancora lì, senza nessuna vergogna. E continuano a decidere e a non decidere per un intero territorio. Anche qui, l’invito è rivolto ai politici e ai sindacalisti che esercitano la loro professione con passione, coerenza e serietà: unitevi, denunciate, tagliate i rami secchi. Chi ha sbagliato deve fare altro. Se hanno un lavoro d’origine, che tornassero ad esercitarlo. Se non lo hanno, se lo trovassero. Sempre che vogliano restare in questa città. Altrimenti che si accomodassero pure altrove. Taranto ha bisogno soprattutto di persone nuove oltre che di aria pulita.
Infine, veniamo ora all’allegra brigata della società civile. Espressione massima di tutti i pregi e i difetti della tarentinità. Ultimamente abbiamo “ammirato” esterrefatti la mobilitazione a difesa della libertà di stampa. Grande indignazione ha suscitato tra i nostri, il licenziamento di un “giornalista scomodo” da parte dell’editore di una tv locale. Sarà. Eppure, non ricordiamo una mobilitazione a difesa della libertà di stampa quando, ad esempio, nel novembre del 2012 dalle intercettazioni svolte nell’ambito dell’inchiesta “Ambiente Svenduto”, risultarono pesantemente coinvolti giornalisti, giornali e tv locali. Come mai allora non ci si mobilitò per chiedere una stampa “pulita”? Oggi, invece, tanto per essere “coerenti”, ci si va anche a sedere come ospiti in quelle tv locali interagendo con gli stessi intercettati, ma facendo finta di nulla. Oppure, cosa ancora peggiore, si fanno vere e proprie “marchette” per apparire quanto più possibile sulle pagine a colori dei “grandi” giornali locali. Così, come se niente fosse.
Tanto per restare nell’ambito della coerenza, non ricordiamo una mobilitazione a sostegno della libertà di stampa durante gli anni in cui giornali e tv locali (tranne il TarantoOggi), incassavano migliaia e migliaia di euro dall’Ilva per pubblicizzare quanto quell’industria fosse “bella e buona”. Come mai allora non si è scesi in piazza? Come mai non si è gridato allo scandalo? Come mai non si è chiesto conto del perché di quelle scelte editoriali? Tra l’altro, tanto per restare in ambito, vogliamo ricordare a lor signori che la tv locale che ha licenziato il “giornalista scomodo”, dallo scorso anno licenzia giornalisti come se piovesse, in quanto non incassa più gli 80-100 mila euro annuali garantiti dalle casse dell’Ilva spa, come denunciò pubblicamente lo stesso editore. Come mai nemmeno allora si manifestò per la libertà di stampa? E come mai quella stessa tv, dopo gli eventi tristemente famosi accaduti nel novembre del 2009, non ha imbastito una “guerra” contro l’Ilva? Ve lo siete mai chiesti? O anche in questo caso fate finta di non sapere?
Inutile poi chiederci, e chiedervi, perché questa indignazione non sia stata manifestata dal novembre 2009 al luglio 2012, anni in cui questo giornale fu escluso dalle conferenze stampa dell’Ilva e dagli incontri del Centro Studi Ilva che si tenevano regolarmente al Real Histò del Mar Piccolo e al Castello Aragonese. In quegli anni, chi “difendete” oggi, era sempre pronto a correre ogni qual volta il buon Archinà convocava incontri o conferenze stampa. Idem dicasi per gli altri giornali e le altre tv locali.
Ma, d’altronde, tutte queste domande hanno poco senso se pensiamo al fatto che il TarantoOggi dallo scorso settembre è stato escluso dalle conferenze stampa e del ricevere i comunicati di due tra le maggiori associazioni ambientaliste locali: Peacelink e Fondo Antidiossina Onlus. In pratica, chi oggi manifesta a favore della libertà di stampa, ne vieta allo stesso tempo il regolare esercizio. E all’interno del movimento ambientalista tutto questo si sa, ma viene “stranamente” ignorato. La nostra unica colpa è stata infatti quella di aver osato mettere in dubbio alcune battaglie o idee di queste associazioni. La critica, sale della democrazia oltre che peculiarità delle intelligenze sane, non è tollerata nemmeno da chi si ritiene parte integrante e fondamentale della società “civile”. Per tutto questo, siamo anche stati denunciati all’Ordine dei Giornalisti.
Eppure, non ricordiamo alcuna mobilitazione per chiedere contezza al suddetto ordine, dell’indagine che va avanti da oltre due anni sugli eventuali giornalisti coinvolti negli anni nel “sistema Ilva”. Tante carte ed intercettazioni sono “stranamente” sparite dalla circolazione. Su tante cose ed episodi è calato un silenzio sinistro. Si sono strette tante, troppe “strane” alleanze. Ma la fortuna è una ruota che gira: sempre. E prima o poi, presto o tardi, tante verità verranno a galla. E’ solo questione di tempo. L’appello, anche in questo caso, è rivolto alla parte sana della società civile: dopo tanti anni, è giunto il momento di fare pulizia. Ammesso e non concesso che ci sia la voglia di farlo. Perché se in tanti anni non si è ottenuto alcun risultato tangibile nel cambiamento reale della cittadinanza, vuol dire che più di qualcosa non è andato come avrebbe dovuto. Chi agisce contro da dentro, chi danni divide e logora, chi trama alle spalle, chi rema contro, è ora che vada a casa. La visibilità è niente a confronto della coerenza e della lealtà.
Bisogna avere il coraggio di tagliare i rami secchi, dunque. E’ un po’ come nei rapporti interpersonali. E’ inutile sperare che un parente, un amico o un compagno di vita cambino. Possono migliorare tutti, certo. Ma ciò parte sempre e soltanto dal singolo. Possiamo sbatterci la testa per anni, ma la solfa sempre la stessa rimane. Ed allora, dopo tanti anni non è forse arrivato il caso di voltare definitivamente pagina?
Infine, ad un passo dalle nostre meritate ferie, il grazie più grande va a tutti quei tarantini che ogni giorno fanno sì che questa città resti in piedi. A tutti quei tarantini che ogni giorno fanno semplicemente il loro dovere. A tutti quei tarantini che ogni giorno aiutano gli altri. A tutti quei tarantini che ogni giorno rendono questa città migliore di ciò che è sempre stata. Forse, come cantava De André, per cambiare radicalmente mentalità, “ci vuole tanto, troppo coraggio”. Chissà. Resta in noi ferma la convinzione che questa città, tra le più belle in Italia, è ancora oggi una grande incompiuta. E la colpa di ciò è anche e soprattutto nostra. “Il coraggio è la prima delle qualità umane, perché è quella che garantisce tutte le altre” (Winston Churchill, Woodstock, 30 novembre 1874 – Londra, 24 gennaio 1965). Buone vacanze.
Gianmario Leone (TarantoOggi, 06.08.2014)