Da Taranto al favoloso mondo di Alcatraz – Intervista a Jacopo Fo
“Non c’è niente di inevitabile nel mondo così com’è adesso. È solo una dei milioni di forme possibili, ed è venuta fuori sgradevole e ostile e rigida per chi ci vive. Ma possiamo inventarcene di completamente diverse, se vogliamo. Possiamo smantellare tutto quello che abbiamo intorno così com’è, le città come sono e le famiglie come sono e i modi di lavorare e di studiare e le strade e le case e gli uffici e i luoghi pubblici e le automobili e i vestiti e i modi di parlarci e guardarci come sono”. (dal libro “Due di Due” di Andrea De Carlo)
PERUGIA – Adagiata su una panchina di legno, Federica è immersa nella lettura di un libro. Davanti a lei una valle immensa palpitante di vita, eppure così silenziosa. Studentessa in vacanza alla Libera Università di Alcatraz, nel cuore dell’Umbria, ha macinato quasi 500 chilometri per rifugiarsi in questo angolo di paradiso tra Gubbio e Perugia. Gli ultimi dieci chilometri li ha percorsi su una strada sterrata che sembra infinita, ma non lo è. Infinito è solo il suo bisogno di cancellare dalla mente ogni traccia del traffico milanese.
Lei si è lasciata dietro lo smog e lo stress della metropoli, noi i fumi e i veleni dell’Ilva. Insieme respiriamo aria pulita, sana. E non solo. Alcatraz è un centro culturale che offre spazi per dormire, mangiare, frequentare corsi. Qui si praticano le buona cucina (ovviamente biologica), la comicoterapia e il buon senso. Si sperimenta un approccio più rispettoso e umano nei confronti della vita, della natura, delle persone e dell’economia. A poca distanza da qui, dall’altra parte della valle, sta sorgendo un ecovillaggio solare: case ecologiche realizzate in un grande parco, dotate di pannelli fotovoltaici, isolamento termico e impianti ad alta efficienza energetica. Inoltre è garantita una quota di spazi comuni condivisi. Condivisione al posto di competizione: uno slogan che da queste parti ha la consistenza di un mantra.
I dettagli vengono spiegati durante Ecofuturo, il festival delle ecotecnologie e dell’autocostruzione, in corso dal 26 luglio al 2 agosto. Come sembra lontana Taranto mentre sentiamo parlare di micro-città a misura d’uomo, di benessere psico-fisico e rispetto dell’ambiente. Come sembrano farneticanti le posizioni di Confindustria che proprio il giorno prima ha sfilato per il vie del centro per sponsorizzare, ancora una volta, progetti legati a logiche di sviluppo economico logore e controproducenti. Eppure è sulla nostra città che poniamo la prima domanda a Jacopo Fo, scrittore, attore, regista, fumettista e fondatore della Libera Università di Alcatraz, oltre che figlio di Dario Fo e Franca Rame. Un uomo che ha fatto dell’ecologia una delle sue ragioni di vita.
E’ paradossale essere in questo paradiso terrestre, così protetto dai guasti ambientali, e pensare ad una città martoriata dall’inquinamento come Taranto. Però è quello che capita a chi ha il cuore e la mente ancorati in riva allo Jonio. Che idea ti sei fatto di ciò che accade da noi?
«Penso tutto il male possibile della situazione che c’è lì. Ed è tragico il fatto che situazioni economiche e culturali abbiano portato al persistere di questa condizione allucinante. E ancora più allucinante è che parte della città si sia schierata in difesa dell’Ilva. E’ qualcosa di folle. Ora il problema è capire cosa è possibile fare sia per far rinascere la città e togliere l’inquinamento, sia per affrontare nel migliore dei modi il discorso sanitario. Una città come Taranto avrebbe bisogno di utilizzare tutte le possibili terapie più innovative. Purtroppo, però, la sanità italiana è standardizzata e lo è al livello più basso».
Tu credi alla “favola” dell’ambientalizzazione dell’Ilva o ritieni che sia più opportuno chiuderla?
«Non conosco i dati nei dettagli, ma ho il sospetto che si debba abbandonare la città. E’ la stessa situazione che c’è nella Terra dei Fuochi. Se c’è una situazione avvelenata la popolazione non può rimanere. A Taranto, dove l’attività inquinante continua, accade qualcosa di mostruoso. Ma siccome la nostra proposta di trasferire la gente è fantascientifica, bisognerebbe procedere urgentemente alla bonifica. Non dovrebbe esserci alternativa se si vive in un luogo avvelenato: o te ne vai o fai in modo che venga sanificato immediatamente. Ma in definitiva, questo è un problema di coscienza della gente. Evidentemente alla maggior parte dei cittadini questa situazione va bene».
Parliamo dell’ecovillaggio che sta nascendo in questa valle incontaminata. A che punto è la realizzazione?
«All’inizio abbiamo costruito una casa come test. Poi, dall’altra parte della valle, stiamo per consegnare i primi diciannove appartamenti. Le prime famiglie si trasferiranno ad agosto. E’ un periodo in cui le grandi scommesse, finalmente, vanno in porto. Mio padre è tornato alla Rai, mentre noi siamo riusciti ad organizzare Ecofuturo e stiamo per ospitare i primi abitanti dell’ecovillaggio. In questo villaggio, in cui ognuno ha il suo appartamento, c’è un grande area condominiale: 230mila mq di terreno con boschi, uliveti e tartufi. Poi la lavanderia condominiale, la sala multimediale, la piscina calda e quella fredda, oltre ad una serie di servizi mirati all’efficienza energetica».
Quanto vi ha ostacolato la burocrazia nel raggiungimento di questo traguardo?
«Ci sono voluti diciannove anni. Se non ci fosse stata la mia famiglia a supportarmi, questo progetto sarebbe morto dieci volte. Qual è l’imprenditore che può reggere tutto questo tempo? Delle autorizzazioni abbiamo dovuto occuparcene noi e non è stato certo facile. Ora tutto è passato nelle mani di una cooperativa di autocostruzione con la certificazione di Banca Etica. La proprietà sarà trasferita ai singoli proprietari delle abitazioni. E’ gente che viene da ogni parte dell’Italia e del mondo. E non si tratta solo di persone che hanno voluto compiere una radicale scelta di vita. C’è anche gente che invece di investire in acciaio ha voluto credere in una realtà ecosostenibile. Oppure chi ha creato gruppi di acquisto per vivere in un luogo meraviglioso. Il filo conduttore è una particolare sensibilità per l’ecologia. E’ un progetto che si può duplicare ovunque per sfruttare migliaia di terreni ed edifici abbandonati sparsi per il territorio nazionale. Pensiamo a quanti luoghi si possono recuperare per vivere o svolgere attività formative e professionali. Pensiamo a quanti vigneti e a quanti uliveti possono tornare produttivi. E pensiamo anche al turismo alternativo che si potrebbe sviluppare anche in aree marginali. Tutto questo è possibile».
Da Taranto al favoloso mondo di Alcatraz. Tra Gubbio e Perugia. In un luogo dove i sogni ad occhi aperti diventano realtà. E forse possono diventarlo anche altrove.
Alessandra Congedo